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Mutue e Jobs Act. È lì il trappolone

di Ivan Cavicchi

Non ci siamo. Discutiamo di mutue senza capire che cosa sia effettivamente accaduto. Il governo Renzi a nostra insaputa ci ha messi come sanità pubblica in un trappolone dal quale non sarà facile uscire senza che ci si rompa le ossa. La nostra situazione senza esagerazione, potremmo chiamarla (citando un celebre romanzo), “cronaca di una morte annunciata”

03 APR - Sei cose da capire
· i rischi di una morte  annunciata della sanità pubblica non nascono in prima istanza da una volontà politica del governo Renzi a priori contro la sanità pubblica cioè da una incontenibile ideologia neoliberista (alla quale non ho mai creduto, vedere la polemica con Polillo, Qs 20 gennaio 2016) ma da una politica economica improvvida e cieca, soprattutto a senso unico, per la quale è inevitabile, se non addirittura necessario, sacrificare la sanità pubblica e quindi privatizzare il sistema;
 
· non esiste in nessun luogo  della sanità una norma finalizzata a liquidare il nostro prezioso universalismo, la vera norma   contro riformatrice  sta in un altro luogo  e più precisamente dentro quel programma definito jobs act;
 
· la defiscalizzazione delle mutue, il de-finanziamento della sanità pubblica ,la  riforma del terzo settore, sono di fatto  politiche di supporto ad una politica economica che in prima istanza è decisa a prescindere da tutto e da tutti;
 
· le mutue sono le ovvie conseguenze della messa in opera di un programma di politica economica che si basa sul postulato che lo sviluppo dell’economia è un a priori assoluto, rispetto al quale la sanità pubblica è fatalmente  insostenibile in quanto tale;
 
· il Jobs act funziona con la logica  self-reinforcing  esattamente come un Dio creatore cioè non c’è bisogno di abrogare con delle norme la sanità pubblica , saranno le leggi dell’economia  a decidere attraverso i suoi strumenti fiscali  in modo progressivo e automatico tutto quello che dovrà essere cioè un genere nuovo di sanità  in luogo di quello universale;
 
· il carburante che spinge tutto  è l’egoismo individuale  e collettivo cioè  è l’interesse  in competizione con il diritto.
 
Jobs act e mutue
La madre delle mutue è il Jobs act   il vero “motore immobile”. Con Jobs Act  (Jumpstart Our Business Startups Act")  in Italia si indica una riforma del lavoro attuata attraverso diversi provvedimenti legislativi anche di natura fiscale varati inizialmente  tra il 2014 ed il 2015.
 
Nella “mozione Renzi” (approvata al Lingotto) a proposito del jobs acts si dicono quattro cose:
· Jobs Act deve “rimanere il nostro faro”.
· I diritti sono una derivazione delle “trasformazioni dell’economia”.
· Il sistema fiscale è la “molla” dello sviluppo.
· Il sistema fiscale deve essere “più favorevole al lavoro”.
 
Renzi attraverso il jobs act non ragiona con i presupposti di un neoliberista contro il welfare pubblico ma con quelli di un economicista senza scrupoli:
· se il lavoro, lo sviluppo, l’economia, sono il valore sopraveniente eil fisco è il principale strumento per il suo sviluppo allora tutti gli altri valori sono subvenienti compresi  la sanità pubblica,
· se per far crescere l’economia dobbiamo rinunciare alla sanità pubblica pazienza, la crescita porta con se inevitabilmente dei sacrifici da fare.
· le mutue non sono altro  che effetti collaterali di una terribile idea di sviluppo di crescita e di economia e quindi sono un prezzo da pagare.
 
Insomma sintetizzando: la questione della defiscalizzazione dei costi delle mutue rientra nelle politiche tese a defiscalizzare il costo del lavoro quindi non sono state pensate in prima istanza per far fuori la sanità pubblica ma per favorire il reddito di impresa.
 
