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Comma 566. Boldrini (Simfer): "E la voce delle Società Medico-Scientifiche?"

di Paolo Boldrini

Per quanto attiene lla Medicina Fisica e Riabilitativa si riscontra l’omissione del termine “riabilitazione” dall’elenco delle competenze mediche. La riabilitazione non è riconducibile ad un insieme di “atti”, il risultato della presa in carico riabilitativa va valutato in termini di “prodotto” e non di “somma” di interventi. E' problematico categorizzare gli “atti complessi” e dedurne, quasi per sottrazione, la definizione di atti “semplici”

23 GEN - Una singolare asimmetria sembra stia caratterizzando il dibattito sul discusso comma 566 della legge di Stabilità; mentre dal mondo delle professioni sanitarie si susseguono interventi di diverso profilo: professionale, sindacale e politico, (per la verità non tutti orientati a favore della norma), le posizioni e le critiche del mondo medico sembrano provenire in prevalenza dalle organizzazioni sindacali di riferimento. Appare più defilata la partecipazione di altri interlocutori che pure hanno un ruolo sostanziale in ambito sanitario: le Società Medico Scientifiche. Dopo il pronunciamento della Fism dello scorso ottobre, relativo all’allora art.39 comma 12 delle prime stesure della legge, in cui si puntualizzava fra l’altro come fosse inopportuno l’inserimento di questa norma in un documento di carattere finanziario, sembra che la riflessione e le posizioni delle comunità professionali mediche, almeno per quanto percepito al loro esterno, non abbiano finora avuto il respiro e la risonanza che il tema richiede.

La norma ha aspetti che, ancor prima delle implicazioni di natura più strettamente giuridica o sindacale, coinvolgono la sfera specifica dei diversi saperi disciplinari e delle loro reciproche relazioni, ed il nucleo culturale e scientifico proprio delle varie aree specialistiche. Questo si riverbera in modo sostanziale sulla pratica clinica, pur con sfumature diversificate a seconda delle diverse problematiche di salute ed i diversi setting di cura.
Si tratta di aspetti su cui è ineludibile il coinvolgimento delle diverse Società Medico Scientifiche; non tanto su quelli che riguardano in modo trasversale la professione medica (che sono stati già oggetto di pronunciamento, ad esempio da parte di alcune componenti ordinistiche), quanto su quelli che impattano sugli ambiti disciplinari specifici.

Per quanto attiene specificamente all’area della Medicina Fisica e Riabilitativa, le poche righe del comma 566 sembrano porre in discussione, forse più che per altre specialità mediche, alcuni degli elementi fondanti e dei modelli di riferimento su cui essa basa la pratica clinica, ed è questo uno dei motivi per cui la Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa ritiene indispensabile porre alcune questioni ulteriori e specifiche rispetto ai già paventati rischi di frammentazione e parcellizzazione dei processi di cura.

Una prima osservazione riguarda l’omissione del termine “riabilitazione” dall’elenco delle competenze mediche, che vengono definite in termini di “prevenzione, diagnosi, cura e terapia”. A meno che non si sia inteso ricomprenderla nell’ambito più generale delle attività di cura e terapeutiche (scelta che peraltro non coglierebbe appieno gli elementi di reale “complessità” del processo riabilitativo), questa formulazione sembra voler escludere dall’ambito dei saperi e delle competenze medico specialistiche proprio il settore su cui si incardina la ragion d’essere della specialità.

E’ vero che l’ambito generale della riabilitazione è ben più ampio del perimetro di saperi e competenze che caratterizzano il medico specialista fisiatra, così come, ad esempio, l’ambito della salute mentale è più ampio di quello delle discipline, mediche e di altre professioni, che contribuiscono ai processi di cura. Non a caso, in entrambi questi settori, sia sul piano della elaborazione teorica, che su quelli dell’organizzazione dei servizi e della pratica clinica, è da tempo riconosciuta la necessità di modelli di approccio multidisciplinare, multiprofessionale e, a volte, anche transdisciplinare. Tuttavia, non è possibile trascurare il fatto che l’ambito specifico della disabilità, e del complesso di misure che tendono a ridurla, emendarla o compensarla, rappresentano il nucleo fondamentale attorno a cui i strutturano il sapere e le attività del medico specialista fisiatra. Questi si caratterizza per una serie di “technical skills” specifiche, che egli può esprimere in modo autonomo, così come accade per altri specialisti, ma anche per la necessaria conoscenza delle interrelazioni fra i diversi fattori (biologici ed ambientali) che concorrono alla disabilità, la capacità di individuare, insieme ad altri professionisti, le possibili opzioni di cura, e comporre in una cornice operativa unitaria (il progetto riabilitativo individuale) i diversi interventi possibili.

Non si pone qui la questione in termini di tutela di veri o presunti privilegi del medico specialista; la riflessione intende essere più profonda, ed attiene ad aspetti complessi di integrazione interprofessionale di cui è necessario tenere conto, anche a beneficio del lavoro e della soddisfazione di tutti gli altri professionisti che operano nel settore della riabilitazione, e che è difficile pensare di “normare”, con una metodologia di stampo “top-down”.
Non è casuale che in un recente intervento sul tema, Saverio Proia affermi che “quali debbono essere queste competenze non può essere cristallizzato in una norma di legge bensì non può che essere il risultato di un articolato e partecipato processo dinamico e non statico di identificazione scientifico, professionale e giuridico, …”. Ma allora, perché partire da quella che casomai dovrebbe essere la fase finale di tale processo, e proprio da una “norma” che fa paventare rischi di cristallizzazione?

La riabilitazione è un processo non riconducibile ad un semplice insieme di “atti” o prestazioni, anche se tutti effettuati da professionisti esperti nell’ambito di “ruoli e competenze” ben definiti e in una sequenza ben organizzata. La ricerca in questo settore ci dice che il risultato della presa in carico riabilitativa va valutato in termini di “prodotto” e non di “somma” di interventi, e che è la qualità delle reciproche interazioni fra loro, e fra i molteplici professionisti che vi concorrono, a condizionare in modo sostanziale gli esiti in termini di salute, autonomia e qualità di vita.

In questa prospettiva, si comprende che è molto problematico, ad esempio, categorizzare in modo univoco gli “atti complessi”, e dedurne, quasi per un processo di sottrazione, la definizione di atti “semplici”; ciò che è semplice nel contesto di un determinato progetto riabilitativo o in un determinato setting di cura può essere complesso in un altro. Questo è tanto più vero quanto più numerosi sono i fattori che alterano lo stato di salute e l’autonomia, come nel caso delle persone che presentano più patologie, ad andamento protratto, e molteplici condizioni disabilitanti, dovute a fattori sia biologici che socio-ambientali.

In conclusione, la Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa sollecita i legislatori e i programmatori ad una riflessione metodologica, prima ancora che di merito, e ad una reale attenzione alle istanze delle comunità scientifiche. Questo nella convinzione che i percorsi di giusta valorizzazione deli ruoli e delle professioni debbano partire dai contenuti culturali e scientifici di cui ciascuna di esse è portatrice, da una valutazione “sul campo” delle loro reciproche interazioni, per giungere poi alla definizione degli appropriati contesti normativi, e non viceversa.

Paolo Boldrini
Presidente – Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (Simfer) 

23 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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