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Responsabilità e colpa in medicina. Un vademecum per sottrarsi alla gogna. Ma una nuova legge è indispensabile

di D.Amati e D.Montemurro

Per capire di cosa stiamo parlando bisogna provare a ricevere un avviso di garanzia per omicidio colposo ed essere sottoposti alla gogna mediatica. Passare da indagato ad imputato e condannato prima ancora di entrare in tribunale. Questa è la realtà. Alcuni consigli per “difendersi al meglio”. Ma serve subito una legge chiara

20 MAR - In questi ultimi giorni è stata avviata da una nota associazione di consumatori l’ennesima campagna contro la “malasanità”, che spesso vuol dire contro coloro che, come noto, sono esposti nell'esercizio della professione ad un fuoco incrociato di profili di responsabilità che gli si pongono davanti come un "plotone di esecuzione" in attesa che succeda qualche cosa. E, prima o poi, qualche cosa succede.
 
Dal punto di vista penale, l'attuale impostazione giuridica assimila il medico in tutto e per tutto al conducente di auto che ubriaco investe e uccide qualcuno, al di là delle finalità sociali dei suoi atti.
 
Bisogna provare a ricevere un avviso di garanzia per omicidio colposo, essere sottoposti alla gogna mediatica, passare da indagato ad imputato e condannato prima ancora di entrare in tribunale, passare anni di tormenti psicologici con il fine pena mai essendo la prescrizione illimitata. Anche se, come quasi sempre accade, il processo si concluderà in assoluzione, chi ci restituirà il tempo passato in tormento, la perdita di immagine, l'indelebile traccia che lascerà questo evento nella nostra psiche? E tutto questo solo per avere svolto il proprio lavoro.
 
Decisamente più complicato risulta il profilo della responsabilità civile, in cui l'onere della prova è invertito, quindi spetterà al medico (fino ad oggi?) dimostrare di non avere fatto errori e di avere rispettato tutti gli “obblighi contrattuali” posti in essere quando un paziente si presenta presso una struttura sanitaria pubblica. Nella procedura civile molto spesso il giudice tende a condannare al risarcimento della presunta parte lesa. Quando ci sono di mezzo i soldi incominciano i meccanismi “perversi”. Chi paga, e quanto? Ciò che interessa al giudice è che il danno venga risarcito. Il danno soprattutto nella nostra giurisprudenza è sia di tipo patrimoniale (cioè derivante sostanzialmente dalla capacità di produrre reddito) che extra patrimoniale, con una sfilza notevole di opzioni.
 
Spesso, proprio per l'atteggiamento “paternalistico” e “pietistico” del giudice, l'entità stessa dei risarcimenti, in alcuni casi, diventa totalmente fuori dal controllo e difficile da prevedere. Se il medico, o l'equipe di medici coinvolti, lavorano in regime di libera professione, ovviamente saranno chiamati a risarcire in prima persona o tramite le loro assicurazioni nella speranza che offrano una copertura il più possibile ampia. Per i medici dipendenti dal SSN, la situazione negli anni si è modificata. Qualche anno fa, l'obbligo contrattuale della copertura era soddisfatto dalle aziende tramite polizze assicurative. Ma negli anni le assicurazioni, visto il proliferare delle cause (e forse l'atteggiamento punitivo con cui erano condotte le stesse), si sono progressivamente “ritirate” da un ricco mercato lasciando delle situazioni di scoperto. A questo punto ogni regione, e spesso ogni ASL, ha fatto a modo suo,in regime di autoassicurazione parziale o totale. 
 
Il che apre la strada ad una altra tipologia di danno ed ad un altro profilo di responsabilità, quello erariale. Poniamo che o in sede giudiziale o stragiudiziale la azienda sanitaria decida di liquidare il danno.
 