Economia con economia cioè il pil contro i diritti
Il superamento della sanità pubblica è la inevitabile conseguenza di un incontro di economie diverse:
· quella dell’impresa il cui interesse principale è ridurre in ogni modo il costo del lavoro e detassare il  reddito di impresa (quello disciplinato dal testo unico delle imposte sui redditiD.lgs. 917/1986 cd. TUIR) nella speranza del governo che aumentando il reddito di impresa aumentino gli investimenti e quindi cali la disoccupazione;
· quella della speculazione finanziaria approfittando  della detassazione del reddito di impresa  fornendo i mezzi materiali, in questo caso le mutue, che la rendono  possibile proponendosi così come  intermediazione  finanziaria  tra capitale e lavoro.
 
Morale della favola: le mutue in prima istanza non si fanno per tutelare la salute dei lavoratori ma per ridurre il costo del lavoro e liberare il reddito di impresa dalle tasse nella speranza di accrescere gli investimenti per incrementare la ricchezza economica del nostro paese.
 
E’ ovvio che una volta fatte le mutue poi tutto viene di conseguenza perfino una certa tutela sanitaria, cioè è ovvio che poi le mutue faranno le mutue.
 
La defiscalizzazione del welfare aziendale  
Vediamo da vicino la parte del jobs act che attraverso la legge di stabilità 2016 prevede la de-fiscalizzazione del reddito di impresa dal quale derivano le mutue dividendo per fini espositivi la normativa in due momenti:
1: norme per creare condizioni fiscali favorevoli al neo- mutualismo di ritorno L.208, art. 1, comma182/189; art. 1, comma 190):  
· l’obiettivo politico generale  è detassare i redditi  delle imprese  agendo sul cuneo fiscale quindi modificare l’art 51 del testo unico delle imposte sui redditi (Tuir),
· si introduce  la detassazione dei premi di produttività prevedendone l’esplicitazione attraverso i contratti collettivi di lavoro di 2° livello.
 
2. norme che introducono il welfare aziendale (art 1/comma 184)
. si introducono norme  che consentono al datore di lavoro di erogare mutue  a favore dei lavoratori in esenzione da contribuzione  e imposizioni fiscali (salvo i limiti previsti dall’art 100 del Tuir),
· si introducono  norme che escludono dalla base imponibile le mutue offerte dal datore di lavoro sulla base di accordi collettivi,
· si introduce  l’ incentivazione del welfare aziendale con  la formula dello scambio: il lavoratore anziché scegliere di fruire del premio di produttività in salario quindi pagando su questo le tasse può scegliere di utilizzare l’importo del premio per farsi una mutua sostitutiva completamente defiscalizzata.
 
L’operazione che altrove (il Manifesto 4 marzo) ho definito demonetizzazione del salario consiste da parte dell’impresa e del dipendente nell’ assicurarsi vantaggi fiscali retribuendo il lavoro anche con “benefit e perquisite”
 
Non per scelta ma per forza (self-reinforcing)
Ecco come nascono le mutue del futuro, ed ecco perché:
· il welfare aziendale in realtà è un welfare contrattuale,
· esso è destinato per forza a sostituire quello pubblico dal momento che lo Stato nel tempo non può reggere il doppio finanziamento (quello della de-fiscalizzazione dei redditi di impresa e quello del servizio pubblico),
· per forzacioè  a causa del self reinforcing le mutue si mangeranno il pubblico dal momento che per forza la sanità pubblica dovrà essere sempre più de-finanziata altrimenti dove si troveranno i soldi per continuare a finanziarle nel tempo?.
 
Ecco perché mi sono permesso di parlare di trappolone
Vediamo qualche numero sui fondi: essi nel 2014 erano 290, nel 2016 erano 305 e ad oggi, dopo gli ultimi rinnovi contrattuali (metalmeccanici compresi) la prima impennata cioè 360. La mia stima aggiornando i dati ufficiali disponibili con quelli relativi al prossimo rinnovo dei contratti del pubblico impiego (3 milioni di persone) calcolando lavoratori e familiari è che siamo oltre i 15 milioni di persone con una doppia tutela quella pubblica e quella mutualistica.  Ed è solo l’inizio.  
 
Oltre il luogo comune dell’integrazione
Con il jobs act le norme che nelle leggi sanitarie (502/229) definivano i “fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale” sono di fatto superate o se preferite reinterpretate.
 
