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La riforma Cameron. Labate: "L'Inghilterra rivoluziona ma non rinuncia all'universalità delle cure"


L'ex sottosegretaria alla Salute nel governo Amato, oggi docente di Economia sanitaria all'Università di York, illustra i dettagli della riforma inglese. "Una grande scossa, ma non si intende rinunciare ai principi cardine del National Health System". E tra gli organi di consultazione arriva l'Health Watch, formato dai rappresentanti dei cittadini.

03 FEB - Quotidiano Sanità continua il suo approfondimento sulla riforma sanitaria inglese. Dopo l’intervista a Francesco Carelli, medico italiano membro del Royal College e del British Medical Council, e a Federico Spandonaro, docente di Economia Sanitaria presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata e coordinatore scientifico del Rapporto annuale Ceis-Sanità, ecco l’opinione di Grazia Labate, ricercatrice in economia sanitaria presso l'Università di York.
 
Dottoressa Labate, può offrirci qualche dettaglio sulla riforma Cameron?
Va detto che i Primary Trust Care non sono esattamente sovrapponibile alle nostre Asl. Pur essendo gli organismi di riferimento del territorio, le Primary Trust Care non hanno un livello aziendale, con direttori generali e direttori amministrativi: si tratta piuttosto di associazioni di soggetti giuridici o fisici - tra cui i medici di medicina generale, volontari delle associazioni che prestano servizi socio-sanitari, rappresentanze comunali e rappresentanze dei cittadini - che uniscono forze, competenze e risorse per raggiungere un comune obiettivo, quello dell’assistenza sul territorio.
Gli Health Authorities, invece, corrispondono in effetti ai nostri assessorati regionali, dove c’è una rappresentanza istituzionale.
I dettagli da dare, poi, sarebbero tantissimi, perché il ddl consegnato in Parlamento, dal titolo “Cura della salute e del sociale”, è composto da 550 pagine che definiscono minuziosamente i principi generali e gli interventi che si intendono fare, così come i diritti e i doveri di ogni soggetto citato. Gli inglesi non sono soliti lasciare spazio all’interpretazione.
 
Si tratta di una bella scossa. Cosa ne sarà del National Health System?
È vero, la riforma è talmente impegnativa che l’hanno ribattezzata lo “shake up” della sanità. Ma non si sta in alcun modo ripudiando il National Health System. Nella prima parte del ddl, dedicata proprio al Servizio sanitario, si sottolinea che con la riforma non si intende rinunciare ai principi cardine del sistema: equità, gratuità e universalità dell’assistenza sanitaria.
 
I cambiamenti saranno però consistenti, sia per i professionisti che per i cittadini.
Certamente. Si dissolve il vecchio sistema di assistenza sanitaria e si affidano molte responsabilità a nuovi soggetti della salute, quelli meglio in grado di percepire i bisogni dei cittadini, cioè i medici di medicina generale e le autorità locali.
A differenza di quanto succede in Italia, dove la consultazione dei professionisti sulla programmazione sanitaria non dà luogo ad alcun obbligo, la riforma inglese stabilisce che il confronto tra medici e istituzioni locali dia vita a una programmazione concordata in cui sono chiaramente definite tutte le responsabilità e tutti i doveri di ciascun soggetto. E quanto concordato, diventa un obbligo e non un indirizzo generale.
Si ampliano inoltre le aree di intervento.
I consorzi non dovranno solo trattare materie di medicina generale, ma occuparsi di maternità, salute mentale, sistema di emergenza e servizi di autoambulanza. Tutto attraverso un percorso che, ribadisco, va concordato con le autorità locali. È un meccanismo reciproco, perché in questo senso anche il miglioramento del manto stradale diventa materia sanitaria e di intesa, in quanto servirà a migliorare i tempi di percorrenza dei trasporti sanitari.
 
Non c’è il rischio di creare conflittualità tra il potere decisionale dei Comuni e quello dei medici?
Dal punto di vista gestionale sì, dal punto di vista normativo no. Ma se i piani di assistenza sono concordati e si mettono in gioco risorse comuni, ognuno si assumerà la propria responsabilità per il proprio ambito di intervento. Nella definizione di obblighi e responsabilità gli inglesi sono molto precisi, quindi è difficile che vi siano invasioni di campo.
 
