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100 anni di Ordine dei farmacisti. Mandelli: "Molte le questioni che si ripropongono"


Liberalizzazioni, derive commerciali e contrazione del margine sul prezzo preoccupano i farmacisti di oggi. Ma lo stesso accadeva ai farmacisti di 100 anni fa. Con la differenza, sottolinea il presidente Fofi, “che nel 1912 il Governo si confrontava con la rappresentanza professionale prima di approvare i provvedimenti”.

24 OTT - Il primo fu l’Ordine di Napoli, poi Cuneo, Alessandria e gli altri che, nel 1912, si costituirono prendendo il posto delle Associazioni farmaceutiche, o chimico farmaceutiche, sparse nella penisola. Cento anni di storia professionale segnati sicuramente da grandi cambiamenti, nel mutevole contesto sociale e tecnologico. Eppure, sfogliando la documentazione della storia professionale ci si accorge che le similitudini tra la farmacia del 1912 e quella del 2012 sono molto più numerose di quanto si possa immaginare. Resta intatto lo spirito professionale, fatto di servizio all’individuo e alla comunità, ma anche al Paese, contribuendo a migliorare il livello delle cure, la sicurezza dell’impiego del farmaco e anche la razionalizzazione della spesa sanitaria. Ma restano intatte anche alcune problematiche, come quelle sulle liberalizzazioni, sulla deriva commerciale della farmacia e sul margine sul prezzo di vendita. Mentre è addirittura peggiorato il confronto con le istituzioni, che un tempo si avvalevano delle competenze professionali per legiferare e che oggi, invece, non sono molto inclini al confronto.

In questa intervista il presidente della Fofi, Andrea Mandelli, ci illustra, spiega e commenta tutti questi aspetti che hanno segnato la professione del farmacista dal 1912 a oggi.

Presidente Mandelli, qual è la sua prima considerazione, come presidente della Fofi, su un anniversario tanto importante per la categoria?
Un secolo di storia è un periodo lungo, e la prima tentazione che si ha è quella di confrontare l’oggi con quel passato, magari con la sicurezza di poter indicare un progresso lineare tra quella fase e quella odierna. Ma percorrendo le pagine dei documenti storici del 1912 si scopre che le cose non sono così semplici. Per esempio, si scopre che già allora c’era un acceso dibattito sulla deriva commerciale della farmacia, imputata alla liberalizzazione impostata dalla Legge Crispi che aveva innescato una competizione per il mercato, relegando in secondo piano il concetto che il farmaco è il bene che si acquista soltanto se serve, quando serve e nella quantità che serve.
Anche un tema di enorme attualità, come i limiti del sistema del margine commerciale sul prezzo di vendita, soprattutto in situazione di prezzi decrescenti, era ben evidente anche allora. Una situazione che era stata determinata dall’avvento del farmaco industriale, che aveva scansato il sistema precedente che vedeva il farmacista essere l’unico produttore del farmaco, oltre che dispensatore.
Sempre sulla scorta dell’avvento del farmaco industriale si formò anche una corrente di pensiero che riteneva inutile la presenza del farmacista, visto che il medicinale già preparato e confezionato avrebbe potuto essere consegnato senza pericolo da chiunque al paziente. A tale riguardo è interessante leggere un articolo del Bollettino chimico farmaceutico, l’allora organo di informazione della professione, che illustra e replica a questa teoria, sostenuta tra gli altri dal giurista Carlo Lessona e nella quale riecheggia sia la moderna attenzione per la farmacovigilanza, sia le argomentazioni usate dalla Corte di giustizia europea a difesa della riserva della titolarità.

E’ sorprendente che sia possibile documentare così dettagliatamente la storia professionale…
Possiamo farlo grazie al fatto che da sempre la professione ha avuto suoi organi di informazione, in particolare, appunto, il Bollettino chimico farmaceutico, già attivo da anni in quel 1912. Tutte le annate del Bollettino, e tanti altri documenti sono conservati nel Fondo bibliotecario dell’Ordine di Milano, che recentemente ha ricatalogato su basi scientifiche il materiale in suo possesso(oltre 5.000 tra volumi e pubblicazioni), parte del quale risale al Seicento. E’ una raccolta unica  che ora è censita e catalogata nel patrimonio bibliotecario nazionale.

