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L’infermiere è il “Re del Mondo”. Ma nessuno lo sa, tranne l’Ipasvi

di Ivan Cavicchi

L’ipasvi insegue nuove norme a manda continuamente gli infermieri a scuola. Per le sue norme Siringhino (l’infermiere della favola) è sempre il re del mondo ma deve studiare sempre di più per essere re, senza che mai sia messo in condizioni di esserlo veramente

03 MAR - Mia nonna  era una contadina analfabeta ma saggia e quando c’erano delle controversie in famiglia diceva sempre “chi ha più buon senso lo usi”. Vorrei seguire il suo consiglio e rivolgermi a Siringhino l’infermiere della favola, per fare quello che so fare, cioè il mio mestiere, che “pro bono publico” pensa il pensiero della sanità e ci ragiona sopra.
 
Mi ripropongo di esaminare quella che a me pare  essere la sola proposta strategica dell’Ipasvi vale a dire il documento approvato dal Comitato Centrale della FNC Ipasvi con delibera n. 79 del 25/4/15 “Evoluzione delle competenze infermieristiche” e sul quale con mia grande meraviglia non ho trovato una gran discussione  a parte l’analisi intelligente quanto drammaticamente solitaria  di Marcella Gostinelli (Infermieri. Ecco perché non è solo questione di "competenze").
Ma prima di farlo è giusto che io chiarisca a Siringhino per onestà intellettuale “il mio punto di vista”, vale a dire i presupposti dai quali partiranno le mie valutazioni.
 
Lo farò in modo succinto invitando tutti voi a leggere quello che oggettivamente è la riflessione più avanzata sulla  “questione infermieristica” ed è il libro edito da Quotidiano Sanità e curato da Chiara D’AngeloIl riformatore e l’infermiere. Il dovere del dissenso”. Questo volume ha selezionato tutto quanto di importante ho scritto sulla “questione infermieristica” dal 2010 ad oggi e mi evita un sacco di ripetizioni. In questo libro troverete anche la storia di Siringhino.
 
Inizierei  intanto chiarendo a Siringhino l’espressione “questione infermieristica”. Essa non è nuova ed è del tutto parallela a quella da me usata di “questione medica” ma non solo perché esistono tra queste professioni delle problematiche comuni, ma perché sono convinto che il lavoro in quanto tale in sanità sia la grande questione e quindi il vero oggetto di riforma  mai veramente riformato. Il lavoro per me quindi anche quello dell’infermiere, costituisce nei confronti di ciò che continuamente cambia, l’invarianza più significativa del sistema sanitario pubblico cioè l’entità che pur aggiornata giuridicamente e contrattualmente nel tempo non ha cambiato le prassi concrete di tutti i giorni come avrebbe dovuto e potuto fare.
 
A questa tesi ne seguono altre:
· il lavoro che in una società non cambia diventa regressivo cioè poco adeguato ai cambiamenti e la sua regressività è un sovracosto,
· la regressività del lavoro è una causa importante(non l’unica) della regressività del sistema,
· la regressività del sistema aumenta i suoi costi abbassandone il grado di adeguatezza nei confronti dei bisogni dei malat,i
· non si risolve il problema della regressività del sistema ne sul piano economico ne su quello sociale  senza risolvere quello della regressività del lavoro,
· riformare il lavoro vale come riformare  il sistema cioè renderlo meno costoso e più adeguato ai bisogni di salute.
 
Per “questione infermieristica”, nello specifico, intendo tutto quanto concorre a rendere la professione infermieristica  regressiva. Essa ha:
· dei problemi comuni con  altre “questioni professionali”,
· dei problemi specifici legati alla sua singolarità.
 
Il mio primo presupposto di partenza  è: “esiste una questione infermieristica”. Tale questione essendo costituita da tanti problemi diversi (normativi, organizzativi, culturali, contrattuali, contestuali, ecc.) non è riducibile ad uno solo di essi o a poche sub-soluzioni. Le mie prime obiezioni  al documento Ipasvi riguardano proprio questo punto:
· la “questione infermieristica” non è riducibile ad un problema di competenze,
· la sua risoluzione dipende dalla capacità di ricomporre in un nuovo progetto professionale, le principali soluzioni ai principali problemi che sino ad ora hanno bloccato l’evoluzione della professione,
· anche ipotizzando dei poter far passare in qualche modo nuove competenze la “questione infermieristica” sussisterebbe.
 
Passiamo al secondo presupposto: a parte i problemi comuni con altre professioni in cosa consiste  la specificità della  “questione infermieristica”  In primo luogo:
· la non attuazione delle norme che hanno ridefinito negli anni 90  il profilo e l’autonomia della professione,
· il venir meno di un disegno riformatore quindi l’affermarsi della post ausiliarietà cioè di una specifica forma  di regressività,
· l’aver pensato ad una  norma  senza una riforma di supporto dei contesti in cui essa  doveva  applicarsi.
 
