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Forum QS. Piano Fazio sui punti nascita. Gigli (Fesmed): “Senza risorse, resteranno solo intenti”


È scettico il presidente della Fesmed, che insieme all’Aogoi e alla Sigo aveva presentato al ministro Fazio le proposte dei ginecologi per il riordino dei punti nascita. “Il Piano recepisce molte delle istanze da noi avanzate, ma non mette in campo le risorse per realizzarle relegando la formazione, punto essenziale per il cambiamento, a poche e vaghe righe a chiusura del documento”.

02 NOV - La Fesmed, insieme alle associazioni di ginecologi Aogoi e Sigo, è stata tra i protagonisti del dibattito sul riordino dei punti nascita. Le tre associazioni, il 12 ottobre scorso, avevano presentato anche una proposta per la riorganizzazione del sistema materno-infantile fatta pervenire al ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che il 19 ottobre ha accettato di incontrare i vertici della Fesmed e dell’Aogoi per un confronto sulle strategie da mettere in campo. Un incontro che si era concluso con soddisfazione da parte delle associazioni. Ma oggi, il commento di Carmine Gigli sul Piano per il riordino dei punti nascita elaborato dal ministero della Salute è più cauto. Interpellato da Quotidiano Sanità, il presidente della Fesmed afferma: “Su molti elementi di indirizzo possiamo concordare con il ministro. Ma su 42 pagine di documento, alla formazione degli operatori vengono riservate meno di 15 righe, mentre si tratta di un aspetto fondamentale sul quale avevamo chiesto di porre grande attenzione. Di finanziamenti non si parla affatto. Come si può pensare di realizzare un cambiamento radicale se non si investe sulla formazione e non si mettono a disposizione delle aziende le risorse necessarie all’adeguamento organizzativo e tecnologico?”.


Presidente Gigli, la fase di elaborazione del Piano ha visto anche la collaborazione della Fesmed, così come dell’Aogoi e della Sigo. Ritiene che il documento finale risponda in modo soddisfacente alle proposte e alle istanze che avevate avanzato?
Non proprio. Indubbiamente il ministro è stato disponibile al dialogo e molte delle linee di indirizzo espresse nel documento finale riprendono quanto condiviso in occasione dell’incontro tra la Fesmed e il ministro. Tuttavia quegli indirizzi avevano bisogno di un’azione forte da parte di Fazio, con chiare indicazioni sulle strategie e i mezzi per attuare il cambiamento. Purtroppo, invece, leggendo il Piano definitivo che Fazio ha inviato alle Regioni abbiamo dovuto constatare che questi mezzi non ci sono. Nel Piano non si parla di finanziamenti e alla formazione, che è un aspetto fondamentale sul quale avevamo chiesto di porre grande attenzione, vengono riservate 15 righe su 42 pagine.
Come si può pretendere un cambiamento se non vengono messe in campo le risorse per realizzarlo?
Insomma, abbiamo lavorato insieme, ma alla fine Fazio ha deciso di andare avanti da solo. Anche se aveva detto di condividere tutte le proposte e le osservazioni che avevamo avanzato.

Cosa si sarebbe aspettato?
Per molti medici si tratta di un cambiamento radicale dell’esercizio della professione, perché stiamo parlando di ridurre i tagli cesarei, di applicare nuove linee guida, di individuare tutte le strategie necessarie per il rischio clinico. Ma questo cambiamento radicale non può avvenire se non si investe sulla formazione e non si danno alle aziende e alle Regioni delle disposizioni precise per affrontare in maniera compiuta il problema della formazione degli operatori. Il ministero, invece, non prevede alcun finanziamento per questa finalità, mentre la legge 122/2010 dimezza il budget per la formazione dell’azienda a partire dal prossimo anno.
Lo stesso vale per l’adeguamento organizzativo e tecnologico, che si chiede di realizzare senza mettere però in campo risorse.
Per essere chiari: si lamenta che le donne chiedano il cesareo e i ginecologi le accontentino. Ed ora si chiede loro di cambiare atteggiamento, ma non si considera che un ginecologo che per anni ha effettuato cesarei ripetuti potrebbe non avere la preparazione adeguata ad assistere il parto vaginale di una donna che ha già subìto un cesareo.
Si vuole inoltre diffondere la partoanalgesia, dando per scontato che tutti gli anestesisti siano preparati a farlo. Non è così. Richiede competenze e in certi casi anche nuovo personale da introdurre nei punti nascita. Come si può pensare che questo sia possibile senza mettere a disposizione nuove risorse?
In pratica, mi sembra che il ministro Fazio dica che occorre far tutto, ma senza spendere e senza dire ai medici come riuscirci. Allora? Cosa resta? Mi sembra che si possa parlare solo di una dichiarazione di intenti.

