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Sanità integrativa. Labate: “Oltre il 90% della spesa privata in Italia è a carico dei cittadini”


La vera anomalia del modello sanitario italiano “è che non riusciamo a contenere la spesa ‘out of pocket’. Stenta a decollare la presenza di operatori dedicati quali casse di assistenza o fondi sanitari integrativi, e la spesa privata ricade totalmente sulle spalle delle famiglie". A dirlo, nel corso del suo intervento al “Welfare Day” è stata Grazia Labate, ricercatore in economia sanitaria e coordinatrice del gruppo degli economisti presso il ministero della Salute per il decreto attuativo sui fondi integrativi firmato nel 2008 dal ministro Livia Turco.

06 LUG - “La spesa sanitaria in Italia rappresenta il 9,5% del Pil con un trend in continua crescita. Analizzando la spesa privata nel lungo periodo, dal 1980 al 2007, possiamo vedere come nel nostro Paese questa sia passata dal 1,5% al 23,5%. L’anomalia italiana consiste nel fatto che di questo 23,5%, il 20% è una spesa ‘out of pocket’, ovvero pagata direttamente di tasca propria dai cittadini senza l’intervento di alcun operatore dedicato quali casse di assistenza, fondi sanitari integrativi o imprese assicurative”. Così Grazia Labate, ricercatore in economia sanitaria presso l’Università di York, ha aperto il suo intervento nel corso del “welfare Day” di Roma,  giunto oggi alla sua seconda giornata di lavori.
Passando poi a focalizzare la sua analisi a livello regionale, Labate ha fatto notare come “è il Friuli Venezia Giulia  a far registrare il livello di spesa privata più alto (27,2%), seguito dall’Emilia Romagna (26,2%) e dal Piemonte (26%). Ai livelli più bassi di incidenza di spesa privata si trovano invece le regioni del sud, in particolare Basilicata, Sicilia e Sardegna”.
Calcolando questa spesa per famiglia, la ricercatrice ha evidenziato come si passi “da un minimo di 955 euro nel Mezzogiorno a 1265 euro per il centro-nord. Si conferma quindi, anche attraverso l’analisi di questi dati, l’aspetto legato ai differenziali di reddito tra le diverse ripartizioni geografiche”.
Passando poi ad analizzare le attuali problematiche relative all’invecchiamento della popolazione ed alla crescente domanda di salute, Labate ha voluto precisare come sia assolutamente necessario “superare ipocrisie e difese ideologiche di un astratto universalismo che vede un Paese spaccato in due sul terreno della salute. Sono inutili i vaniloqui sui costi standard, se prima non si è avuto il coraggio di dire quali Lea sono riferimento e quali bisogni assistenziali costituiscono la priorità di un Paese che invecchia ma che non può rinunciare alla tutela universalistica della salute”. “In Italia è vero che c’è ancora molto da lavorare in termine di efficentizzazione delle spese e di strategie per il contenimento dei costi – ha spiegato - però non si creda che il problema della domanda sanitaria per come si propone oggi sia risolvibile solo in termine di criteri gestionali di risparmio o con ticket da mettere sulla testa dei cittadini”.
“Non possiamo più nasconderci, abbiamo bisogno di affrontare apertamente il tema dell’invecchiamento e dell’aumento dei costi ad esso legato senza pensare di minacciare così il nostro Servizio sanitario nazionale. La base di esigibilità del diritto alla salute è, e deve rimanere universale – ha sottolineato - ma dobbiamo studiare come poterla mantenere più solida anche per il futuro”.
I sistemi di health care sono numerosi, ma tutti tendono a modellarsi verso un sistema a 3 pilastri, distinguendosi per le dimensioni che questi pilastri vanno ad assumere nei diversi contesti. “Noi in Italia – ha concluso Labate - privilegiamo il primo pilastro e stentiamo a far decollare il secondo, nonostante i decreti Turco e Sacconi. Il vero problema è che non riusciamo a contenere il terzo pilastro, ossia la spesa privata ‘out of pocket’ delle famiglie. Dobbiamo fare i conti con questa nostra anomalia”.
 
Giovanni Rodriquez

06 luglio 2011
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