Queste norme ancora in vigore erano tutte teoricamente imperniate sull’idea della mutua integrativa “finalizzata” diceva la legge “a potenziare l'erogazione di trattamenti e prestazioni non comprese nei livelli uniformi ed essenziali di assistenza” e comunque esse erano tutte a carico del beneficiario.
 
Nella realtà (come ho già detto su questo giornale rispondendo alle osservazioni critiche che mi sono state rivolte) le mutue integrative sono sempre state un eufemismo. Esse nella stragrande maggioranza dei casi si sono poste sempre come mutue sostitutive dal momento che offrivano prestazioni comprese ampiamente nei lea. Il loro scopo è stato fin dall’inizio sostituire un servizio pubblico disfunzionale ma soprattutto scavalcare gli sbarramenti posti all’accesso delle prestazioni pubbliche.
 
A questo proposito vorrei ricordare una ricerca del Censis del 2015 con la quale dati alla mano si dice che Il 54% degli italiani indica come problema prioritario della sanità pubblica la riduzione liste di attesa (QS 9 giugno 2015).
 
Oggi con il Jobs act (legge di stabilità 2016 e riforma del Tuir) salta l’eufemismo, cioè la foglia di fico con la quale per anni abbiamo coperto un sistema sanitario parallelo a quello pubblico, e salta per due ragioni di fondo:
· la prima è che l’ambito delle prestazioni del welfare aziendale è libero cioè senza limiti e del tutto coincidente con i Lea,
· la seconda è che i suoi oneri non sono più a carico del beneficiario ma a carico dello Stato.
 
Oggi quindi il welfare aziendale è concepito per legge, di fatto come sostitutivo di quello pubblico. Quindi per favore non si parli più di mutue integrative.
 
Oltre il luogo comune dell’out of pocket
Con il Jobs act e suoi derivati salta anche un secondo luogo comune (cavalcato anche questo su questo giornale da alcuni commentatori) ed è quello che le mutue integrative servono a governare e a intermediare l’out of pocket, cioè la spesa privata. L’impianto del jobs act, ribadito con chiarezza dalla “mozione Renzi”, ci dice che lo scopo del welfare aziendale è:
· ridurre il costo del lavoro,
· sgravare il reddito di impresa,
· ridurre il cuneo fiscale,
· favorire gli investimenti.
 
Quindi il welfare aziendale con la questione della spesa sanitaria privata non c’entra niente. Ma ammesso che le mutue possano intermediare la spesa sanitaria privata, personalmente una tale operazione di riconversione non la darei come scontata. Essa è tutt’altro che automatica. Siccome il welfare aziendale è soprattutto (come dice la legge di stabilità 2016) un welfare contrattuale di secondo livello, l’out of pocket da riconvertire dovrebbe provenire da persone con un contratto e con una contrattazione di secondo livello.
 
Siamo sicuri che tutto l’out of pocket abbia un contratto da usare per riconvertirsi in mutue? Anche l’ipotesi della riconversione dell’out of pocket in contratti assicurativi non è così automatica dal momento che i cittadini dovrebbero scegliere a monte come strategia di tutela la copertura assicurativa in luogo di quella pubblica. I dati disponibili ci descrivono un’altra situazione e ci dicono che la spesa privata ha un carattere:
· individuale perché  dipende dal particolare bisogno che una persona ha in un certo momento;
· contingente perché  dipende dalla situazione in cui si trova una persona
· opportunistico nel senso che nel bisogno si decide ciò che è più conveniente dal punto di vista dei costi (ad esempio rispetto ai ticket per molte persone è più conveniente rivolgersi direttamente al privato) degli accessi (dove si fa prima) delle garanzie(dove è meglio andare;
· localistico perché  dipende dalla regione in cui si trova e dallo stato dei servizi sanitari.
 
Inoltre va ricordato che l’out of pocket ha una natura ampiamente sostitutiva perché riguarda tutte le prestazioni comprese nei Lea, per cui non è logico pensare di contenerlo o riconvertirlo con delle mutue integrative cioè limitando le prestazioni?
 
