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Responsabilità sanitaria e anticorruzione. Integrare la figura del Responsabile del Piano all’interno della gestione aziendale

La proposta dell’Osservatorio 190 Federsanità Anci-Ispe Sanità: sostenere un ruolo non accessorio del RPC, definendo in itinere funzioni di controllo integrato e condiviso all’interno di una stessa struttura sanitaria e/o tra più strutture.

29 APR - Nel descrivere il rischio clinico e la sua gestione, più estesamente Risk Management, non si può non intercettare in queste settimane il DDL Gelli-Bianco aggiornato al gennaio 2016 sulla responsabilità professionale in sanità che sembra inquadrare il primo in un contesto di significati più ampio. A ben vedere poi, rischio clinico e rischio professionale non possono scindersi da considerazioni pertinenti al rischio da corruzione in sanità, a sua volta regolato dalla L. 190/2012 aggiornata da ANAC il 28 ottobre 2015, nell’attuazione del piano triennale anticorruzione.
 
Al punto 1.5.2. dell’aggiornamento ANAC 2015, “Concetto di rischio in ambito sanitario e relazioni con il rischio di corruzione” si legge infatti:
“Il concetto di “rischio” in ambito sanitario, nell’accezione tecnica del termine, è prevalentemente correlato agli effetti prodotti da errori che si manifestano nel processo clinico assistenziale. In questo senso, «la sicurezza del paziente consiste nella riduzione dei rischi e dei potenziali danni riconducibili all’assistenza sanitaria a uno standard minimo accettabile».  Così inteso, il concetto di rischio sanitario è strettamente connesso al concetto di Risk management quale processo che, attraverso la conoscenza e l’analisi dell’errore (sistemi di report, utilizzo di banche dati, indicatori) conduce all’individuazione e alla correlazione delle cause di errore fino al monitoraggio delle misure atte alla prevenzione dello stesso e all’implementazione e sostegno attivo delle relative soluzioni”.
 
Un concetto, quello del management del rischio sanitario che si connette alla sicurezza del paziente e delle cure, cardine del prossimo DDL Gelli-Bianco, ovvero “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”. Qui, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, si salda in modo forte il concetto di tutela della salute sancito dalla Costituzione al concetto di sicurezza delle cure. 
 
Vale a dire, “Articolo 1 (Sicurezza delle cure in sanità) 1. La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. 2. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Articolo 2 (Attività di gestione del rischio sanitario) 1. La realizzazione delle attività di prevenzione e gestione del rischio sanitario rappresenta un interesse primario del Sistema sanitario nazionale perché consente maggiore appropriatezza nell’utilizzo delle risorse disponibili e garantisce la tutela del paziente (sgg.)”.
 
Il cerchio si chiude e la convergenza tra i tre ambiti di rischio sembra raggiunta – rischio clinico, rischio professionale, rischio corruttivo – quando, sempre al punto 1.5.2. di cui sopra, ANAC sottolinea che “non è escluso, tuttavia, che possa sussistere una correlazione tra rischio in ambito sanitario e rischio di corruzione, ove il primo sia un effetto del secondo, ovvero ogni qualvolta il rischio in ambito sanitario sia la risultante di comportamenti di “maladministration” in senso ampio (solo a titolo di esempio, quando l’alterazione delle liste di attesa provoca un differimento “volontario” dei tempi di erogazione di prestazioni a più elevato indice di priorità con conseguenti ripercussioni sullo stato di salute del paziente destinatario di tali prestazioni [….])”.
 
Sappiamo ormai bene quali siano le figure professionali già deputate a “governare” questi rischi in sanità e più ampiamente nella P.A., il risk manager e il responsabile per la prevenzione alla corruzione, RPC. Ma gli strumenti ispettivi e/o d’intervento messi a loro disposizione dall’organizzazione aziendale, sono di analoga efficacia e portata? Chiediamoci quanto dei loro poteri effettivi è condizionato da differenti leggi e normative regionali. Oppure da disfunzioni di tipo organizzativo e di controllo.
 
Ci domandiamo cioè se il Responsabile Prevenzione Corruzione di una ASP o di una ASL possa e debba attendersi di esser considerato ovunque risorsa strutturale e pienamente in organico dell’azienda, mimando il percorso storico del Risk Manager, in un’ideale convergenza al dettato di tre ambiti di legge al servizio dei cittadini.
 
È nostra convinzione che ciò non sia solo possibile ma necessario, a patto che le normative che ne definiscono il ruolo siano interpretate nei loro principi ispiratori, e non invece come meri adempimenti formali da compilare e rimandare alle istituzioni – il giudizio espresso da Raffaele Cantone in merito al “copia/incolla” verificatosi tra i tanti PTPC consegnati ad ANAC ne è purtroppo la prova. 
 