I consorzi possono essere assimilati alle Unità di cure primarie previste in Italia?
Se dovessi fare un paragone, penserei più alle Società della salute della Toscana: i medici di medicina generale si uniscono in associazione, il Comune mette insieme le sue forze sociali, a loro si uniscono le charities, cioè le associazioni di cittadini volontari che offrono la possibilità di avere un sostegno domiciliare per molte ore al giorno tutti i giorni della settimana.
 
Le ragioni di questa riforma stanno nella necessità di rispondere alla nuova domanda di salute o sono di natura economica?
Credo che le conseguenze siano sociali ed economiche, ma che lo spirito della riforma sia quello di mettere il cittadino al centro del sistema. Quindi la ricerca dell’equità e dell’eccellenza a favore del benessere e della salute degli inglesi.
In questa prospettiva, il Governo ha individuato nel medico di famiglia l’interlocutore più forte per garantire questi diritti al cittadino: sarà infatti chiamato a individuare i bisogni di salute del paziente e a coordinare tutto il percorso terapeutico, dalla diagnosi alla continuità assistenziale. Per farlo, avrà un consistente budget a disposizione, perché il Governo intende affidare ai medici di famiglia l’80% dell’intero fondo sanitario nazionale.
 
Ma un tentativo del genere non era stato fatto con il governo Thatcher?
La Thatcher licenziò il Fund Holding, che affidava al medico di medicina generale un budget pro capite all’anno, ad esempio 80 sterline per paziente. Senza una riforma totale del sistema, però, questo meccanismo si traduceva nell’esclusione dei pazienti più costosi, come gli anziani, per non superare il budget. Per questo il governo laburista lo abolì.
Oggi, però, al medico non viene dato un budget pro capite, ma l’80% di risorse del “fondo sanitario nazionale” da investire in diverse aree. Spetterà ai consorzi, in accordo con gli enti locali, stabilire quale sia la più efficiente modalità di gestione delle risorse per rispondere alla domanda di salute dei cittadini.
Si tratterà di un’esperienza importante: i medici di famiglia e le istituzioni locali sono anche i soggetti che meglio sanno dove si annida lo spreco e dove c’è duplicazione di servizi. Ci si aspetta, quindi, un’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse, sia a livello economico che a livello di qualità di assistenza personalizzata.
Tutto questo dovrà avvenire con la collaborazione del cittadino, a cui viene dato potere decisionale: uno dei motti di questa riforma è “Nessuna decisione su di me senza di me”.
 
Il cittadino avrà voce in capitolo anche in fatto di programmazione?
Certamente. Le rappresentanze dei cittadini non avranno un ruolo importante solo a livello locale; il Governo progetta di creare un organismo rappresentativo dei cittadini, chiamato Health Watch, che interagirà con gli altri organismi centrali per la valutazione dei servizi, rendendo trasparenti modalità, tempi e metodi di come il paziente è stato curato da quel gruppo di medici, in quell’ospedale e quando è tornato a casa per la riabilitazione.
L’organismo dei cittadini avrà un ruolo molto importante anche per la valutazione di servizi e la denuncia dei casi di insolvenza. Chiaramente ci saranno modalità di controllo e verifica anche a livello centrale.
Una novità interessante, è l’applicazione del diritto fallimentale per i Trust Health National Fondations, così che non ci siano più casi di centri che non raggiungono gli standard previsti. In questi casi, infatti, subentrerà l’intervento pubblico, ma non si protrarranno situazioni di cattiva gestione.
 
E se a fallire fossero i consorzi?
Si avvierà la procedura di non assolvimento dei compiti e un’apposita commissione nominata caso per caso dal ministero della Salute deciderà il migliore intervento, che potrebbe anche essere il commissariamento o la sostituzione dei soggetti che costituivano il consorzio.
 
