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Università e Ssn. Il convegno alla Cattolica. Bellantone: "Siamo un valore aggiunto. Troppe incomprensioni con il mondo ospedaliero"

di Ester Maragò

Venerdì e sabato, alla Facoltà di medicina della Cattolica di Roma, un convegno cha farà discutere. "Negli altri Paesi avere tanti Policlinici universitari è considerato un valore aggiunto. Da noi invece viene visto spesso solo come fonte di spesa". Intervista al preside Rocco Bellantone. Tutto il convegno in diretta streaming su QS

07 NOV - Qual è il ruolo e la mission degli Ospedali Universitari in una sanità in continua evoluzione? I Policlinici universitari sono risorse o fonti di spreco per il Ssn? E ancora, come realizzare un’interazione proficua tra ospedale e territorio e creare un’alleanza tra i professionisti? Sciogliere il nodo della responsabilità professionale dei medici è possibile?
 
Sono solo alcuni dei quesiti ai quali si cercherà di dare risposte nel corso del Convegno “Gli Ospedali Universitari e il processo di cambiamento del Servizio sanitario nazionale” promosso, l’8 e il 9 novembre prossimi, dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica e dal Policlinico “A. Gemelli” di Roma nell’ambito delle manifestazioni celebrative dei 50 anni del Policlinico (vedi programma)
“Due giornate di lavori per un confronto a tutto campo su temi complessi, affidato alla presenza autorevole di più voci: relatori e moderatori di diversa estrazione culturale provenienti dal mondo sanitario, universitario, economico, giuridico e giornalistico” anticipano i promotori del convegno Rocco Bellantone, Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia della Cattolica, Maurizio Guizzardi, Direttore del Policlinico A. Gemelli, e Pierluigi Granone, Direttore dell’UOC di Chirurgia Toracica del Gemelli.
 
Forte anche la presenza delle istituzioni: dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, dal Sindaco di Roma Capitale Ignazio Marino, al Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione Giorgio Santacroce.
 
Per approfondire alcune determinanti tematiche dell’attuale contesto sanitario, toccando anche il tasto dei rapporti tra mondo universitario e ospedaliero, e anticipare alcune delle soluzioni che verranno proposte nel corso del Convegno, Quotidiano Sanità, ha intervistato il preside Rocco Bellantone.
 
Professor Bellantone, il convegno che avete promosso è sicuramente una grande sfida. Due giorni di lavori serrati, su temi con problematiche di non facile soluzione, nel corso dei quali si confronteranno mondi spesso in rotta di collisione. A cosa puntate?
Sono tanti i problemi sul tappeto a cui dobbiamo dare risposte. Criticità che noi sentiamo importanti come ospedale universitario, ma che investono tutte le realtà del mondo sanitario. È vero, troppo spesso le varie componenti della sanità non solo non comunicano tra di loro, ma si pongono in una afinalistica contrapposizione. Ci sono troppe incomprensioni tra il mondo universitario e quello ospedaliero. Con questo convegno vogliamo quindi riaprire i canali di comunicazione tra le varie anime del nostro sistema, ma anche spazzare via il campo da false convinzioni, purtroppo tutte italiane, che vedono gli ospedali universitari poco efficienti dal punto di vista economico. Strutture magari ottime sul fronte dell’assistenza sanitaria, ma che comportano solo spese maggiori per la comunità. Negli altri Paesi avere tanti Policlinici universitari con medici in grado non solo di insegnare, ma anche di offrire assistenza di qualità e fare ricerca è considerato un valore aggiunto. Da noi invece la presenza in una Regione di più Policlinici universitari viene stigmatizzata, dimenticando che siamo un polo di attrazione dei futuri professionisti.
 
Sbloccare le divergenze con le altre anime del sistema, quelle del mondo ospedaliero in primis, è un passaggio fondamentale. Un terreno di scontro è quello della formazione post laurea. Cosa propone?
Il nodo della formazione post laurea deve sicuramente essere sciolto. Il dibattito con i colleghi ospedalieri parte tutto da lì. Da una parte abbiamo molte realtà che hanno scuole di specializzazione con pochi reparti assistenziali, in grado quindi di fornire una preparazione a volte troppo teorica. Dall’altro lato ci sono gli ospedali che avendo la possibilità di far lavorare i laureati “sul campo” rivendicano la possibilità di dare una migliore formazione post laurea ai neo medici. Un’interpretazione quest’ultima per alcuni aspetti ineccepibile, ma che trascura un aspetto essenziale: per insegnare ci vuole una preparazione specifica che i colleghi ospedalieri potrebbero non avere.
 
E allora qual è la soluzione?
Quella che hanno adottato in molti Paesi: le scuole di specializzazione vengono gestite dalle Università con docenti e reparti sia universitari sia ospedalieri.
 
Quindi le aziende miste ospedaliero universitarie?
Non dico questo. La formula giusta è la rete. Non è necessaria la presenza di medici ospedalieri e universitari in un’unica struttura. Può essere molto utile ai fini della formazione far intraprendere agli specializzandi, per un periodo stabilito, esperienza in un ospedale del territorio. Un’opportunità peraltro già prevista per legge. Peccato che non venga sempre applicata.
 
