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Il Def reale e quello raccontato da Renzi. Dalla riduzione delle Asl al prezzo della siringa

di Fabrizio Gianfrate

Si rischia di far credere erroneamente di risolvere così i problemi della sanità. Che invece richiedono ben altri strumenti delle semplici forbici, ma sapienti sarti che le usino con grande attenzione e parsimonia e soprattutto sappiano modellare e cucire con grande sapienza. E intanto alla sanità sono stati comunque tagliati, 2,352 miliardi

13 APR - Il DEF appena presentato è nell’insieme un buon documento, fatto su misura per l’EU a scongiurarne sanzioni e imposizioni. È, un programma di tagli da una decina di miliardi, compresi i 2,35 al FSN già approvati dalla “Stato-Regioni”. Di tagli, ribadisco, non di crescita o sviluppo come ci sembra si cerchi di comunicarlo. Emblematica in tal senso la questione del “tesoretto” da 1,6 miliardi, in più un allargamento del deficit dello 0,1% (dal 2,5% al 2,6% del PIL), quindi non più soldi veri ma più debito, un tesoretto di ulteriori cambiali.
 
Analogamente per la sanità. Forse a giustificarne il taglio alle risorse, il Premier dichiara enfatico di volere “più metropolitane e meno ASL!” e “costi standard a prezzi e poltrone”. La prima affermazione suona come un’iperbole futurista alla Marinetti, insieme alla seconda c’interroga sull’effettivo sovrannumero di ASL e relativi manager
 
Detto che non auspicheremmo uno scenario di torme di malmessi vecchietti nelle nuove metro per raggiungere le poche restanti ASL e litigarsi le rimanenti ridotte flebo o i residui cateteri, il numero delle Asl, cioè la loro dimensione ottimale, non può essere la stessa dappertutto ma commisurata alle esigenze dei diversi territori.
 
Per la complessità intrinseca dei servizi offerti e delle relazioni interfunzionali che li intrecciano, strutture troppo estese territorialmente poi richiedono comunque delle sub-strutture operative che nelle nuove mega ASL accorpate assomigliano alle “piccole” ASL precedenti. La centralizzazione degli acquisti e altre economie di scala, certo da migliorare, si possono perseguire con successo non necessariamente fondendo intere aziende sanitarie. Diversi modelli in entrambi gli opposti, dalla Toscana al Veneto, testimoniano delle rispettive “best practices”. Insomma, si dovrebbe discutere della materia con grande attenzione, in maniera argomentata e professionale e non liquidarla superficialmente con una battuta o magari con un tweet.
 
La questione del management, invece, è sulla qualità e non sulla quantità. Che significa, oltre a criteri di selezione meritocratici (absit iniuria verbis), non solo l’aspetto della competenza individuale, ma anche il contesto idoneo per poterla esercitare. Parafrasando Don Milani, è inutile avere le mani pulite ed essere bravi a usarle se poi le vuoi o le devi tenere in tasca.
 
Sui costi standard, la formula perseguita del “se spendi più dei tuoi omologhi virtuosi ti taglio i fondi” assume il principio paradossale che chiudendo il portafoglio a chi sciala o ruba magicamente gli si riempia di più la borsa della spesa, l’incompetente impari miracolosamente a gestire, il ladro d’incanto diventi onesto.
 
Va poi ricordato, a proposito della sempre rievocata siringa dal prezzo ballerino, che alla fine conta il costo finale della prestazione in cui è usata non tanto il prezzo della stessa. Il costo standard, insomma, è un risultato di un processo (esempio i PDTA), non il costo di un bene usato in un “pezzo” dello stesso. Ne consegue che il pur necessario recupero di efficienza attraverso i costi standard richiede un approccio a questi del tipo “bottom-up”, individuando e valorizzando ogni PDTA per “prodotto” finito con le regioni benchmark. Sulla domanda effettiva di PDTA di ogni regione se ne costruisce il rispettivo fabbisogno finanziario, così da avere l’”outcome” migliore come beneficio di salute. Ne avevo scritto qui su QS il 13 novembre scorso (“Costi standard. “Top-down” per risparmiare, “bottom-up” per risanare”).
 
Arrivo al taglio da 2,35 miliardi al FSN. È del 2% circa ma per il contesto nel quale è calato “pesa” molto di più. Perché la spesa SSN è già tra le più basse in EU e OCSE sia pro-capite che sul PIL, nell’ultimo decennio ha sforato in media 6 miliardi ogni anno, segno di costante sottofinanziamento. La quota di spesa privata è proporzionalmente sulla pubblica tra le più elevate in EU e OCSE, oltretutto sostitutiva e non integrativa. Mentre aree cruciali restano operativamente critiche (liste d’attesa, pronto soccorso, ecc.) e il prezzo di farmaci e devices e le retribuzioni degli operatori, in cui pesca maggiormente il DEF nella sanità, sono già tra i più bassi d’Europa. Sono motivi che, per ruolo centrale della sanità nel Paese con quota record di anziani, suggerirebbero di aumentare il FSN anziché ridurlo ancora.
 
Allora al lettore malizioso viene da chiedersi perché parlare di metropolitane prioritarie, ASL in sovrannumero, affollamento di relativi manager e tutto il corredo comunicativo di questi giorni, oltretutto materie regionali su cui il Governo può poco o niente? Non sarà, s’interroga sempre più malizioso, che serve solo a costruire surrettiziamente un razionale positivo che giustifichi all’opinione pubblica quei tagli, invece obbligati dalle cambiali firmate con l’EU? Che si voglia far intendere siano per scelta e convenienza, non per necessità, tipo la volpe e l’uva?
 
Per carità, in politica chi governa vede sempre più rosa, specialmente prima di tornate elettorali. Tuttavia in questo caso si rischia di far credere erroneamente di risolvere così i problemi della nostra sanità, che invece richiedono ben altri strumenti delle semplici forbici, ma sapienti sarti che le usino con grande attenzione e parsimonia e soprattutto sappiano modellare e cucire con grande sapienza.
 
E poi, sparandole troppo grosse o in modo forzatamente brillante, si corre il rischio di perdere credibilità e autorevolezza, presente e futura. Accadde proprio a Marinetti da parte di D’Annunzio: dopo che ne aveva ascoltato un discorso del tutto privo di contenuti ma ridondante di pirotecniche iperboli dialettiche ed euforiche apoteosi futuriste, il Vate sentenziò inesorabile: “un cretino fosforescente”.
 
Fabrizio Gianfrate

13 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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