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Fecondazione. Corte europea: “L’eterologa non è un diritto, lo Stato è libero di vietarla”


Il Governo che vieta la fecondazione eterologa non viola l’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo sul rispetto della vita privata. Lo ha deciso la Grande Camera della Corte di Strasburgo, ribaltando il giudizio dello 2010 e accogliendo l’appello dell’Austria.

04 NOV - “Non c’è violazione dell’articolo 8 (il diritto al rispetto della vita privata) della Convenzione dei diritti dell’uomo”. Per questo i giudici della Grande Camera della Corte di Giustizia Europea hanno accolto l’appello del Governo austriaco contro la sentenza dell’aprile 2010 della stessa Corte, che all'epoca si era invece pronunciata a favore di due coppie sposate di cittadini sterili che aveva presentato ricorso contro il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legislazione austriaca. Ma la decisione di Strasburgo riguarda indirettamente tutti gli Stati Ue e sui casi di molte coppie, anche italiane, che hanno presentato alla Corte Europea analoghi ricorsi. La stessa legge 40 italiana nega la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa, anche nei casi in cui le coppie affette da malattie genetiche abbiano alte possibilità di trasmettere la malattia al proprio figlio.

Nella motivazione (qui il testo integrale in lingua inglese), la Grande Camera osserva come vi sia oggi, tra gli Stati europei, una tendenza a introdurre una legislazione più permissiva. Tuttavia l’Austria o qualsiasi altro Stato, secondo la Grande Corte, non hanno alcun obbligo di prevedere l'accesso alla tecnica fecondazione eterologa. In Austria poi, osservano i giudici, la possibilità di introdurre una terza persona nel processo di fecondazione fornendo ovuli o spermatozoi ha sollevato dubbi etici che ancora non si sono risolti e la società austriaca non ha espresso consenso su questa possibilità. Ma nella sentenza i giudici affermano anche la necessità di tenere conto degli “inusuali legami” che si creerebbero, perché – osservano i giudici - la dissociazione tra la maternità genetica e quella uterina conduce a rapporti “significativamente diversi” con il bambino anche rispetto al rapporto genitore-figlio derivante da un’adozione. Ricordando quindi la legislatura mira a conservare il “principio base della legge civile che prevede che la madre sia sempre certa e ad evitare che due donne possano rivendicare la maternità biologica dello stesso bambino”.
 

04 novembre 2011
© Riproduzione riservata

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