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I cambiamenti e la crisi del medico. La sfida di tradurre le analisi in proposte concrete


“Dagli Stati generali dobbiamo essere capaci di ricavare i postulati per ridefinire un nuovo canone, una nuova ortodossia, una nuova prassi. Definire questi postulati serve alla Fnomceo per chiedere alla università di reimpostare la formazione del medico del futuro non solo aggiungendo le conoscenze che mancano ma soprattutto riformando epistemologicamente le conoscenze disponibili”, questa la sfida lanciata da i “Mercoledì filosofici” della Fondazione Ars Medica dell’Omceo di Venezia

15 MAR - Abbiamo pensato anziché scrivere il classico articolo di sintesi  sulle 100 tesi  per la ridefinizione del medico del futuro, di riportare una parte della discussione che è avvenuta tra noi, qui a Venezia, nell'ambito del progetto dei “mercoledì filosofici”, per dare l’idea del suo carattere dialogico (escluso l'intervento del prof. Tarca che è già stato pubblicato a parte).
 
Con i  mercoledì filosofici che hanno preso il via lo scorso 20 febbraio all’OMCeO veneziano, organizzati per l’Ordine dal suo braccio culturale operativo, la Fondazione Ars Medica, con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari, rappresentato dai professori Luigi Vero Tarca Fabrizio Turoldo, è iniziata la riflessione  sulle 100 Tesi lanciate agli Ordini dalla FNOMCeO, in vista degli annunciati Stati Generali della professione.
 
I temi proposti nelle tesi  fanno già parte del bagaglio dell’istituzione, su cui in passato ci sono già state ampie riflessioni perché da anni, ormai, a Venezia il percorso insieme ai filosofi, è una tradizione.
 
Sei le macro-aree in cui sono state suddivise le 100 tesi: analisi della crisi, sociale, economica, scientifico-culturale, lavoro e “nuova medicina e nuovo medico”.
 
Nel primo mercoledì filosofico veneziano del 20 febbraio scorso sono state sintetizzate e trasformate in domande le prime 11 tesi per capire, ad esempio, se crisi della medicina sia uguale a crisi del medico, se cioè il medico sia oggi, senza identità; se la medicina scientifica renda oggi il medico inadeguato; se la crisi della medicina vada risolta in un’ottica tecnocratica o, invece, in una prospettiva filosofica e politica; se definire malato e malattia sia definire, oggi, i confini di medicina e medico; se, infine, il paradigma medico positivista ,basato su valori morali, scientifici e pratico-operativi, si basi davvero su valori lontani e immutabili della società.
 
“Da molto tempo – ha spiegato Ornella Mancin, medico di famiglia a Cavarzere e presidente dell’Ars Medica – la professione vive una serie di problemi. Oggi tutti si accorgono che mancano i medici e, quelli che ci sono, sono stanchi, demotivati, per tanti motivi: l’intensa burocrazia che affatica il lavoro, la mancanza di autonomia nelle scelte, la sensazione di lavorare con un cappio al collo perché politica e potere economico controllano tutte le nostre decisioni”.
 
Da qui, allora, la volontà di ripensare la professione medica a partire dalle 100 tesi di Ivan Cavicchi, commissionategli dalla FNOMCeO.
 
“La nostra professione – ha sottolineato Gabriele Gasparini, Neuro-radiologo e numero due dell’Ars – è difficile, ci assorbe spesso completamente, ci toglie alla famiglia, agli amici, ci modifica in meglio e, a volte, in peggio. È un lavoro complesso, in cui se tiri un filo sposti tutti gli altri. È una partita a mikado con molti attori che giocano contemporaneamente insieme a noi. Ma a noi è chiesto di sfilare il bastoncino colorato nell’immobilità assoluta, circondati da un mondo in continuo movimento. Le 100 tesi di Cavicchi sono una vecchia storia che incontra nuovi orizzonti. Il nostro compito, in questo ciclo di incontri, sarà andare molto più in là dell’analisi, non basta più sezionare le nostre vite da medico e analizzarle, necessita trovare delle risposte. Il bisogno di cura e di salute è cambiato, occorre evolvere ed adattarsi a questo cambiamento”.
 
Uno dei punti cardine da cui far partire la riflessione, come ha sottolineato Marco Ballico, medico, psicoterapeuta e coordinatore del comitato scientifico dell’Ars Medica, è il Giuramento di Ippocrate.
 