Ma proviamo a confrontare Risk Manager in ambito clinico e RPC. Nel primo caso, la documentazione scientifica è naturalmente ben più consistente, per la cronologia a favore e la circoscrivibilità del fenomeno. Com’è noto, il rischio clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso “imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un peggioramento delle condizioni di salute o la morte (Kohn, IOM 1999)”. In questo caso, è abbastanza intuitivo considerare la direzione sanitaria coinvolta a vario titolo nelle funzioni di Risk Manager.
 
Di conseguenza, indicano Tiziana Frittelli e Stefano Mezzopera, docenti presso LUISS School of Business, “un’attività di Risk management efficace si sviluppa in un processo a più fasi di tipo reattivo e proattivo, preventivo o ricostruttivo dell’errore verificatosi, mettendo in campo strumenti d’analisi quali ad es. report, audit reattivi, etc.” già segnalati poco sopra da ANAC.
 
Superando le differenze tra rischio clinico, professionale e corruttivo possiamo definire il Risk Management come il “sistema, fondato su una metodologia logica e articolata che consente, attraverso step successivi, di identificare, analizzare, valutare, comunicare, eliminare e monitorare i rischi associati a qualsiasi attività, o processo, in modo da rendere l’organizzazione capace di minimizzare le perdite e massimizzare le opportunità (M. Silvestrini, Il R.M. nelle aziende sanitarie, Tesionline)”.
 
In questa prospettiva, è ormai tempo di pensare alla sicurezza e alle condizioni in grado di favorirla come ad un requisito dell’organizzazione aziendale. Nel caso dell’evento avverso, questo può interpretarsi come il frutto di un’interazione tra fattori tecnici, organizzativi e di processo piuttosto che alla conseguenza di singoli errori umani. Si tratta cioè di promuovere anche in Italia quel cambiamento culturale ed etico già avviato nel mondo anglosassone, così da superare l’approccio punitivo all’errore, fondato sul senso di colpa, e restituire dignità agli strumenti di controllo e gestione, fondati su un’assunzione di responsabilità a favore della comunità.
 
A questo punto, ci sentiamo di affermare che la figura del RPC costituisce un’evoluzione del ruolo, associato al rischio corruttivo, proprio perché centrato sul concetto di prevenzione del rischio. Un ruolo più complesso da cogliere per la natura sfumata dell’atto corruttivo, classificabile secondo la teoria dei giochi in un gioco win/win, dove corruttore e corrotto hanno entrambi vantaggi e interesse a non dare alcun indizio visibile della loro relazione illecita.  
 
Voluto fortemente dalla L. 190/2012, a seguito della recentissima adozione di PTPC in PA, il Responsabile per la Prevenzione alla Corruzione è individuato preferibilmente tra dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio. Ciononostante, va detto che la percezione delle sue funzioni non sempre ha avuto il tempo di considerarlo a pieno titolo parte della “direzione strategica” di un’ASL, per esempio. In più, la variabilità regionale continua ad avere il proprio peso.
 
Contribuire a definire la funzione strategica del RPC in sanità, integrando organizzativamente de facto le sue funzioni alla direzione amministrativa e più precisamente alla direzione controllo e gestione in chiave preventiva, è parte attiva del lavoro fin qui svolto da Osservatorio 190, il progetto avviato nel giugno del 2015 a cura di Federsanità, ISPE-Sanità e il sostegno non condizionato di Roche, anche e soprattutto alla luce delle recentissime acquisizioni normative di cui si è detto in tema di rischio e risk management.
 
In sintesi, impianto dell’Osservatorio 190 è quello di sostenere il ruolo non accessorio del RPC, definendo in itinere funzioni di controllo integrato e condiviso all’interno di una stessa struttura sanitaria e/o tra più strutture. Obiettivo non secondario di Osservatorio 190 è poi il confronto tra tecniche di prevenzione/gestione del rischio corruttivo adottate, ai fini di promuovere poi linee guida e best practices comuni.
 
È con queste finalità etiche che il personale direttivo delle realtà sanitarie aderenti all’Osservatorio è stato coinvolto in sei differenti cantieri di lavoro centrati su:
 
-Sviluppo Sistema di Controllo interno
-Pianificazione e controllo di gestione
-Gestione dei costi e degli investimenti
-Percorsi di certificabilità
-Trasparenza ed accessibilità alle informazioni
bRapporti Pubblico/Privato
 
riconosciuti quali aree tematiche ad alto rischio corruttivo da cui trarre gli indispensabili strumenti operativi “messi in bisaccia” dal RPC.
 
Comitato scientifico
Atelier “Osservatorio 190” Federsanità ANCI e ISPE-Sanità

29 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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