Il programma del convegno prevede anche una sezione dedicata ai rapporti dell’ospedale con il territorio. Anche in questo caso bisogna cercare un trait d’union. Proposte?
Il sistema paga l’assenza di dialogo tra ospedali, università e territorio. I medici che operano nelle strutture sanitarie affrontano tutta una serie di problematiche che potrebbero essere risolte dai colleghi che operano sul territorio. Nello stesso tempo questi ultimi hanno spesso difficoltà perché non hanno un accesso diretto all’ospedale. Bisognerebbe, anche in questo caso, creare un sistema a rete che consenta ai medici di medicina generale di seguire i propri pazienti sia in fase di pre ricovero, ma anche di degenza. Questo oltre a dare vita a un processo virtuoso di responsabilizzazione, consentirebbe al medico curante di seguire meglio il proprio paziente dopo l’uscita dall’ospedale. Un’altra soluzione potrebbe anche essere quella di creare, all’interno degli ospedali, delle strutture complesse dove operano medici del territorio. Sono convinto che da parte sia dei medici ospedalieri che dei medici di base questa volontà c’è.
 
Vi state attrezzando anche voi?
Ci stiamo confrontando con l’Ordine dei Medici di Roma per realizzare un progetto pilota, che consenta di creare con i medici del territorio una collaborazione proficua.
 
Una delle tavole rotonde sarà dedicata alla responsabilità professionale. Un tema particolarmente sentito dalla categoria medica.
Siamo l’unico Paese, con il Messico, dove è prevista la responsabilità penale per l’errore medico. In Italia il costo della medicina difensiva è stimato in 10 miliardi di euro. Uno sproposito. Per non parlare del fatto che le cause si trascinano per anni e anni, con un grave disagio per i professionisti, ma anche per i cittadini che devono aspettare tempi biblici per ottenere un risarcimento. Questa è quindi una questione che deve essere affrontata con rapidità. Noi abbiamo delle proposte che illustreremo nel corso del convegno.
 
Qualche anticipazione sulle proposte che presenterete?
In Italia, a differenza degli altri Paesi, non c’è una legislazione che consideri la particolarità dell’atto medico. Per cui da un punto di vista strettamente giuridico se io chirurgo eseguo, ad esempio, una colecistectomia faccio una lesione. Quindi in caso di evento avverso, sta al giudice decidere se quella “coltellata all’addome” sia stata realizzata o meno non per ledere, non per nuocere, ma per il bene del mio paziente. Un paradosso! In Italia nel merito si applica ancora il Codice Rocco, secondo il quale il medico deve agire come un buon padre di famiglia. Una visione meritoria, ma ampiamente superata, in quanto oggi la medicina è attività multidisciplinare, generalmente è medicina d’equipe. È come se il diritto del lavoro fosse regolato da leggi del 1938. Inoltre le cause vengono svolte da giudici che, non avendo conoscenze specifiche sul settore, si affidano a periti i quali troppo spesso non hanno le necessarie competenze per valutare i diversi casi. Per questo nella proposta di riforma che presenteremo, oltre a sollecitare il riconoscimento specifico dell’atto medico nella nostra legislazione, chiediamo che i periti chiamati ad assistere i giudici abbiano competenze almeno pari a quelle dell’indagato.
 
Affrontiamo un altro argomento, particolarmente caldo: i test di accesso per le facoltà di medicina, qual è il suo parere?
Punto di partenza è che il sistema ideale non esiste. Basti un esempio: in Olanda ci sono università che hanno adottato il sorteggio quale sistema di selezione. Una soluzione pragmatica, ma brutale, oltre che poco trasparente, che chiaramente noi rifiutiamo. Posso parlarle anzitutto di quello che è il nostro approccio al test di ammissione per le matricole di medicina, che si differenzia da quello proposto dalle facoltà di medicina delle università statali e che da noi si articola in due fasi. In una prima selezione, che facciamo svolgere agli studenti dell’ultimo anno di scuole superiori in primavera, evitiamo domande di fisica, matematica, chimica perché siamo dell’idea che queste nozioni sicuramente importantissime per il corso di studi universitari, non servano a selezionare gli studenti più adatti a studiare medicina. Di contro abbiamo voluto prediligere i test psico-attitudinali, di ragionamento e di logica, oltre che di lingua inglese che a nostro parere meglio servono a scegliere gli studenti più idonei a frequentare medicina. A questo abbiamo unito, per stilare le graduatorie di merito, i voti conseguiti nel corso delle scuole superiori, e un colloquio di cultura generale per gli studenti che abbiamo superato brillantemente il primo scoglio dei test.
 
Perché non avete preso in considerazione il voto di maturità?
Per due ordini di motivi: la selezione a settembre era, oltre che faticosa per ragazzi reduci da un sempre stressante esame di maturità, anche poco opportuna in quanto chi non superava il test, ossia la stragrande maggioranza dei candidati, si ritrovava a dover decidere frettolosamente per un’alternativa. Abbiamo quindi deciso di anticipare la selezione. Quando lo abbiamo fatto, non siamo stati esenti da critiche, ora noto con piacere che anche nelle università statali si sta per intraprendere questa strada, anticipando le selezioni in primavera.
 
Ester Maragò

07 novembre 2013
© Riproduzione riservata
Approfondimenti:

spacer Il programma del convegno

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