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Ginecologia. "Ringiovanimento vaginale". Un business che fa gola a molti. E tra gli specialisti è guerra

di Carlo Sbiroli

Un intervento a Roma o a Milano costa tra 2.500 e 5.000 euro. Stiamo parlando degli interventi di rifacimento dell'apparato vaginale femminile che hanno subito un boom di richieste soprattutto tra le giovani e giovanissime. E tra ginecologi, uroginecologi e chirurghi plastici-estetici è guerra

22 APR - L’ultima trovata è la più affascinante, non come definizione di una procedura chirurgica, ma come invenzione lessicale, ed è “ringiovanimento vaginale”. La terminologia precedente era molto più tecnica e settorializzata: labioplastica (riduzione o escissione delle labbra), imenoplastica (ricostruzione dell’imene, detta “rivergination”), genitoplastica e vaginoplastica. Di solito la stagione delle definizioni a effetto arriva quando il buon senso si arrende. E in Italia – Paese di poeti, santi, navigatori e soprattutto d’inventori – nulla è più semplice che trovare un nuovo nome, una nuova etichetta quando si vuole dare una veste nuova a cose già utilizzate nel passato.
 
Ma perché questo affannarsi sulla terminologia? La risposta è molto semplice: un’espressione lessicale ben confezionata (ringiovanimento vaginale) fa molto effetto e fa notizia, soprattutto quando questo tipo di chirurgia diventa un affare commerciale. Secondo l’Aicpe, l’Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica, solo nel 2012 in Italia c’è stato un incremento del 24 per cento. Nel 2009 negli Usa sono stati spesi circa 6,8 milioni di dollari per sottoporsi a tali interventi. La loro popolarità è in crescita anche nel Regno Unito. Uno studio pubblicato sul British Journal of Obstetrics and Gynaecology nel 2009 riportava un incremento di chirurgia plastica genitale del 70 per cento, rispetto all’anno precedente.
Questo business in continua crescita spiega anche le vivaci discussioni che si stanno verificando tra ginecologi, uroginecologi e chirurghi plastici-estetici per definire gli incerti confini di competenza. “In generale i professionisti del settore combattono una sorta di guerra civile”, dice Marie Myung-Ok Lee dalle pagine del The Guardian. “I ginecologi sono decisi però a mantenere la ginecologia estetica tra le proprie competenze, deplorando come sia sfuggito loro di mano il business legato all’impianto di protesi al seno, ormai di competenza pressoché esclusiva dei chirurghi plastici”.
 
Tutto è cominciato circa 10 anni fa, quando diventò di moda per le adolescenti la depilazione integrale del pube (alla brasiliana), che veniva esibita dall’industria del porno-sex principalmente via internet (“pornification”). Subito dopo anche le adolescenti, come le pornostar, pretesero genitali “ben scolpiti”, perché si resero conto che la rimozione dei peli pubici rendeva i genitali esterni più visibili. Più facilmente valutabili dal partner. E allora se questi benedetti genitali non erano stati “ben modellati” da Madre Natura era realistico utilizzare l’intervento dal chirurgo (“designer vagina”). David Veale, consulente psichiatra in terapia cognitivo-comportamentale presso Prior Hospital North London, ha condotto un’accurata ricerca in questo campo. Nel suo lavoro pubblicato recentemente stressa questo concetto: “la corsa a interventi di plastica vulvare è strettamente legata alla crescente sessualizzazione della società”. E aggiunge: ”La vulva era rimasta l’ultima parte del corpo da modificare. Anche questa, sotto la forte spinta della pornografia, è stata aggredita”.
 
Ma quale aspetto deve avere una vulva per risultare affascinante? Una ginecologa estetica, che preferisce non essere citata, mi confida: “in sintesi l’ideale chirurgico è costituito da depilazione brasiliana (integrale dei peli pubici) e aspetto “levigato” (detto Barbie, come la bambola) della vulva. Questo comporta l’escissione per intero delle piccole labbra in modo da conferire l’aspetto caratteristico a guscio di vongola”. Un’idea abbastanza precisa dei vari tipi d’intervento e dei loro risultati estetici si possono avere andando su internet alle voci labioplastica, vaginoplastica e così via. Si visualizzano centinaia di foto prima e dopo l’intervento e molti filmati sulle tecniche operatorie.
Questo nuovo settore della chirurgia estetica ha suscitato diverse critiche e dissensi. L’American Congress of Obstetricians and Gynaecologists ha valutato gli interventi di chirurgia estetica vaginale come “non necessari dal punto di vista medico” e spesso “non sicuri”. Ha espresso, inoltre, preoccupazione per gli “aspetti etici” e ha messo in guardia da alcune complicazioni come: cicatrici permanenti e deturpanti, infezioni, sanguinamento, irritazione.
 
