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Delega assistenza sociale. Dirindin (Un. Torino): "Una 'non riforma' molto pericolosa"

di Nerina Dirindin

Forti profili di incostituzionalità, drastica riduzione della spesa senza alcuna valutazione dei bisogni reali. La convinzione è che il Welfare sia improduttivo, un ostacolo allo sviluppo. E così l'assistenza sarà sempre più la "Cenerentola" del sistema di protezione sociale

02 DIC - Osservazioni di carattere generale
Il capo II del disegno di legge per la riforma fiscale e assistenziale interviene su un settore che, a pieno titolo, potrebbe essere considerato la “Cenerentola” delle politiche pubbliche del nostro Paese: se si escludono infatti le prestazioni monetarie gestite dagli enti previdenziali, la quantità e la qualità delle risposte assistenziali sono del tutto inadeguate rispetto ai bisogni delle persone, oltre che nettamente inferiori a quelle degli altri paesi europei.
Il disegno di legge n. 4566 non affronta le storiche debolezze del settore, ma interviene su specifici aspetti, senza una chiara visione di insieme, senza alcun riferimento né ai livelli essenziali delle prestazioni (salvo un richiamo puramente formale) nè ai fabbisogni standard (ai quali dovrebbero essere commisurate le risorse disponibili a livello locale, secondo quanto previsto dai provvedimenti di attuazione del federalismo fiscale) e interferendo sulle competenze attribuite dalla Costituzione in via esclusiva agli Enti locali.
L’oggetto del disegno di legge non è definito in modo chiaro e può essere compreso solo alla luce dei contenuti del Libro bianco sul futuro del modello sociale (1) del 2009, di cui in parte costituisce una succinta traduzione normativa.
 
Il disegno di legge afferma di avere come obiettivo la “riqualificazione e il riordino della spesa” (si veda la rubrica dell’articolo 10), mentre in realtà si propone di realizzare una drastica riduzione della spesa (dall’esercizio dell’intera delega, l’articolo 11 prevede risparmi a regime di 20 miliardi di euro all’anno), in continuità con i tagli già operati negli ultimi anni sui fondi statali per le politiche sociali (2). Il documento aggredisce per la prima volta in modo sostanziale la spesa gestita dal livello centrale (soprattutto dagli enti di previdenza), proponendone una drastica riforma, con uno stile redazionale che non fa mai riferimento ai bisogni delle persone, ma richiama esclusivamente più controlli, più selettività, meno duplicazioni, più efficienza.
Per quanto redatto in un momento di grave preoccupazione per la finanza pubblica, il documento sorprende per la crudezza con la quale esprime la ferma intenzione di ridurre e/o riorganizzare drasticamente la spesa in materia sociale, senza far trasparire alcuna consapevolezza dei problemi concreti delle persone più deboli e senza alcuna preoccupazione per le eventuali ricadute negative. Anche il richiamo ai “soggetti autenticamente bisognosi” (comma 1), chiaro nella sostanza, appare infelice perché induce una netta contrapposizione fra soggetti autentici e soggetti falsi, ovvero fra chi dice il vero e chi vuole ingannare, assegnando ogni responsabilità al singolo individuo senza riconoscere fra l’altro l’inadeguatezza dei sistemi di valutazione e controllo della condizione di bisogno attualmente impiegati. Non si tratta di una inutile questione semantica. In materia sociale, un uso attento delle parole, nel rispetto delle persone e dei loro problemi, è fondamentale, soprattutto in un momento di grave crisi economica quando i deboli autentici tendono spesso a celare - per riserbo e pudore - la loro condizione di disagio, e nei confronti dei quali l’amministrazione pubblica dovrebbe esprimere attenzione, anziché limitarsi a minacciare controlli e a biasimare gli abusi.
D’altro canto, il disegno di legge è stato adottato al termine di un periodo segnato da una dura polemica sui falsi invalidi, che ha deformato la percezione del problema esasperando la rappresentazione mediatica di singoli casi (sicuramente da condannare, ma verosimilmente isolati), senza che fosse disponibile la documentazione sulle verifiche recentemente effettuate dall’Inps (delle quali si hanno informazioni solo aneddotiche e giornalistiche) e fosse quindi possibile valutare la reale dimensione del fenomeno tenuto conto delle caratteristiche dei soggetti sottoposti a verifica (non rappresentativi dell’universo dei beneficiari) e dei motivi della revoca (non solo abusi, ma anche persone con benefici temporanei, persone che non hanno ricevuto l’invito a presentarsi al controllo, persone decedute, ecc.) (3).
Il disegno di legge sembra quindi risentire, nella forma e nella sostanza, da un lato della fretta con la quale è stato predisposto (in relazione alle emergenze di finanza pubblica dell’estate scorsa) e dall’altro della scarsa considerazione (per usare un eufemismo) da parte del Governo proponente nei confronti delle politiche sociali.
Più in generale, si osserva una continua sottolineatura di elementi che indirettamente rivelano una profonda convinzione, ancorché mai espressamente esplicitata, che il welfare sia una spesa improduttiva e da contenere, un ostacolo allo sviluppo economico. Un orientamento in contrasto con le raccomandazioni di molti organismi internazionali secondo i quali il welfare deve essere considerato uno strumento per lo sviluppo economico e la coesione sociale, a partire dall’Unione Europea che ha approvato nel 2010 la Strategia Europa 2020 (4) con l’obiettivo di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e solidale, strategia sottoscritta anche dall’Italia e in attuazione della quale il Governo Berlusconi ha adottato nell’aprile scorso il Programma Nazionale di Riforma, completamente scomparso dall’attuale agenda politica (5).
 
