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La Medicina che vorremmo

di Enzo Bozza

07 MAR - Gentile Direttore,
“Esiste, nel vero senso della parola, soltanto ciò che immutabilmente permane”. E’ quello che scrive Sant’Agostino nelle Confessioni, una frase che ha valore non solo teoretico ma applicabile alle faccende quotidiane di minor caratura, mi perdoni il “Doctor Gratiae” ma ho pensato a lui per le vicende del rinnovo del contratto di Medicina del Territorio. Tante posizioni, argomentazioni, l’annosa questione della dipendenza e tanti malumori soprattutto.
 
Qualsiasi iniziativa di rinnovamento deve partire da alcuni punti fermi, quelli che caratterizzano e danno spessore al lavoro di medico di base. Bisogna partire da qui, dalla conservazione di ciò che è permanentemente valido. Qual’è il lavoro del medico di base? La capacità e l’opportunità di costruire un rapporto di fiducia con il paziente, continuativo e duraturo. Un lavoro basato interamente sulla capacità relazionale del medico. Il libero accesso alle cure primarie, è un’altra importante risorsa, io sto male adesso e ho bisogno del mio medico.
 
Oggi, non tra cinque giorni. La presenza capillare sul territorio, ogni paese, contrada o quartiere ha il suo medico, raggiungibile con minimi spostamenti. Se ciò non è possibile, il mio medico viene da me. Il medico di base è il primo interlocutore di qualsiasi problema sanitario, ed è il medico di base che indica al paziente qual’è il percorso corretto per ottenere una soluzione, un percorso che va dal suo ambulatorio al medico specialista, fino all’ospedale, se serve. Quali sono gli esami di primo livello per incominciare il percorso e qual’è la struttura più idonea per proseguire fino alla diagnosi e terapia. Il medico di base è il primo interlocutore per la prevenzione, con corretti stili di vita fino alle pratiche vaccinali e di screening.
 
Esasperando questo concetto di prossimità, purtroppo si è caduti nell’abuso, perché con la sua posizione di prima linea il medico di base è diventato anche il front-office di tutte le corbellerie burocratiche inerenti alla pandemia. Tante incombenze che avrebbero dovuto essere gestite dai preposti uffici aziendali sono finite nell’ambulatorio del medico.
 
Ed era inevitabile, considerando la totale confusione della gente e il ruolo di primo interlocutore del medico. Quattro mesi di delirio totale, ma questa è emergenza. Gestita male, dalla burocrazia aziendale, soprattutto, perché se è vero che il medico di base è capace di ampia flessibilità, gli uffici non ne hanno alcuna, fino alla demenza immobile del regolamento, applicato da lontanissime scrivanie senza mai guardare in volto le persone, prerogativa dei medici del territorio.
 
Tutte le definizioni in uso: medico di base, medico di famiglia, medico di fiducia, medico di assistenza primaria, ruotano intorno alla peculiarità di questo ruolo: la relazione, la prossimità e la fiducia. Se si vuole veramente tutelare questa figura professionale, nessuna riforma deve stravolgerne il valore. Non si può fare del medico di base quello che non dovrebbe mai essere: un funzionario a orario contrattuale recluso tra le quattro mura di un altro pseudo-ospedale con i fantasiosi e beceri nomi della burocrazia: Utap, case della salute, poliambulatori, aggregazioni funzionali e amenità di amministratori abituati a pigiare acqua nei mortai ministeriali.
 
Non si può scaricare sulle spalle di un professionista della salute l’inconsistenza e la stupidità dell’ennesimo certificato di buona salute che non leggerà mai nessuno e che serve solo per parare il comodo deretano di tanti colletti bianchi. Questa pseudo medicina non serve a nessuno. Serve che il paziente dica: porto mio figlio dal nostro medico perché ha curato me quando ero bambino e ha curato mio padre e mia nonna. Ci fa onore quando il nonno viene a chiederci consiglio anche su come fare testamento: è distante dai nostri compiti ma vicinissimo all’animo della persona che si fida di noi e questa è stima.
 
Non è stima né rispetto il comportamento delle istituzioni, quando non capiscono che qualsiasi servizio sanitario pubblico deve partire da un medico di base dal quale passano tutte le attività, dalla spesa farmaceutica, alla medicina specialistica, ai ricoveri, prevenzione e prima linea del territorio. A questo principale operatore si devono dignità professionale, adeguato stipendio, ferie e malattia, nel rispetto del suo ruolo peculiare. Nessuna riformina di circostanza o offensiva collocazione ai margini di un SSN che dipende interamente da noi e poi ci disconosce dandoci in pasto alla stampa sensazionalistica e cercando di sostituirci con i marchettari della sanità privata.
 
Per questo mi viene in mente Sant’Agostino con la sua verità trovata nell’immobilità dei valori e nell’interiorità della nostra intelligenza. Questo è il momento della verità: riconoscere la peculiarità della medicina del territorio e difenderla. Non con gli straccetti della burocrazia che affronta i problemi solo cambiandogli nome e mercanteggiando sul prezzo senza mai capirne il valore.
 
Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore

07 marzo 2022
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