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Se la maternità diventa una “trappola” per le donne in carriera

di Maria Ludovica Genna

Una recente indagine dell’Ansa ha rilevato un’alta percentuale di italiane che credono che la maternità possa essere un grosso deterrente alla propria carriera professionale. L’Italia, con 1.33 figli per donna, è nei posti di coda per la natalità secondo il rapporto Eurostat e secondo l’Osservatorio Mobbing Nazionale sono almeno 350mila le donne discriminate per la propria maternità

25 LUG - La rivista the New Statesman, alcuni  giorni fa, ha pubblicato un articolo all’interno del quale  ci si chiedeva come mai le donne di successo non abbiano figli. La rivista coniava il termine di “trappola della maternità”, portando a supporto di tale tesi la foto di Angela Merkel,  di Nicola Sturgeon, primo ministro della Scozia, Liz Kendall lady di ferro dei labouristi e Theresa May ministro degli Interni raccolte intorno ad una culla contenente un’urna elettorale. Allo stesso tempo ha fornito dati che indicano quanto il 45% delle donne presenti nel parlamento inglese non abbiano figli contro il 28% dei  colleghi maschi. In Inghilterra il dibattito ha avuto un acceso seguito per via dello scontro tra la candidata labourista Kendell - single e senza figli -con la deputata Cooper - madre di 3 figli - sull’ importanza della scelta di una leader donna con o senza figli e le possibili implicazioni elettorali.
 
Cambiando continente, in America, la situazione muta. Viene fotografato, infatti,  Barack Obama presidente USA che va in vacanza da solo con le figlie e la notizia viene accolta con un grosso clamore mediatico. A tal proposito vale la pena ricordare lo studio della sociologa Michelle Buding, dell’Università di Massachusetts, in cui viene ribadita la tesi secondo cui la paternità dei dipendenti viene considerata un vantaggio premiato con un bonus dai datori di lavoro, mentre la maternità una debolezza, perché le donne lavorano di meno e si distraggono di più per problemi familiari legati ai figli e alla gestione del menage familiare.
 
L’agenzia Ansa, da alcuni giorni, ha approntato un questionario online per verificare se davvero i figli finiscano con l’impedire la carriera di una donna e se - tale eventualità - avvenga solo in alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Dalle risposte inviate risulta attualmente ben più alta la percentuale di coloro che credono che la maternità possa essere un grosso deterrente alla propria carriera professionale. L’Italia, con un indice statistico di 1.33 figli per donna, è nei posti di coda per la natalità secondo il rapporto Eurostat e secondo l’Osservatorio Mobbing Nazionale sono almeno 350mila le donne discriminate per la propria maternità. I dati presenti nei vari studi degli Ordini Professionali dei Medici sottolineano che il binomio donne e figli mal si concilia con il lavoro e con le progressioni di carriera.
 
Per i primi 3 anni di vita del bambino, in Francia, sono previsti 180 euro al mese. Il lavoro part time se legato alla crescita dei bambini, aggiunge un complemento di stipendio di 200 euro al mese, anche esso per altri tre anni. In più, c'è la famosa "allocazione familiare", che in Francia viene data a tutti indipendentemente dal reddito, a partire dal secondo figlio: 130 euro al mese fino alla maggiore età, importo che aumenta a seconda del numero dei figli. E non solo, a ciò si aggiunge alla nascita di ogni figlio,  900 euro per le spese vive, come passeggino e culla.
 
E poi gli asili nido pubblici al costo ragionevole di circa 100-150 euro al mese, sebbene legati al reddito e quindi suscettibili di aumento in rapporto all’imponibile. Efficiente e organizzata poi è la rete di soluzioni alternative come le assistenti materne che tengono 3 o 4 bambini per volta in un appartamento a norma; poi ci sono i nidi familiari, cioè famiglie che si riuniscono in associazioni e organizzano un asilo in spazi collettivi che affittano, con consistenti sgravi fiscali per la loro direzione e conduzione; infine, ci sono i nidi aziendali, che sono molto convenienti per le aziende stesse, perché lo stato copre una buona parte dei costi e delle spese di gestione.
 
Ma cosa è stato fatto nel corso degli anni nel comparto Sanità affinché la gravidanza non fosse considerata un evento di conflittualità? La Fnomceo, in collaborazione con il Ministero della Sanità, dovrebbe farsi carico di tutte le azioni di tutela, affinché le donne medico non risultino svantaggiate da un evento fisiologico e non siano discriminate in ambienti lavorativi che risentono di croniche carenze di personale dovute al blocco del turn-over.
 
Non varrebbe la pena di implementare gli studi di genere per cercare di definire la vera entità del problema? Non andrebbe predisposto un capillare monitoraggio nelle aziende per conoscere se esistono prassi positive da attuare, ove vi è personale in gravidanza, soprattutto in relazione alle varie specificità mediche? Non si potrebbe pensare di applicare norme con l’obbligo per i datori di lavoro di sostituire le lavoratrici in gravidanza, al fine di evitare anche l’ aggravio dei carichi lavorativi del personale sia maschile che femminile? E nelle aziende dove non vi sono asili nido, oltre che favorirne la nascita, perché non prevedere obbligatoriamente orari flessibili per le madri?
 
Occorre superare definitivamente la fase dell’analisi e puntare concretamente alla soluzione del problema della conciliazione, se si vuole realmente salvaguardare la natalità di questo paese.
 
Dott.ssa Maria Ludovica Genna
Osservatorio Sanitario di Napoli

25 luglio 2015
© Riproduzione riservata

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