Personalmente credo quindi che anche con tutte le “gambe” che si vorranno aggiungere al sistema pubblico, l’out of pocket, in una certa misura sussisterà comunque perché in molti casi si pone, per chi se lo può permettere, come un ammortizzatore cioè come una crescita di opportunità. Chi sta male non fa ideologia ma va laddove è sicuro di risolvere il suo problema personale. Questo spiega molte cose per esempio perché a fronte di 30 mld di out of pocket solo 1,4 mld sono intermediati (QS 2 dicembre 2015).
 
Resta da valutare quale sarà l’impatto del welfare aziendale sul fenomeno dell’out of pocket ma, come dicevo, è bene non farsi illusioni e poi si ricordi che il welfare aziendale sta cominciando ora a decollare ed ora tutto è più facile perché il welfare aziendale non è a regime e non ci sono liste di attesa.
 
Quando il sistema sarà a regime e sarà ampiamento sostitutivo di quello pubblico esso avrà probabilmente gli stessi problemi di accesso che oggi ha la sanità pubblica, gli stessi problemi di sostenibilità finanziaria, gli stessi problemi di funzionalità. Per cui non è improbabile che il malato by passerà anche il welfare aziendale cercando soluzioni nel privato. Staremo a vedere. Ma intanto smettiamola di giustificare il neo-mutualismo di ritorno di matrice lavoristica con il problema della spesa privata.
 
Conclusioni: rispetto, quale chiarezza
Tutta questa storia mi amareggia profondamente. A parte i rischi che stiamo correndo, mi amareggia che la sanità, quindi gli operatori e i cittadini, cioè milioni di persone, si trovino loro malgrado davanti ad una controriforma di sistema come difronte ad un fatto compiuto, senza avere avuto la possibilità né di discutere, né di ragionare, né di replicare né di consigliare né di obiettare.
 
Come ci ha dimostrato l’esito dell’ultimo referendum, questo modo di fare politica, non solo è rozzo, sleale e arrogante ma alla lunga, perdente.
 
Per il Jobs act la sanità al di là delle dichiarazioni di facciata è come un pianeta popolato da server insignificanti, che, come in stars wars, si può cancellare con la morte nera senza farsi troppi scrupoli in nome di un discutibile e controverso primato dell’economia.
 
Ma il governo si sbaglia e se ne accorgerà perché la sanità è soprattutto e innanzitutto persone. 
Cara ministra Lorenzin ricordo nitidamente, all’inizio del suo mandato,la “nota” sulla sanità da lei e dal suo governo, allegata al Def con la quale pubblicamente ci proponevate una controriforma.
 
Come ricorderà fui io, proprio su questo giornale a denunciare quella “nota” (QS 24 settembre 2013) che fu accantonata perché si capì che non era aria. Io la contestai ma questo fu possibile solo perché giocavate a carte scoperte. Ma con questo pastrocchio sul welfare aziendale non avete, almeno nei nostri confronti, giocato a carte scoperte e noi server della sanità ci sentiamo raggirati.
 
Oggi a sentir parlare di mutue e di Jobs act molti di noi cadono dalle nuvole e improvvisamente si sentono spaesati, disorientati, con l’ansia di comprendere il proprio destino di cittadini, di malati, di operatori.
 
Quindi signora ministra, andando al sodo e lasciando da parte le mie impubblicabili rimostranze, le chiederei come atto tardivo di lealtà nei nostri confronti di fare chiarezza per darci la possibilità di costruire, sulla sanità che come persone noi siamo, una nostra opinione.
 
I quesiti che le pongo sono semplici:
· quali saranno le ricadute finanziarie del jobs act che complessivamente in termini di defiscalizzazione del lavoro pare costare ben 21 mld sulla sanità pubblica?
· come si pensa di assicurare la sostenibilità finanziaria di un sistema a doppia tutela mutualistica e universale quindi a due gambe interamente a carico dello Stato?
· In che misura le nuove mutue sostitutive definite welfare aziendale condizioneranno l’universalismo e l’equità del nostro sistema pubblico?
 
Ivan Cavicchi

03 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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