A monte  della “questione infermieristica” secondo me c’è una primaria responsabilità della professione che non è riuscita, per difficoltà diverse, ad essere conseguente almeno sul piano del progetto con le premesse riformatrici della propria ridefinizione professionale. Ormai l’esperienza, cioè i fatti, ci dicono in modo inequivocabile che se non si riforma il contesto in cui la norma deve agire la sua invarianza disattiverà la norma. Diciamolo meglio: il significato di base della professione infermieristica ancora oggi è in aperta contraddizione con il suo significato contestuale a causa  soprattutto dall’invarianza delle organizzazioni e delle prassi.
 
Da ciò ricavo altre obiezioni al documento Ipasvi: l suo obiettivo è creare nuove norme che definiscano la professione infermieristica tutto sommato rifacendo lo stesso cammino fatto negli anni ‘90 con le stesse logiche e gli stessi approcci, ma in nessun modo sono definite le necessarie riforme di supporto  per la loro attuazione a parte la solita storia del percorso di studi. Si riproduce quindi mutatis mutandis un  problema storico di inconseguenza normativa  senza mai risolverlo. La norma diventa altra norma in contesti invarianti per di più con peggiorate condizioni finanziarie quindi  resistenti a qualsiasi indicazione riformatrice. L’Ipasvi reitera e non rimuove la contraddizione tra significato di base e significato contestuale della professione.
 
In tale contraddizione caro Siringhino  rientrano  anche tutte le false soluzioni che non hanno funzionato nel tentativo di rimuoverla cioè quei tentativi messi in campo dall’Ipasvi per aggirare l’obbligo del supporto riformatore alla norma, le famose “scorciatoie”, e ben riassunte e rappresentate dal comma 566.
 
Il fallimento del comma 566 che dopo essere abortito sul piano concertativo oggi è sancito in modo significativo dai provvedimenti presi dall’ordine dei medici di Bologna contro altri medici, (un fatto senza precedenti) e sul quale mi riservo di fare una riflessione ad hoc, è un fallimento strategico che non solo lascia gli infermieri al palo cioè fermi alla post ausiliarietà, ma ci dice che è cosa vana tentare di rimuovere la contraddizione significato di base/significato contestuale con logiche impositive sugli altri, sottrattive di compiti, competitive nei ruoli, conflittuali nei modi.
 
Il grande errore strategico  del 566 è aver assunto il contesto da cambiare  come una controparte nemica cioè facendogli la guerra. Il contesto a mio giudizio come dimostra anche Bologna, non va combattuto ma va riformato e per farlo è necessario negoziare con esso le condizioni di riforma  favoriti in ciò da due condizioni:
· le diverse  professioni che sono nel contesto  hanno obblighi di complementarietà e di reciprocità,
· le diverse professioni hanno problemi comuni e interessi comuni sulla base dei quali è possibile fare delle alleanze riformatrici.
 
Quindi  dopo il fallimento del comma 566, che lo ribadisco è il fallimento della vecchia strategia di puntare sulla norma usandola con la forza ignorando i problemi di contesto, si può dire che è molto meglio anche se più difficile usare la complementarietà tra professioni per condividere un supporto riformatore comune che convenga a tutti, malato compreso. Sono convinto che su questa base i medici davanti a proposte serie, come ha dichiarato lo stesso presidente dell’ordine di Bologna,sarebbero disponibili a esplorare una intesa.
 
L’ultima obiezione generale al documento Ipasvi è quindi ancora una volta strategica ed è la seguente: nonostante l’evidente fallimento di una strategia appiattita sulla conquista della norma e che parte dalla legge 42 per arrivare al comma 566 essa  è riprodotta  sic et simpliciter nelle nuove proposte Ipasvi.
 
Nei prossimi articoli entreremo nel merito di questo documento per ora ci limitiamo ad appuntarci una nota a margine che certamente ma nostro malgrado, non farà piacere né a Siringhino né a Barbara Mangiacavalli.
 
Se la “questione infermieristica” nasce sostanzialmente:
· da un impasse tra  vecchio e nuovo,
· da contesti invarianti che si oppongono alle norme,
· da contraddizioni tra i diversi significati di infermiere,
· da errori strategici degli stessi infermieri  e dalle loro incapacità progettuali,
· da norme inconseguenti...
 
...allora il problema principale dell’Ipasvi prima di tutto si chiama Ipasvi, una variante del celebre adagio “il primo nemico dell’infermiere è l’infermiere”, cioè una istituzione pubblica evidentemente a conduzione famigliare che nonostante abbia ben due presidenti resta infeconda di soluzioni, per la quale l’uva è senza semi e le galline non fanno le uova, incapace soprattutto di apprendere dai propri sbagli  e che, nonostante le sconfitte e gli insuccessi, ripropone nevroticamente  sempre e solo le stesse strategie perdenti.
 
L’ipasvi insegue nuove norme a manda continuamente gli infermieri a scuola. Per le sue norme Siringhino è sempre il re del mondo ma deve studiare sempre di più per essere re, senza che mai sia messo in condizioni di esserlo veramente.
 
Ivan Cavicchi

03 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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