“Le prime due righe – ha spiegato – esplicitano in modo chiaro e netto l’ispirazione ad operare del medico: il giovane medico giura di “esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento, contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione”. Da questo si evince la parte fondante della nostra identità, da cui l’eterno dilemma : sono medico o faccio il medico?”.
 
In seguito si analizza il tema del cambio di paradigma, già sottolineato da Cavicchi nel suo testo e cioè la crisi della scienza Neopositivista che si orienta verso qualcosa di più destrutturato, ma anche più complesso.       
“Per cambiare – ha spiegato Ballico citando Thomas Kuhn e proponendo una lettura dalla storia della filosofia di Nicola Abbagnano e curata da Fornero-Restaino – occorrerebbe avere il coraggio di stravolgere il paradigma e non conservare l’attuale (come suggerirebbe il modello Neopositivista) operando aggiunte di conoscenza a conoscenza. Le scoperte sono solo uno degli aspetti delle rivoluzioni scientifiche. Nella ricerca normale, che sicuramente viviamo in questi tempi, Kuhn potrebbe sottolineare che la stessa è caratterizzata dal consenso e dalla convergenza della comunità scientifica di riferimento, e non si è di fronte, nonostante le imponenti innovazioni tecniche, a delle rivoluzioni, in quanto esse promuoverebbero il dissenso e la divergenza determinando attraverso una crisi di modalità di approccio una tensione al cambiamento irreversibile”.
 
In quest’ottica, il paradigma non è solo uno schema o un modello, è “lo strumento per un’ulteriore articolazione e determinazione sotto nuove e più restrittive condizioni. Non è quindi uno strumento per la sola ripetizione, ma uno strumento che consente di operare in maniera innovativa nel risolvere problemi e rompicapi che si presentano nell’attività quotidiana della scienza”.
 
“La scienza dunque, – ha detto Ballico – non può essere avulsa dalla sociologia e dagli aspetti economici, la scienza che viviamo in questi tempi sembra essere quella che serve a risolvere i problemi contingenti, quei famosi rompicapi che Kuhn sottolinea ci si trova davanti continuamente nel corso della storia quando l’obiettivo è trovare una modalità di lettura della natura attraverso la scienza stessa. L’identità del gruppo è quella di accogliere la rivoluzione scientifica o cercare di risolvere solo un altro rompicapo?”.
 
“Ma noi medici, – ha rilanciato la dottoressa Mancin – cresciuti in una scienza ritenuta sempre esatta, per cui è vero solo ciò che è dimostrabile, siamo in grado di concepire un cambiamento di paradigma che ci porti fuori da questa visione? Considerando, poi, che anche noi talvolta ci sentiamo schiacciati da una scienza diventata sempre più compressa, una medicina fatta di protocolli, di linee guida... Siamo sicuri che la nostra scienza possa essere basata solo su questo?”.
 
Il professor Fabrizio Turoldo ha iniziato la sua analisi spiegando come nella seconda metà del Novecento l’idea della scienza come rapporto tra causa ed effetto e del medico come custode della scienza esatta sia stata messa in discussione e di come, anche in Italia, fin dagli anni Settanta si cominci a parlare di crisi della ragione, della crisi dei paradigmi nei vari campi del sapere.
 
Citando il saggio “Spie. Radici di un paradigma indiziario “dello storico Carlo Ginzburg – in cui si mettono a confronto tre personaggi Giovanni Morelli, che a fine Ottocento ha messo in crisi il mondo dell’arte scoprendo che alcuni celebri quadri erano falsi, Sherlock Holmes e Sigmund Freud– ha sottolineato l’importanza dell’ermeneutica, dell’interpretazione.
 
“Ognuno di questi personaggi – ha detto – non osserva la cosa in sé: Morelli non può vedere il falsario che disegna, ma dalle tracce che lascia, interpretandole, risale alla verità. Così pure Sherlock Holmes e Sigmund Freud che, dalle tracce lasciate sulla scena del delitto o nell’inconscio, risalgono all’assassino e all’inconscio. Allo stesso modo il medico non vede la malattie, vede le tracce lasciate dalla malattia, i sintomi, e le interpreta”.
 
Un’interpretazione, però, che talvolta è difficile e che non è mai qualcosa di certo. “Anche usando tecnologie molto sofisticate – ha aggiunto – ancora oggi il medico si trova ad interpretare dei segni: guardando una morfologica o una lastra, c’è il medico che ha il fiuto particolare di Sherlock Holmes e quello che è Watson, che utilizza, cioè, le categorie standard”.
 