Il progressivo contenimento dei fondi statali per gli interventi sociali, nonostante le gravi difficoltà delle famiglie e l’esiguità dei risparmi possibili (stante le marginali dimensioni degli stanziamenti) (6), è la conferma della volontà del Governo di ridurre le politiche sociali a interventi meramente residuali e caritatevoli, sostituendole con un welfare delle opportunità e delle responsabilità, dove dovrebbe prevalere l’apporto della famiglia, dell’impresa e degli enti operanti nella comunità, attraverso il volontariato, la beneficienza e le erogazioni liberali. In breve, la negazione del ruolo del sistema integrato dei servizi e degli interventi sociali cui il nostro Paese solo recentemente ha iniziato a lavorare.

L’istituzione del “fondo per l’indennità sussidiaria”
Il principio di delega di cui alla lettera d) del comma 1 prevede il superamento dell’indennità di accompagnamento e l’istituzione dell’indennità sussidiaria, attraverso la costituzione di un apposito fondo. A parte le innovazioni terminologiche, la norma non è chiara.
Il testo si presta a una interpretazione che, se confermata, rischierebbe di trasformare un diritto esigibile (qual è ora l’accompagnamento) in un diritto economicamente vincolato.
Due sono gli aspetti da sottolineare: l’istituzione del fondo e gli effetti redistributivi fra Regioni.
Il fondo è istituito senza alcun riferimento ai livelli essenziali di assistenza (la cui definizione è di competenza esclusiva del livello centrale - lettera m, comma 2, articolo 117 della Costituzione) e ai fabbisogni della popolazione (cui fa riferimento la legge delega sul federalismo fiscale). La dimensione complessiva del fondo non è infatti legata ad alcuna nozione di fabbisogno. Né tanto meno, ovviamente, alla spesa storica, criterio che potrebbe per lo meno evitare il drastico ridimensionamento degli stanziamenti complessivi, in vista di una loro riqualificazione. Il fatto è particolarmente preoccupante perché - come noto - l’accompagnamento è attualmente l’unica risposta alla non autosufficienza; un suo ridimensionamento potrebbe peggiorare drasticamente la condizione delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie.
Una volta istituito, il fondo è “ripartito tra le regioni in base a standard definiti in base alla popolazione residente e al tasso di invecchiamento della stessa, nonché a fattori ambientali specifici” (lettera d). Al di là della genericità della formulazione (quali sono i fattori ambientali da considerare?), la norma rende chiaramente evidente la volontà di spostare le risorse dalle regioni nelle quali è più diffusa l’indennità di accompagnamento alle regioni in cui è più elevato l’indice di invecchiamento della popolazione. Tenuto conto degli attuali livelli di spesa e della distribuzione dei beneficiari rispetto a quella degli anziani, la norma potrebbe prevedere lo spostamento di ingenti risorse dalle regioni dal Sud a quelle del Nord, dell’ordine di alcuni punti percentuali rispetto alla spesa complessiva (riducendo o azzerando gli interventi favore di decine di migliaia di persone del mezzogiorno e ricollocando, in prima approssimazione, almeno mezzo miliardo di euro). Una tale ricaduta non può non essere oggetto di attenta valutazione.
A prescindere dal merito, nessuna gradualità è prevista per l’introduzione della nuova procedura. La mancata attenzione alla transizione è da ricondurre alla (erronea) convinzione che una larga parte degli attuali beneficiari siano abusivi e che quindi sia possibile revocare le relative indennità senza indugio e senza conseguenze negative. In realtà, le dimensioni degli abusi non sono noti (come già discusso in precedenza, in relazione alle invalidità), mentre è certo che in molti casi l’accompagnamento compensa la mancanza di una rete di servizi adeguati (come ha recentemente affermato anche la Corte dei Conti(7)).
