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La crisi dei Pronto Soccorso è solo la punta dell’iceberg

di Dario Manfellotto

20 MAG -

Gentile Direttore,
la crisi dei Pronto soccorso di cui sono purtroppo piene le cronache nelle ultime settimane è solo la punta dell’iceberg di una necessaria e impellente riforma del Dm 70 sugli standard ospedalieri.

I due anni di pandemia ci hanno insegnato che di fronte alla complessità dei pazienti Covid l’ospedale ha dovuto rispondere con l’arma della flessibilità, ovvero di un ospedale “duttile” che si modifica a fisarmonica a seconda delle necessità con trasformazione della Unità operativa da spazio fisico a unità funzionale. L’emergenza ha portato naturalmente i professionisti della sanità a superare vecchi steccati, puntando sulla multidisciplinarietà. Come un’orchestra che funziona quando i singoli strumenti rinunciano a fare i solisti per sostenersi l’uno con l’altro nel rispetto delle linee guida e delle proprie competenze. Il tutto nell’interesse dei pazienti.

L’emergenza, nonostante il Covid circoli ancora, in questa fase sembra alle spalle. Ma è del tutto evidente che non possiamo farci trovare impreparati nel prossimo autunno dove è molto probabile che il virus, magari con nuove varianti, torni a farsi sentire. Ed è altrettanto evidente che anche prima del Covid-19 il nostro Ssn avesse bisogno di essere riformato.

Ecco perché l’esperienza di questi due anni non può restare una parentesi, ma deve servire da base di partenza per disegnare l’ospedale del futuro. E a segnalarci l’urgenza è proprio la demografia del nostro Paese che fotografa un’Italia con sempre più anziani e con quasi la metà dei cittadini che convive con una o più patologie croniche. E come abbiamo visto col Covid è proprio questa fascia di persone più fragili che ha riempito i nostri ospedali e messo a rischio la tenuta del nostro Ssn.

Da circa un anno il Ministero della Salute sta lavorando per mettere mano alla riforma del Dm 70/2015 sugli standard ospedalieri. Un lavoro certamente lungo e complesso cui anche la Fadoi sta portando il proprio contributo, ma che dev’essere completato al più presto anche alla luce degli investimenti del Pnrr e della recente riforma dell’assistenza territoriale (il Dm 71) cui gioco forza dovrà legarsi l’assistenza ospedaliera.

In questo contesto, l’ospedale va ripensato secondo la cosiddetta “progressive patient care”, un modello che raggruppa i malati non più per singola specialità medica ma in base al grado di intensità di cura della quale necessitano: intensivo, medio-alto, basso. (Anche se poi è possibile definire una ulteriore differenziazione in sub-livelli assistenziali). Un approccio, quindi, che dev’essere multidisciplinare per evitare quel fenomeno dalla medicina spezzatino e poter finalmente passare ad un’effettiva presa in carico globale, non più della malattia, ma del malato, che spesso di patologie ne ha più di una.

Ecco perché anche l’idea che si ha della Medicina Interna deve cambiare. La pandemia, col 70% dei pazienti che sono stati assistiti nei nostri reparti, ci ha dimostrato quanto sia errata l’idea che i reparti di medicina interna assistano solo pazienti a bassa intensità di cura, perché al di là dei malati Covid, nei nostri reparti arrivano pazienti molto complessi, che richiedono una risposta multispecialistica, coordinata proprio dai medici internisti ospedalieri. In tal senso, fondamentale e significativa dev’essere per esempio la ri-definizione del codice 26 Medicina Generale come Medicina Interna.

Altro tema decisivo è quello della Continuità Assistenziale, perché consente di inviare al giusto setting assistenziale i pazienti che meritano terapie croniche in lungodegenza e riabilitazione. Per mantenere i tempi di degenza media entro gli obiettivi raccomandati, è necessario chiarire in modo inequivocabile le modalità di passaggio ad altro setting.

E tutti questi saranno anche tra i temi cardine del Congresso Fadoi che si terrà a Roma 21 al 23 maggio.

Siamo in un momento decisivo per la nostra sanità. Il Pnrr ha stanziato 20 mld di cui 8,6 mld per gli ospedali e la loro fondamentale innovazione tecnologica. I soldi dunque ci sono. Il Piano però finanzia muri e tecnologie. Per farlo funzionare c’è bisogno delle persone e soprattutto di una profonda riorganizzazione che realizzi compiutamente quella sinergia ospedale-territorio troppo spesso affermata nelle carte ma dimostratasi una chimera nella realtà. Occorre per questo fare presto per non finire travolti.

Dario Manfellotto
Presidente FADOI



20 maggio 2022
© Riproduzione riservata

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