Come è stata accolta la riforma?
Da parte dei professionisti non c’è stata una presa di posizione netta. Gli organismi ufficiali, cioè il Royal College e la British Medical Association, hanno fatto in particolare due osservazioni: la prima è che si tratti di una riforma elaborata troppo velocemente e da realizzare in fretta; la seconda è capire quali saranno realmente i risparmi derivanti per questo “shake up” e se ci sarà veramente un innalzamento del livello qualitativo.
In molti, infatti, ritengono eccessivo il recupero di 20 miliardi di sterline tra il 2010-2015 grazie alla maggior efficienza del sistema progettato dal Governo. Il timore è che si assisterà a una riduzione della qualità, accompagnata anche a forti tagli del personale, oggi non previsti. Questo perché la riduzione del personale amministrativo non potrà avvenire da un giorno all’altro, ma si realizzerà negli anni, man mano, grazie ai pensionamenti. Il personale sanitario, quindi, teme di essere il primo a farne le spese nel breve termine.
C’è però da dire che a partire da luglio, con la pubblicazione del Libro Bianco, che introduceva gli interventi poi tradotti nel ddl, il Governo ha avviato un ampio confronto.
Ci sono state circa 6mila consultazioni con gli esperti e i rappresentanti professionali, e i 2/3 dei suggerimenti sono stati accolti nel testo definitivo del ddl. Inoltre il testo da 550 pagine consegnato al Parlamento contiene, in allegato, dei documenti che raccolgono, capitolo per capitolo, tutte le osservazioni presentate nel corso delle consultazioni.
Insomma, la riforma forse non si può dire concordata, ma non si può negare l’impegno del Governo a raccogliere le osservazioni di tutte le parti, compresi i medici.
Quanto ai cittadini, i 50 consorzi sperimentali che sono già stati attivati stanno riscuotendo un buon successo. Sulla stampa ha avuto risalto la soddisfazione espressa dai cittadini verso i nuovi consorzi del distretto delle Cumbria.
L’incognita è se il medico di famiglia sarà in grado di fare il manager delle grandi risorse che il governo gli mette a disposizione.
 
I medici conquistano un grande ruolo, ma anche responsabilità e carichi di lavoro. Hanno chiesto un incremento degli stipendi?
I medici di medicina generale in Inghilterra non sono convenzionati, ma sono dei liberi professionisti che contrattano il compenso a seconda del numero di pazienti che si rivolgono a loro. Se dovranno occupare molte ore in più del loro tempo a contattare gli specialisti ed organizzare il percorso terapeutico, è evidente che chiederanno un aumento del compenso. Ma ad oggi non mi sembra che il problema sia stato sollevato, probabilmente perché la riforma esalta enormemente il profilo del medico e questi vedono finalmente riconosciuto il loro ruolo.
 
Ci saranno dei tagli al “fondo sanitario nazionale”?
No, al contrario di quanto detto da molti giornali. La Spending Review, che corrisponde alla nostra legge di bilancio, prevede un aumento dello 0,4% della spesa corrente nel corso dei 5 anni di Governo: questa passerebbe da 98,7 miliardi di sterline nel 2010 a un totale di 101,5 per il 2011, poi 104 poi 106 poi 109,8 per gli anni a seguire.
Diminuiranno invece le spese in conto capitale, cioè per gli investimenti, che si riducono da 5,5 miliardi a 4,4 nel 2011-2012, rimangono 4,4 nel 2012-2013 e nel 2013-2014, risalgono poi a 4,6 nel 2014-2015.
Tuttavia ci sono nel bilancio altre risorse per le voci della sanità. Ad esempio 2 miliardi per l’assistenza sociale all’interno del servizio sanitario nazionale e per i compiti degli enti locali finalizzati all’integrazione socio-sanitaria. Un altro fondo di 200 milioni è previsto per nuovi farmaci oncologici.
Inoltre aumenta di 250 milioni all’anno il fondo per la ricerca effettuata dagli scienziati altamente qualificati e si incoraggia la formazione dei tecnici di radiologia sottraendo questo ambito al privato, così da risparmiare, secondo le stime, 7,9 milioni sterline all’anno.
Un capito del bilancio riguarda anche l’innovazione tecnologica e l’ammodernamento del Ssn, con 2,5 milioni di sterline di investimento.
Quindi è vero che diminuisce il conto capitale, ma gli investimenti ci sono.
 
La riforma ora è in Parlamento. Quale potrebbero essere i tempi per l’approvazione?
Per quelli che sono i tempi inglesi, credo che si possa prevedere l’approvazione nel giro di 4/5 mesi.

Lucia Conti

03 febbraio 2011
© Riproduzione riservata

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