Anche la denominazione del nuovo Fondo, per l’indennità sussidiaria, rivela la preferenza del legislatore per l’impiego di parole gradite ad alcune componenti della maggioranza di Governo, a prescindere dalla capacità di rendere immediatamente comprensibile ai potenziali beneficiari la finalità del fondo. Inoltre, il mantenimento del termine “indennità”, ovvero risarcimento (o rimborso), rivela il permanere di un’idea obsoleta di welfare, incapace di rinnovarsi anche solo nella terminologia (8).
Infine, a fronte di un possibile consistente ridimensionamento dei fondi per l’accompagnamento (in relazione a quanto previsto dall’articolo 11), il disegno di legge non prevede la ri-costituzione del Fondo per la non autosufficienza, già completamente azzerato per il 2011 (9). Si ricorda che tutte le statistiche internazionali pongono l’Italia agli ultimi posti quanto a presa in carico delle persone anziane non autosufficienti, soprattutto in regime domiciliare. Qual è il disegno del legislatore? Si prevede che il fondo per l’ indennità sussidiaria possa sostituire il fondo per la non autosufficienza?

La carta acquisti
Il punto e) del comma 1, dell’articolo 10 del disegno di legge trasferisce ai Comuni il “sistema della carta acquisti”.
La carta acquisti è stata istituita nel 2008 (decreto legge 112) e in questi tre anni ha già dimostrato tutte le sue debolezze: successive modifiche delle dimensioni dell’ammontare economico (10), difficoltà a erogare le risorse stanziate, problemi di gestione delle procedure, avvio di una sperimentazione in carenza di un progetto organico di valutazione dell’innovazione (11) (il D.L. 225/2010 prevede una nuova sperimentazione nei comuni con più di 250 mila abitanti), interferenza nelle competenze attribuite alle autonomie, negazione del principio di sussidiarietà verticale (data la gestione a livello centrale), ecc.. Il totale delle risorse disponibili per il 2010 è pari a circa 540 milioni di euro.
Il disegno di legge trasferisce opportunamente ai Comuni il cosiddetto sistema della carta acquisti, specificando che l’obiettivo è: i) identificare meglio i beneficiari, ii) integrare le risorse con la raccolta locale di erogazioni liberali, iii) affidare alle organizzazioni non profit la gestione della carta (lettera e, comma 1, articolo 10). Tali affermazioni appaiono quanto mai carenti. Nessun riferimento alle necessità di coerenza rispetto alla ripartizione delle competenze fra i diversi livelli di governo, così come previsto dalla Costituzione e dalla legge delega sul federalismo fiscale; nessuna capacità di astenersi da comportamenti centralisti tesi a fornire indicazioni su aspetti che sono di competenza esclusiva dei Comuni (quale quello di precisare le modalità di gestione della carta – attraverso l’affidamento a “organizzazioni non profittevoli”).
Più in generale, si osserva che il disegno di legge trasferisce ai Comuni “il sistema relativo alla carta acquisti”, anziché riconoscere e confermare (come vorrebbero i principi costituzionali) la titolarità delle funzioni fino ad oggi impropriamente svolte dallo Stato centrale con la carta acquisti. Impone infatti agli Enti locali l’utilizzo della carta acquisti come strumento per contrastare la povertà, oltre a indicarne le modalità di gestione. La lettera e) costituisce quindi un buon esempio di quanto il decentramento sia più evocato che praticato. Il trasferimento ai Comuni ha infatti, secondo il disegno di legge, lo scopo di permettere una migliore identificazione dei beneficiari: nulla è detto circa l’esercizio dell’autonomia di spesa di cui dovrebbero godere gli Enti locali (i titolari del beneficio, l’ammontare e le modalità di fruizione dello stesso resterebbero ancora definiti a livello centrale).
 