Tornando alla professione, niente di nuovo rispetto a 100 anni fa, dunque?
I cambiamenti, e non sempre dei progressi, ci sono stati. Il 1912 fu anche l’anno della presentazione alla Camera del progetto di riforma dell’esercizio farmaceutico voluto da Giolitti, e quello che stupisce, rispetto alla situazione attuale, è la massima divulgazione data alle linee di questo provvedimento, la discussione a tutti i livelli che se ne fece, e anche l’intervento degli Ordini come consulente del legislatore, non per indirizzare e condizionare, ma per offrire le proprie competenze dirette.
Oggi, per essere ascoltata, la professione deve spesso insistere con ripetute richieste di convocazione, mentre gli Ordini professionali sono organo ausiliario dello Stato. E così, quello che dovrebbe essere il naturale dialogo tra istituzioni e rappresentanze professionali, finisce per diventare un fatto irrituale o per essere tacciato come “azione di lobby”.

Nessun cambiamento positivo in questi 100 anni di politica della farmacia?
Sicuramente positivo è stato il fatto che nell’alternativa tra la farmacia esercizio commerciale e la farmacia presidio sanitario, parte integrante del Servizio sanitario universalistico, le realtà europee più avanzate, ma anche nazioni come il Canada o l’Australia, hanno scelto la seconda ipotesi. Non a caso il libro bianco sulla farmacia del Governo inglese porta in evidenza il claim: “Più servizi della farmacia a supporto di una vita sana e di cure migliori”. Il farmacista, che operi nella farmacia di comunità o nell’ospedale può fare moltissimo per migliorare il livello delle cure, la sicurezza dell’impiego del farmaco e anche la razionalizzazione della spesa sanitaria. E in tempi di contrazione delle risorse, di riorganizzazione dell’assistenza sul territorio mettere a sistema la farmacia viene considerato un elemento importante di innovazione.
Questa consapevolezza è talmente forte che la Commissione Europea ha finanziato un progetto specifico per valutare i fabbisogni formativi, nel merito e nel metodo, che nascono dall’obiettivo di integrare sempre di più il farmacista nel Servizio sanitario.

E in Italia?
Purtroppo questa consapevolezza non è altrettanto diffusa. Eppure, prima del libro bianco inglese, la Federazione, nel 2006, aveva presentato il suo documento sulla professione in cui queste linee evolutive erano disegnate, a cominciare dalla farmacia quale centro polifunzionale di servizi e dalla figura del farmacista di reparto, tanto per citare i due aspetti che più direttamente si correlano al miglioramento della qualità delle cure.

Quali considerazioni si possono trarre dall’analisi del passato e del presente?
Il rapido confronto tra il nostro passato e la situazione attuale pone in luce almeno alcuni punti fissi. Anzitutto che la farmacia intesa come puro esercizio commerciale produce un cattivo servizio: lo abbiamo visto con il destino della Legge Crispi, così come abbiamo potuto toccare con mano che la regolazione dei servizi correttamente intesa non serve a tutelare le caste, ma ad assicurare ai cittadini l’accesso alle prestazioni. D’altra parte oggi vediamo che nelle realtà più avanzate si conta sull’ampliamento del ruolo del farmacista per migliorare l’assistenza.

Guardando al futuro, cosa chiede la professione?
La professione, - gli Ordini e la Federazione – fanno da cent’anni la loro parte: studiando la situazione, proponendo analisi e da ultimo promuovendo sperimentazioni come quella sull’MUR (medicine use review) che è alla base dell’evoluzione del ruolo del farmacista nel processo di cura. Quello che chiediamo è di essere un interlocutore della politica. E’ stato così ai tempi di Giolitti, quando la democrazia italiana era ancora relativamente giovane non si vede perché non sia possibile oggi.

Un commento, infine, sulle celebrazioni che si stanno susseguendo tra i diversi ordini che festeggiano quest’anno il proprio centenario di istituzione.
Si tratta di eventi importanti, non solo perché le date importanti vanno considerate, ma anche per creare ulteriori occasioni di aggregazione della categoria nel corso delle quali ricordare le nostre radici, dal momento che i valori professionali di allora sono quelli di oggi, e confrontarci sul nostro presente e sul nostro futuro.
È sorprendente vedere quanta partecipazione ci sia stata a queste celebrazioni. Basti citare che in occasione della celebrazione dei 100 anni dell’Ordine di Napoli erano presenti oltre 1.500 farmacisti. Ma è sicuramente importante anche la presenza dei rappresentanti delle istituzioni, regionali o nazionale. Questo, infatti, è il segnale che forse vi è, da parte della politica, il ritorno alla consapevolezza dell’importanza del ruolo del farmacista.
 
Lucia Conti

24 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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