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Riforme costituzionali. Rossi: “In sanità Stato e Regioni devono lavorare insieme. Occorre ridefinire competenze”


Il presidente della Toscana precisa come esse siano “disponibili a dare il loro contributo” ma chiede "un elenco preciso delle potestà regionali”. E sulla sanità specifica: “Se non vogliamo rinunciare al servizio sanitario pubblico bisogna che ci sia un ruolo dello Stato, ma anche delle Regioni”.

14 APR - L’Italia ha bisogno delle riforme costituzionali e le regioni sono disponibili a dare il loro contributo. Ma bisogna fare presto e bene. Nessuna difesa dello status quo perché alle Regioni interessa la difesa dei territori e il rilancio del buon governo. Ma sulle competenze in sanità bisogna aprire un confronto con i costituzionalisti, perché su questa materia non ci si piò improvvisare.
 
Così Enrico Rossi, presidente della regione Toscana che questa mattina ha aperto il convegno “Le Regioni e le riforme istituzionali” organizzato dalla Conferenza delle Regioni e dalla Conferenza delle assemblee legislative regionali presso l’aula dei gruppi parlamentari alla Camera.
 
La posizione del presidente della Toscana è chiara. Le riforme costituzionali servono, ma bisogna "rafforzare poteri locali e Regioni" ed evitare di “tornare allo statalismo e al centralismo”. Serve per Rossi, un elenco completo delle materie che spettano alle Regioni ed è necessario lavorare ad una legge bicamerale che definisca materie e funzioni. E sulla sanità il dibattito è ancora aperto.
 
“Se non vogliamo rinunciare al servizio sanitario pubblico che è la più grande infrastruttura civile del nostro paese - ha detto Rossi a Quotidiano Sanità - una sanità più modera ed efficiente anche rispetto a quella degli altri paesi europei, bisogna che ci sia un ruolo dello Stato, ma anche delle Regioni. Ecco perché pensiamo che nella legge bicamerale che proponiamo si possano definire meglio le competenze di ognuno.”
 
Certo, ha aggiunto “dobbiamo confrontarci con i costituzionalisti, non ci si può improvvisare su questa materia, dobbiamo trovare un punto di equilibrio”.
Per Rossi uno dei limiti del federalismo è stata l’incapacità da parte del parlamento di concepire una legislazione di principi: “penso a tutta la vicenda della sanità, a quante proposte di legge abbiamo avuto. Leggi e proposte che anziché tracciare linee, indirizzi e orizzonti per tutto il paese pervicacemente entravano in materia di carattere gestionale tipicamente regionale. È uno sforzo per il cambiamento che dobbiamo fare tutti, e che è necessario per dare al Paese una politica e delle istituzioni più moderne ed efficienti”.
 
Insomma, le Regioni sono pronte alla sfida, ma senza corporativismi.
 
“Nessuna difesa dello status quo. Da parte delle regioni non ci sono atteggiamenti difensivi e nessun rivendicazionismo – ha spiegato Rossi nella sua relazone introduttiva – nessun sindacalismo delle regioni, non vogliamo essere i sindacalisti delle regioni, semmai la nostra ambizione è essere sindacalisti dei  territori e delle realtà sociali ed economiche dei nostri territori che in questo momento sono in sofferenza.  Non solo accettiamo la sfida ma la rilanciamo.  Siamo disposti a fare autocritica e ad assumere le responsabilità che ci competono. In questi anni si è pensato a costruire un federalismo dall’alto, nell’idea di conquistare pezzi di potere. Questa concezione è entrata in crisi quando è arrivato il macigno della globalizzazione economica. La chiusura delle regioni in se stesse ha mostrato le sue debolezze -- ha aggiunto -- ma non bisogna dimenticare le responsabilità dello stato centrale che in un federalismo di abbandono ha lasciato senza presidi interi pezzi dell’economia e della società e ha scaricato sulle regioni e comuni la sua crisi finanziaria con tagli lineari devastanti dimostrato la propria  incapacità a produrre  una  legislazione di principio”.
 
Per Rossi, “è sbagliato pensare ad un nuovo centralismo dello Stato, ma questo può accadere e sta accadendo mentre la vera forza del paese è il protagonismo dei territori. Noi Regioni – ha  osservato – vogliamo il cambiamento per costruire un regionalismo più al servizio dei nostri territori e delle popolazioni". E dunque, il Senato delle Autonomie “è un buon inizio mentre non convince la rappresentatività sul modello americano, noi speriamo in un modello più proporzionale, simile a quello tedesco, più rispettoso dei pesi e delle popolazioni”.
 
E un punto nodale è quello delle competenze: “Chiediamo un elenco preciso delle potestà regionali  su tante materie delicate in particolare su quello dove l’intreccio delle competenze è oggettivo, come il Governo del territorio, e la tutela della salute, l’istruzione. Così come allo stesso tempo può servire una riformulazione più precisa di alcune competenze esclusive dello stato alcune oltremodo troppo  soprattutto laddove si cerca di definire  la cosiddetta competenza generale dello Stato ampie. Siamo inoltre convinti della necessità di riconoscere il principio di sovranità nazionale che può scattare anche verso le competenze regionali in alcune situazioni, ma purché sia sottoposto a meccanismi di controllo che evitino abusi”.
 
Accanto alla clausola di salvaguardia, secondo il presidente della Toscana deve essere previsto un principio di  cedevolezza secondo cui lo Stato, anche su richiesta delle regioni, può decidere di delegare funzioni proprie alle Regioni, questa volta non più calato in modo indifferenziato sui territori ma fortemente connessi alle esigenze dei territorio e alla loro capacità effettiva di autogoverno”.

14 aprile 2014
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