Altri principi e criteri direttivi
Con riguardo agli altri principi e criteri direttivi indicati nel disegno di legge si osserva brevemente quanto segue.
La revisione dell’Isee (lettera a) è disposta in modo completamente generico, senza alcun riferimento alle direzioni verso le quali dovrebbe essere attuata tale revisione. Il semplice richiamo alla “composizione del nucleo familiare”, elemento già presente nell’attuale formulazione dell’Isee (12), è del tutto insufficiente per l’esercizio della delega. Il punto richiede la precisazione dei criteri di revisione, pena l’assoluta discrezionalità del legislatore delegato o l’impossibilità di esercitare la delega. L’enunciazione potrebbe peraltro far riferimento alla intenzione di affrontare la questione (delicata e ancora ampiamente dibattuta) della alternativa fra condizione economica individuale o familiare con riguardo alle persone anziane, aspetto che non dovrebbe essere oggetto di revisione in assenza di specifici criteri di delega. Si noti inoltre che la delega non affronta alcune delle lacune diffusamente sottolineate con riguardo all’attuale sistema Isee: la carenza di efficaci sistemi di monitoraggio delle dichiarazioni e la non completa adozione da parte dei Comuni (molti dei quali continuano a erogare servizi e interventi in base a criteri definiti a livello locale (13)).
Analoghe considerazioni valgono per la lettera b), il riordino dei requisiti reddituali e patrimoniali, già presenti nell’attuale indicatore della condizione economica: come considerare le condizioni patrimoniali? con riferimento a quali patrimoni? con quali peso? ecc. Il disegno di legge e le relazioni allegate non forniscono alcun chiarimento con riguardo né alle modalità di riordino dei requisiti reddituali e patrimoniali, né all’ambito di applicazione della revisione. Il punto è importante perché introduce una rilevante novità: tutte le prestazioni assistenziali e le pensioni di reversibilità dovranno essere assoggettate ai nuovi requisiti reddituali e patrimoniali. La riconduzione a criteri uniformi è sicuramente condivisibile, ma l’inclusione di alcune importanti prestazioni attualmente non soggette alla preliminare valutazione della condizione economica del beneficiario (ad esempio l’indennità di accompagnamento) pone problemi che l’attuale delega ignora totalmente (quali garanzie agli attuali aventi diritto? come articolare il sistema a regime? in base a quali criteri? quale transizione tra la situazione attuale e quella futura?). Inoltre, l’estensione a prestazioni la cui erogazione è attualmente subordinata ad una qualche modalità di pregresso versamento contributivo (ad esempio la reversibilità delle pensioni di vecchiaia e di anzianità) dovrebbe essere disciplinata in modo esplicito secondo precisi criteri, pena il rischio di effetti imprevedibili sul piano dell’equità e dell’efficienza. Il disegno di legge sembra quindi semplicemente affermare che le prestazioni dovranno in futuro essere erogate sulla base di criteri più restrittivi e selettivi. L’obiettivo è il contenimento della spesa. L’effetto potrebbe essere la realizzazione di un welfare leggero, residuale, riservato alle situazioni più estreme, in totale contrasto con la legge 328/2000 sul sistema integrato dei servizi e degli interventi sociali (14).
 
