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Responsabilità medica. Non si eseguono interventi chirurgici se la diagnosi non è certa. Il Tribunale di Taranto condanna due ortopedici


Risponde penalmente il medico che non esegue i necessari accertamenti pre-operatori e nel caso specifico il Tribunale di Taranto (sentenza 378/2017) ha condannato due ortopedici per imprudenza, imperizia e negligenza proprio per aver omesso le indagini diagnostiche su un paziente ricoverato in ospedale per un infortunio durante una partita di calcetto. LA SENTENZA.

16 OTT - Non si opera se la diagnosi non è certa. E nella fase diagnostica pre-chirurgica non si possono omettere gli esami necessari alla prognosi. Risponde quindi penalmente il medico che agisce contro questa regola e nel caso specifico il Tribunale di Taranto (sentenza 378/2017) ha condannato due ortopedici per imprudenza, imperizia e negligenza proprio per aver omesso le indagini diagnostiche su un paziente ricoverato in ospedale per un infortunio durante una partita di calcetto.

Il fatto
A seguito di una caduta durante una partita di calcetto, il paziente si recava presso il pronto soccorso dell'ospedale di Castellaneta dove l’esame radiografico riscontrava "lussazione dell'articolazione del gomito (destro), frattura del capitello radiale, non si può escludere una infrazione dell'olecrano ulnare".

Pochi giorni dopo il paziente era operato, ma  durante l'intervento veniva ravvisata "la non presenza di frattura del capitello pur nel quadro di una articolazione del gomito instabile", sebbene la frattura del capitello radiale fosse stata riscontrata dall’ esame radiografico e non veniva rilevata la rottura dei due legamenti collaterali del radio e dell'ulna, evincibile dal primo esame radiografico per via della forte dislocazione articolare, a causa della mancata ricerca della detta lesione. L’operazione consistette in "capsulo plastica e stabilizzazione con fissatore esterno Orthofix", mentre in realtà sarebbe stato necessario procedere a "fissazione osteo - articolare con mezzi di sintesi".

Giorni dopo il paziente era dimesso senza che venissero prescritti antibiotici.

Nei mesi successivi il paziente era sottoposto a intervento chirurgico di "rimozione fissatore esterno" da parte di personale medico e dimesso con diagnosi di "esiti di lussazione ed infiltrazione del capitello radiale gomito destro . La diagnosi errata che aveva escluso la frattura del capitello, il mancato riscontro della rottura dei due legamenti collaterali del radio e dell'ulna, anche a causa della mancata esecuzione di indagini strumentali (Rnm), l'inopportuna scelta terapeutica di procedere a "capsulo plastica e stabilizzazione con fissatore esterno Orthofix piuttosto che a "fissazione osteo-articolare con mezzi di sintesi" determinavano:

1) una lussazione a livello omero - radiale;
2) la frattura del capitello radiale scomposta mal consolidata, associata ad altra frattura mal trattata del processo coronideo dell'ulna;
3) la lesione non trattata dei legamenti collaterali ulnare e radiale e una alterazione del tendine del tricipite brachiale alla sua intersezione a livello di epitrochea (al margine supero - posteriore della fossa ole cranica);
4) algodistrofia dell'olecrano.

La mancata prescrizione di terapia antibiotica all'atto delle dimissioni ha determinato un gemizio purulento dei tramite di intersezione del fissatore esterno e reazione sinoviale cronica, con conseguente malattia di durata superiore a 40 giorni.

Le motivazioni della sentenza
Il comportamento complessivo dei medici quindi, che non aveva rispettato i canoni prescritti, aveva determinato l'allungamento della malattia del paziente, che si era protratta per ben di più di 40 giorni e aveva quindi determinato un deficit funzionale da qualificare come lesione grave.
Riferendosi al nesso di casualità, il Tribunale di Taranto ha ricordato che in caso di responsabilità per condotte omissive in fase diagnostica, "occorre far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico" con il quale accertare se "quest'ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell'evento o comunque ridotto l'intensità lesiva dello stesso".

In questo caso, dopo i fatti era stato eseguito un intervento riparativo che aveva determinato la stabilizzazione funzionale dell'arto del paziente. Di conseguenza, è chiaro per i giudici, che “laddove i medici avessero provveduto a praticare la seconda operazione (corretta) già nell'immediatezza dell'incidente, non si sarebbe di certo verificato il prolungamento della malattia per tutto il periodo antecedente all'intervento riparativo”.

I sanitari, quindi, sono stati dichiarati colpevoli del reato di lesioni personali colpose e condannati, con applicazione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di venti giorni di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali.

16 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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