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Artrite pediatrica. Fimp: “Colpiti in media 10 mila bimbi ogni anno”


Le malattie reumatiche sono ancora sottostimate. Per questo la Fimp ha dato il via a scuole di formazione per intercettare i sintomi. E in un’ottica di integrazione ospedale territorio, costituire una rete integrata con i reumatologi. Perché un bambino non curato oggi, può diventare un invalido di domani

07 APR - Misconosciute, sottostimate, abbandonate. Apparentemente estranee a bambini e giovani. Ma così non è. Le malattie reumatiche non sono solo per vecchi. Colpiscono anche la popolazione infantile con un trend in aumento che non risparmia neanche i piccoli sotto l’anno di vita.La più subdola è l’artrite idiopatica giovanile: si stimano circa 15 mila nuovi casi l’anno, considerando che i bambini di età inferiore ai 10 anni in Italia sono poco meno di 10 milioni. Si tratta di un dato incerto: l’ampia forbice nel dato di prevalenza (da 15 a 150 casi ogni 100mila bambini) conferma una forte sottostima del fenomeno. E si calcola che circa 10mila bambini e adolescenti possano esserne affetti.
Individuare le malattie reumatiche in tempi rapidi, per curarle e migliorare la prognosi diventa quindi un diktat.
I motivi? Molti. Perché un bambino su mille non curato oggi, può diventare un invalido di domani e nelle forme più gravi si può arrivare addirittura alla morte. Perché sono patologie croniche che comunque diminuiscono le aspettative di vita di circa sette anni. Perché tutto questo comporta oltre al disagio sociale dei bambini e delle famiglie, un aggravio di costi, soprattutto nelle regioni del Sud dove i pazienti sono costretti a migrare per ricevere cure adeguate.
 
Per questo i pediatri della Fimp hanno deciso di intervenire. E in occasione delle Giornate Scuola Capri-CAMPUS 2013 hanno dato il via ad un percorso di formazione rivolto a propri medici. Obiettivi: creare professionisti d’eccellenza per intercettare sintomi di patologie che spesso iniziano senza segni conclamati. Indirizzare i piccoli pazienti verso specialisti in grado di fornire cure all’avanguardia. Perché guarire dalla malattia si può.
 
“La pediatria di famiglia – spiega Giuseppe Mele, presidente della Fimp - è il primo avamposto sul territorio in grado di intercettare i bisogni della popolazione infantile. Per questo stiamo formando uno zoccolo duro di pediatri che sappiano individuare e riconoscere con precisione i sintomi di queste patologie ancora misconosciute in età pediatrica. I nostri obiettivi fondamentali sono quelli di attuare, in un’ottica di integrazione ospedale territorio, una rete integrata tra pediatria di base e specialistica reumatologica, nella quale siano compresi percorsi agevolati di accesso alle strutture per garantire più moderni presidi terapeutici. Soprattutto – ha aggiunto Mele – vogliamo creare eccellenze per indirizzare i pazienti nei centri regionali dove potranno ricevere, anche grazie a farmaci biologici di nuova generazione, cure in grado di cambiare il futuro e la qualità della loro vita da adulti”.
 
Stop alle cure “fuori casa”.Ma non solo, la Fimp punta anche ad offrire il proprio contributo per arrestare la mobilità interregionale dei pazienti. Un fenomeno che coinvolge ogni anno più di 860 mila cittadini costretti a “emigrare” in altre Regioni per ricevere le cure. Un giro d’affari che nel 2011 si è aggirato intorno ai 3,8 miliardi di euro e che vede nella maggior parte dei casi i pazienti del Sud migrare verso le strutture del Centro-Nord. Il conto più salato lo paga la Campania, con 311 milioni da versare ad altre Regioni alle quali si sono rivolti i propri cittadini, seguita da Calabria (-238,9 mln), Sicilia (-197,5), Puglia (-177,2 mln) e Lazio (-139,6 mln).
 “Le famiglie non si scontrano solo con la difficoltà di ricevere una diagnosi – ha aggiunto Mele – ma anche, una volta individuata la patologia, con la difficoltà di accesso alle giuste cure. I centri di riferimento a livello nazionale sono scarsi e soprattutto sono dislocati al Nord e al Centro Italia. Una mancata offerta che inevitabilmente li costringe a migrare verso altre regioni. Da qui il nostro impegno a offrire risposte puntuali, dando maggiore consapevolezza ai genitori per far curare i nostri bambini negli Ospedali del Meridione ed evitare così spostamenti che comportino gravi disagi psicologici ed economici”.
 
Terapie innovative.Le malattie reumatiche dei bambini, patologie autoimmuni spesso rare, sono state a lungo considerate difficili da diagnosticare e da curare. Ma ora grazie alla ricerca innovativa e studi clinici ad hoc sono stati compiuti importanti progressi che consentono diagnosi più precoci ed una maggiore attenzione clinica.
 “C’è il convincimento, a volte anche tra i medici, che le malattie reumatiche appartengano solo ad un’età avanzata – ha detto il Professor Giovanni Lapadula, Ordinario di reumatologia all’Università di Bari – un luogo comune che va purtroppo smentito in quanto possono colpire sia giovani adulti sia i bambini. La vera difficoltà sta nell’acquisire la capacità di individuare precocemente queste patologie nelle fasce di età più basse, ma questo è il momento più adatto per ottenere il massimo risultato. Una terapia appropriata, che segua una diagnosi corretta, può garantire remissioni tanto lunghe da poter essere definite come guarigioni. Un ruolo importante lo svolgono proprio i pediatri – ha aggiunto –, sia perché gestiscono un rapporto diretto con le famiglie e sono i primi medici ai quali i genitori propongono i loro problemi ed i loro timori, sia perché essi sono gli unici in grado di gestire con competenza un corpo in fase di accrescimento”.
Quali sono le terapie per i bambini? Gli antinfiammatori sono efficaci, e il Metotrexate rimane un gold standard nella cura, ha speigato Lapadula. Ma laddove si dimostrasse insufficiente si possono inserire i farmaci biotecnologici, ma solo quelli  registrati per i bambini.
 
 
Ma quali sono i campanelli d’allarme che devono spingere i genitori a rivolgersi al pediatra? Il primo segnale è un’andatura zoppicante persistente, ma anche dolori osteoarticolari (ginocchia, caviglia, gomiti e polsi), difficoltà nell’afferrare gli oggetti, salire le scale. L’anomala stanchezza nello svolgere le attività quotidiane può essere, in un bambino un vero e proprio sintomo d’allarme, che le mamme in primis devono individuare.
 
“Individuare i sintomi nel bambino può essere complesso – ha spiegato Lapadula – i bambini continuano, infatti, a giocare anche quando hanno dolore. Sopportano meglio degli adulti il dolore cronico. La riduzione della mobilità di un arto in qualche caso viene anche inizialmente scambiata per una malattia neurologica. Ecco perché un’azione sinergica tra i pediatri, professionisti ‘sentinella’ in grado di riconoscere la malattia e lo specialista è un atout fondamentale”.

07 aprile 2013
© Riproduzione riservata

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