La malattia, insomma, non si vede: si vedono i sintomi che vanno interpretati. Questo è, secondo Turoldo, “un paradigma indiziario, statistico, probabilistico, dipendente dall’operatore che si prende spesso grandi responsabilità. Le linee guida sono, certo, importanti, ma non tutto può essere ridotto e vincolato ad esse, anche per problemi di carattere etico”.
 
Si è aggiunto poi l'intervento di  Tiziana Mattiazzi, (del gruppo filosofico  Libera Associazione di Idee)  che ha precisato che i paradigmi ci servono perché non possiamo ogni volta ripartire da zero, ma dal momento che passano da essere binari facilitatori di lavoro a veri e propri ostacoli, essi devono essere messi in discussione: “Qualcosa si deve liberare dal paradigma, la struttura paradigmatica che vincola ed imbriglia prima dell’azione anche il pensiero è fonte di sofferenza per i medici, che vivono una sensazione di incatenamento. Ecco quindi che dal paradigma si deve liberare energia, un campo aperto che permetta ai singoli di fare quelle scelte in scienza e coscienza che Ippocrate fin dall’antichità aveva affermato”.  
 
I pregnanti discorsi dei filosofi – che abbisognano di una digestione lenta e profonda, hanno inevitabilmente allargato la discussione.
 
Tra i temi emersi:
- l’idea che il paradigma sia qualcosa che comunque il medico interpreta, “perché noi cambiamo paradigma tutti i giorni e spesso anche più volte in un solo giorno”;
 
- la necessità di recuperare un po’ dell’intuito che caratterizzava il medico “di una volta”, al di là delle linee guida e dei protocolli, “per curare il malato, che è una persona e non può, quindi, rientrare in una casella”;
 
- la possibilità che la standardizzazione delle cure, il curare bene dalle Alpi alla Sicilia, spesso richiesta proprio dal paziente, porti alla scomparsa del medico, che non è più così importante, diventa un optional, perché a essere importante è la cura
 
- la sensazione del medico di vivere una sorta di schizofrenia: da una parte il paziente che pretende, dall’altra lo stesso paziente che rivendica umanità. “Ma allora io divento una macchina o resto una persona?”;
 
- il vivere, da parte del medico, una doppia sofferenza: quella legata al mondo che cambia velocemente e a cui si fa fatica ad adattarsi e quella degli altri, dei pazienti, che va accolta;
 
- il rapporto con il paziente che si va via via sgretolando;
 
- il senso di fallimento che colpisce il medico quando un paziente rifiuta le cure;
 
- il dubbio legato a una possibile soluzione di questa crisi del medico: “Dobbiamo evolverci o tornare indietro?”;
 
- la sensazione di non far più parte di qualcosa, “prima eravamo una classe, ora siamo tanti singoli, siamo più divisi”;
 
- la capacità di capire l’altro, il paziente, diverso dal medico, il suo vissuto, il suo contesto, “tutte cose che non si possono inserire in un protocollo”.
 
“La conclusione”, osserva in chiusura Ornella Mancin, “è che noi condividiamo e sottoscriviamo le tesi esposte nella prima macro area delle Tesi (I cambiamenti e la crisi), anzi ci complimentiamo per la lucidità e per il grande respiro culturale, ma proprio per questo ci poniamo il problema di come tradurre un’analisi per certi versi ineccepibile, in proposte concrete.
 
“E’ evidente” continua Mancin “che per ridefinire un paradigma il terreno privilegiato è l’epistemologia. Per cui dagli stati generali dobbiamo essere capaci di ricavare i postulati per ridefinire un nuovo canone, una nuova ortodossia, una nuova prassi. Definire questi postulati serve alla Fnomceo per chiedere alla università di reimpostare la formazione del medico del futuro non solo aggiungendo le conoscenze che mancano ma soprattutto riformando epistemologicamente le conoscenze disponibili. La cosa che a me sembra più difficile è ripensare l’epistemologia attuale, cioè ripensare la nostra preziosa idea di scienza, senza tradire mai l’idea di scienza”.
 
Questo resoconto dell’incontro è stato curato  della Commissione scientifica della Fondazione Ars Medica- OMCeOVE, composta da:
Dr. Marco Ballico, Coordinatore Commissione Scientifica Ars Medica
Dr. Gabriele Gasparini, Vicepresidente Fondazione Ars Medica
Dr.ssa Ornella Mancin, Presidente Fondazione Ars Medica
Prof. Luigi Vero Tarca, Filosofo - Università Ca' Foscari Ve nezia
Prof. Fabrizio Turoldo, prof. Associato di filosofia -Università Ca' Foscari Venezia

15 marzo 2019
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