Primo caso:dopo un processo civile viene stabilito che il risarcimento del danno “x” è quantificato in 500.000 euro. La mia ASL paga in prima istanza. Se la liquidazione arriva direttamente da una assicurazione (cosa al giorno d'oggi molto improbabile) la mia posizione è di relativa sicurezza: danno liquidato, la ASL non ha tirato fuori un centesimo, probabilmente nessuno mi chiederà più nulla. Se però i soldi sono direttamente dell'ASL o di un fondo regionale, insomma se sono soldi “pubblici”, l'amministrazione è tenuta a mandare il fascicolo alla corte dei conti la quale potrà chiedermi conto di quell'esborso, intentando eventualmente un vero e proprio processo con caratteristiche simili al processo penale. Se posseggo una assicurazione personale che mi copre anche questo profilo di responsabilità andrò ad accendere un cero, se non ho però questa tipologia di assicurazione, verrà intaccato il mio patrimonio personale. Insomma verrò letteralmente rovinato.
 
Secondo caso: in assenza di processo, in sede stragiudiziale, senza che mi venga comunicato ufficialmente alcunché, la mia azienda decide di liquidare il presunto danno. Allo stesso modo del caso precedente verrà inviata informativa alla corte dei conti e da quel momento il mio destino è esattamente uguale al caso precedente ma la aggravante e che io non so nulla.
 
Tanto per “allentare” un po' la tensione, ricordiamo la responsabilità disciplinare. La legge Brunetta ha introdotto nuove norme di regolamentazione disciplinare nella P.A. e questo tipo di procedimento, svolgendosi al di fuori dei tribunali, va gestito, in modo molto attento, possibilmente rivolgendosi ad un legale, poiché tra i suoi possibili esiti vi è anche il licenziamento.
Inoltre, grazie al nostro titolo “onorifico” di dirigenti, “godiamo” anche del profilo di responsabilità di tipo dirigenziale che prevede una serie di obblighi e quindi di relative sanzioni.
 
Come difendersi:
Scrivere tutto quello che si fa nella cartella clinica e nei vari referti. La ricostruzione dei fatti avviene in primis tramite la cartella clinica e, se non scritto, sarà decisamente più difficile dimostrare che avete detto o fatto quella determinata azione.
In un DEA vista l'intensità di lavoro, è possibile scrivere tutto ciò che si vorrebbe scrivere? Ovviamente no. Si cominciano a valutare le priorità che sono la vita del paziente e la necessità di valutare più persone possibile. E la medicina difensiva? Questa si commenta da se.
E se fossi consapevole che le condizioni in cui mi trovo ad operare (vuoi per gli eccessivi carichi di lavoro, vuoi per la mancanza di strumenti fondamentali) sono potenzialmente rischiose per il paziente e lo segnalassi nelle sedi competenti (ad esempio: direttore di struttura, direzione medica, dipartimento ecc.) il mio profilo di responsabilità si attenuerebbe? Paradossalmente la mia posizione si aggrava perché pur sapendo che avrei potuto sbagliare, non ho fatto nulla per evitarlo e quindi dovrei rifiutarmi di lavorare in quelle condizioni e addirittura licenziarmi. Figurarsi!
Una polizza assicurativa per la rivalsa da parte di Regione o Corte dei Conti è ormai diventata un utilissimo ferro del mestiere.
 
Sia ben chiaro, ogni medico che fa il suo lavoro con coscienza sa, che se sbaglia, dovrà pagare l'equo prezzo del suo errore, come ogni cittadino, ma spesso è il concetto di equità che sfugge.
 
Allora, serve una nuova sentenza o è la dolosa inerzia del legislatore che deve essere sanata?
La sentenza n. 1430 del 2 dicembre 2014 del Tribunale di Milano ribadisce l'orientamento già espresso con due pronunce della scorsa estate, e cioè il carattere extracontrattuale della responsabilità del medico dipendente di una struttura ospedaliera che, in ragione della propria condotta, cagioni un danno al paziente. Ma, a noi sembra che ribadire qualcosa non metta al riparo nessuno, anzi spesso può condurre la giurisprudenza a dividersi. Serve una Legge! Ed in tempi rapidi!
 
Dario Amati
Coordinatore Macroarea Nord Settore Anaao Giovani
 
Domenico Montemurro
Responsabile Nazionale Settore Anaao Giovani

20 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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