Dubbi di costituzionalità
Pur non entrando nel merito degli aspetti di costituzionalità del disegno di legge, si ricorda infine che la delega si propone di disciplinare “la spesa in materia sociale”, entrando nel merito di questioni la cui competenza è attribuita dall’articolo 117 della Costituzione agli enti territoriali (15).
L’oggetto della delega non è ben definito, così come i principi di delega sono molto generici, da cui i dubbi sulla possibilità di esercizio della delega stessa e, più in generale, le perplessità sulla costituzionalità dei contenuti del disegno di legge (16).

Nerina Dirindin
Università di Torino e Coripe Piemonte
Questo testo è stato presentato in occasione dell'Audizione della professoressa Dirindin alle Commissioni riunite Finanze e Affari sociali della Camera dell'8 novembre 2011 sul Ddl n. 4566 “Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale”
 
Note
1) Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/376B2AF8-45BF-40C7-BBF0-F9032F1459D0/0/librobianco.pdf
2) Complessivamente i fondi statali destinati alle Regioni e alle Province autonome si sono ridotti dell’85% dal 2008 al 2011 (si considera l’insieme dei Fondi per le politiche sociali, per la famiglia, per le politiche giovanili, per le pari opportunità e per la non autosufficienza). Si veda il dossier del Cinsedo della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Le risorse finanziarie del Fondo nazionale Politiche sociali – anni 2004-2011 – e del fondo per le non autosufficienze, ottobre 2011. (www.regioni.it)
3) Si veda il materiale all’indirizzo www.superando.it e www.inps.it
4) Si veda all’indirizzo http://ec.europa.eu/italia/attualita/primo_piano/futuro_ue/europa_2020_it.htm
5) Si veda all’indirizzo http://www.politichecomunitarie.it/attivita/17522/programma-nazionale-di-riforma
6) Con riguardo ai fondi statali destinati alle regioni e alle province autonome, la tabella seguente mostra l’enorme riduzione delle risorse a disposizione degli enti decentrati (è esclusa la parte dei fondi trattenuta a livello centrale).
7) Corte dei Conti, Elementi per l’audizione sull’A.C. 4566 “Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale”, 11 ottobre 2011.
8) L'indennità di accompagnamento risale al 1980 ed è erogata “al solo titolo della minorazione” (legge 18/1980, articolo 1), a prescindere dall’età e dalla condizione economica, a favore di coloro che non sono in grado di “deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua”. Storicamente la provvidenza ha quindi una natura sostanzialmente risarcitoria.
9) Il Fondo statale per la non autosufficienza si è ridotto da 400 milioni di euro nel 2010 a zero nel 2011.
10) La carta acquisti, originariamente di 40 euro mensili, è stata successivamente integrata con ulteriori disposizioni (DM 2/11/2009 e DM 30/11/2009) che prevedono la possibilità di un importo aggiuntivo mensile di 25 euro (per l’acquisto di pannolini e latte artificiale) e di 10 euro (per gas naturale o Gpl).
11) Si veda fra gli altri Ugo Trivellato “Social card: vogliano farla seriamente?”, del 22.03.2011 in www.lavoce.it
12) L’Isee introdotto con il decreto legislativo 109/1998 tiene conto della composizione quantitativa e qualitativa delle famiglie, ovvero della numerosità del nucleo familiare (e delle economie di scala derivanti dalla convivenza di più persone) nonché della presenza di particolari condizioni che comportano maggiori oneri o disagi (persone con disabilità, nuclei con un solo genitore e nuclei in cui entrambi i genitori lavorano).
13) Le dichiarazioni Isee sono in continua crescita, ma sono certamente inferiori al numero delle persone in condizioni di bisogno che si rivolgono ai sistemi di welfare. Nel 2009 sono state sottoscritte poco meno di 7 milioni di dichiarazioni.
14) Si rinvia in proposito la lucida analisi di R Siza, Dieci (erronee) convinzioni che orientano i tagli del welfare, Animazione sociale, in corso di stampa.
15) Si richiama, ad esempio, quanto indicato nella lettera e) del comma 2, con riguardo alle modalità di gestione della carta acquisti, chiaramente intrusivo delle competenze dei Comuni. Oppure alla lettera d), ove si indicano le iniziative e gli interventi che le Regioni dovrebbero finanziare prioritariamente.
16) Si ricorda che l’articolo 76 della Costituzione recita: “L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.

02 dicembre 2011
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