Il Piano di Fazio è dunque destinato a rimanere sulla carta?
Il mio timore è che faccia la fine del Progetto Obiettivo Materno Infantile elaborato dal ministro Bindi nel 2000, che a distanza di 10 anni è rimasto inascoltato in molte Regioni. Temo che accada la stessa cosa con il Piano Fazio: stiamo creando un documento che tra 10 anni sarà ancora inapplicato in alcune aree del Paese.
Il ministro, peraltro, affronta questioni che sono di competenza anche delle Regioni. Credo che la questione dei “piccoli” punti nascita avrebbe potuto essere posta in maniera meno draconiana, limitandosi a distinguere tra punti nascita che effettuano più di mille parti/anno e quelli che ne effettuano meno, come suggerito anche dai tecnici delle Regioni, ed insistendo, come ha fatto giustamente, sui requisiti organizzativi e strumentali. A quel punto sarebbero state le Regioni a valutare se fosse più conveniente fornire quei requisiti, oppure fosse preferibile accorpare alcune strutture e recuperare del personale da utilizzare nei punti nascita carenti.
Solo le Regioni possono conoscere la funzionalità di un punto nascita, non può essere la sede centrale a stabilirlo sulla base di parametri numerici.

Il blocco del turn over rende l’adeguamento del personale ancora più critico, anche là dove vi fossero le risorse.
Fazio e Brunetta affermano che il turn over non si applica alla sanità, ma la questione non è stata ancora risolta con chiarezza. Se anche fosse così, con quali soldi si potrebbero fare nuove assunzioni, tenuto conto dei tagli subìti dalle Regioni? Per non parlare delle Regioni con i piani di rientro…

Il Piano ora passa alle Regioni, che potrebbero sollevare queste criticità.
Il problema non è che le Regioni boccino il Piano, ma che lo approvino e poi non lo applichino. Una forma di resistenza passiva che abbiamo visto in tante altre occasioni.
Inoltre, il Piano prevede monitoraggi, verifiche e commissioni istituite ad hoc per questo scopo. Ma non è chiarito che tipo di potere queste commissioni abbiano in caso di inottemperanza da parte delle Regioni.

Riguardo ai punti nascita con meno di 500 parti/anno, avete più volte ribadito al ministro che non è il numero di parti a fare la qualità.
E a quanto sembra non siamo stati ascoltati. Ribadisco che non esiste un numero di parti che garantisce la sicurezza. Quel che conta sono i requisiti. Un punto nascita che effettua 2.000 parti ma in cui operano professionisti non preparati, farà più danni di un piccolo punto nascita dove si lavora bene. Non voglio criticare i centri di eccellenza, ma non voglio togliere nulla a chi ha meno parti e svolge un ottimo lavoro.

Chiederete ulteriori incontri al ministro?
Non credo. Che scopo ha fare nuovi incontri se poi le proposte devono sottostare a volontà prevaricanti, come probabilmente quelle della stretta economica? Ma a questo punto mi chiedo perché Fazio abbia voluto elaborare un piano così complesso. Se sapeva di non poter mettere in campo finanziamenti per sostenerlo, avrebbe potuto limitarsi alla parte scientifica e alle motivazioni del cambiamento richiesto. Invece ha voluto elaborare un piano completo, che prevede l’ammodernamento strutturale, l’adeguamento organico e quanto altro. Tutto irrealizzabile, senza risorse. In questo contesto, ritengo che non sarà semplice riuscire a far diminuire i tagli cesarei.

Per disincentivare i cesarei il Piano prevede anche la rimodulazione dei tariffari. Che ne pensa?
La rimodulazione dei tariffari vale per quelle Regioni dove c’è ancora una distribuzione delle risorse in base alle prestazioni, molto meno nelle Regioni dove si applica la quota capitaria. Qualche cambiamento potrebbe portarlo anche in quelle Regioni dove c’è un’alta quota di privato e qualche casa di cura potrebbe avere meno interesse ad effettuare un cesareo rispetto ad un parto naturale. Ma anche in questo caso credo che occorra fare molta attenzione: è bene insistere affinché una clinica privata che non ha i requisiti per rispondere a un’emergenza intraprenda un intervento di parto spontaneo su una donna con precedente cesareo? E se ci fosse la rottura dell’utero, che accadrebbe? Il danno costa più di una prestazione non appropriata. Sia in termini di salute dei cittadini che in termini economici.
 
Lucia Conti

02 novembre 2010
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