Negli ultimi anni, a più riprese, la stampa si è interessata al problema. Nel 2010 la rivista Cosmopolitan dedicò all’argomento un titolo a caratteri cubitali: “Vagine sotto attacco! Non lasciate che il vostro avido ginecologo vi spinga a questo orrendo errore”. Nel 2011 il The Guardian così titolava un articolo che fece scalpore e che fu riportato dalle maggiori teste giornalistiche del mondo: “Tagli, cuci…, incassa. La plastica della vagina è un affare che si diffonde rapidamente. Molti medici imparano dai filmati dei colleghi in una specie di chirurgia fai-da-te”. Fu un articolo non certo lusinghiero per noi ginecologi in cui venivano riportate frasi imbarazzanti del tipo: “da vagina larga quattro dita l’ho trasformata in vagina larga due e… accidenti se il marito ne è stato contento!”. E in cui veniva consigliato “di iniziare la pratica fai-da-te su una sessantenne. In questo modo non hai da preoccuparti”.
 
Varie associazioni femministe accusano i “vaginari” (espressione volutamente volgare e sprezzante) di essere dei “predatori che giocano sull’insicurezza delle donne per spingerle a interventi di cui in realtà non avrebbero bisogno”. E sostengono che dietro il business c’è solo l’avidità dei chirurghi estetici, inclusi i ginecologici, che possono di colpo moltiplicare i loro guadagni rispetto al lavoro di routine. A Londra l’intervento più economico - la “labioplastica” - costa quasi 4 mila euro, compreso il ricovero in day-hospital. A Roma e Milano i prezzi variano da 2.500 a 5.000 euro. Nel dicembre 2011 le femministe inglesi organizzarono a Londra la famosa “muff march” (marcia per i peli pubici) in Harley Street per protestare contro la moda della depilazione. Soprattutto per sensibilizzare l’opinione pubblica contro la chirurgia estetica degli organi genitali femminili, eseguita sia nel Servizio Sanitario Nazionale che in cliniche private. In quell’occasione Linda Cardozo, professore di uroginecologia al King’s College Hospital di Londra, lanciò strali contro il settore privato perché “non è controllato o regolato. E non vi è modo di conoscere il numero degli interventi di plastica dei genitali femminili che vengono eseguiti. Invece le donne che si servono del Ssn sono più controllate, perché devono necessariamente passare attraverso il giudizio del medico di famiglia che costituisce un valido filtro (gatekeeper)”. 
 
Quando poi si chiede a questi chirurghi quali sono, a loro parere, le motivazioni che spingono le donne a farsi operare nel privato anziché nel Ssn, più di uno mostra disagio. Alcuni, imbarazzati, dicono che le motivazioni sono per lo più di natura estetiche: “sono quasi sempre adolescenti che riferiscono di avere un problema “laggiù” e non riconoscono che ci potrebbe essere alla base di tutto un problema psicologico”. Invece, la maggior parte delle donne che si rivolge al Ssn cerca aiuto prevalentemente per problemi funzionali, come ad esempio un disagio durante il sesso. Bene ha fatto Giovanni Botti, presidente l’Aicpe a consigliare di valutare con attenzione e cautela i vari casi da sottoporre a intervento e sollecitare la collaborazione tra ginecologo, chirurgo plastico, proctologo, urologo e psicologo. 
 
E soprattutto ha rimarcato la necessità di rivolgersi a professionisti competenti. Esperti in questo tipo d’interventi. Nonostante tutto ho l’impressione che la moda della “vagina da design” è cominciata e, malgrado le limitazioni dettate dalle indicazioni mediche, continuerà ad avere fortuna, perché le mode dettano sempre legge.
 
Carlo Sbiroli
Past president Aogoi e vice presidente Collegio italiano dei chirurghi (Cic)
 

22 aprile 2013
© Riproduzione riservata

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