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Il “sovraccarico” per il medico di pronto soccorso

di Luigi Di Candido

20 LUG -

Gentile Direttore,
qualche giorno fa, in seguito ad un scambio d’idee insorto in un gruppo social, gestito da autorevoli esponenti della maggior società scientifica di Medicina d’Urgenza nazionale (SIMEU) vi è stato l’intervento, addirittura, del Segretario Nazionale, De Iaco, ed anche di quello di AAROI EMAC, Vergallo. Il tema riguardava i blocchi nervosi antalgici in pronto soccorso (P.S.) nella frattura femorale.

Ho fatto rilevare che questa prestazione poteva costituire un pericoloso task shifting nascosto, innescando la discussione (finalmente un buon uso dei mezzi social).

È bene precisare, trattandosi di inglese che, letteralmente, il task shifting è uno spostamento di un compito, non una condivisione orizzontale di una competenza, o di un’abilità, che dovrebbe essere indicata, eventualmente, con skill o competence sharing che ha, ovviamente, connotazioni positive.

È risaputo che il numero di compiti assegnati ad un singolo operatore influisce sulla sua prestazione lavorativa e, tralasciando l’effettiva proporzione/sproporzione dei blocchi nervosi antalgici, per una frattura femorale in un P.S., su cui molto ci sarebbe da discutere in termini di reale utilità, efficacia  e sicurezza intrinseca della tecnica (vista la presenza di altrettanto efficaci sistemi di controllo del dolore, forse con un rapporto costi/benefici più favorevole), penso sia utile ragionare in termini di significato sul carico organizzativo generale, soprattutto cognitivo e quindi, nuovamente, di sicurezza, qualità ed efficacia per utente ed operatore.

E non parliamo perciò, in questo periodo di estrema difficoltà dei P.S. italiani, delle ripercussioni organizzative di un “blocco nervoso” in una bolgia infernale, in termini d’impiego di risorse strutturali (quasi sempre poco adeguate), temporali ed umane (risicate rispetto alla richiesta) in relazione all’input ed al troughput del processo di produzione di una comune giornata lavorativa in pronto soccorso (per quanto tempo mi fermo? Quante persone impiego? Quali ambienti utilizzo?), ma parliamo del significato dell’assegnazione di “un altro compito” sul carico cognitivo, sì ancora un altro, di un operatore normalmente già sovraccaricato di compiti (task) in termini sia quantitativi che di simultaneità degli stessi, dal punto di vista cognitivo e fisico, e sulle conseguenze per la sicurezza ed il benessere.

È doveroso affermare che una delle figure professionali sanitarie attualmente più “caricate” di compiti, numericamente e simultaneamente, è il medico di pronto soccorso. Tanto premesso, pur potendo pensare e fare ciò che si crede, è necessario essere consapevoli del fatto che un nuovo compito, imposto o autoimposto, rappresenta un ulteriore “carico”.

Non affronto, in questa sede, il tema della curva di apprendimento necessaria per l’apprendimento del nuovo compito e della relazione di questo con l’età media e lo stato di salute medio, fisico e psichico (burn-out), del personale medio di riferimento dei P.S. italiani, ma è necessario avere chiara la “consapevolezza” dell’influenza dei compiti (task), e della quantità di lavoro (multitask), sulla prestazione umana e sull’errore umano.

Il sovraccarico cognitivo influisce sulla memoria di lavoro a breve termine, la satura, impatta sulla salute mentale, emotiva e fisica degli operatori, favorisce gli errori ed il peggioramento della qualità delle cure. Un operatore sovraccaricato viene sopraffatto dagli eventi, non li gestisce, li subisce, non li governa pienamente, riceve troppe informazioni, sovraintende a troppi compiti, non può concentrarsi bene sui compiti di cura, non ha la corretta situational awarreness, l’errore è dietro l’angolo in un sistema così insicuro!

Non sto neanche a discutere sulle affermazioni, queste sì davvero opinabili, sull’accettazione di differenti livelli qualitativi (più bassi?) per acquisire e mantenere “le skills” in pronto soccorso perché Amalberti, solitamente, parlava di diversa accettazione di esposizione al rischio (morte) in ambienti tipicamente adattativi o ulta-adattativi come il pronto soccorso (più elevati), non di qualità inferiore. Parlava, invece, della necessità di porre un “limite alla prestazione massima” per un sistema più sicuro (H.R.O. o superiori).

Non comprendere che l’imperativo categorico è limitare i compiti, non le competenze, diminuire i carichi, non auto-alimentarli, suddividerli più equamente e virtuosamente nell’organizzazione, è veramente grave.

Seguire questi maître à penser, questa esaltazione del machismo eroico (se posso fare cento, posso anche fare mille, siamo tutti eroi, hip hip urrà), rappresenta, a tutti gli effetti, una pericolosa normalizzazione della devianza (Vaughan) ed un clamoroso caso di miopia, non organizzativa (Catino), ma culturale, sociale.

Chiediamoci poi perché i medici dei P.S., non solo i più esperti (danno enorme, sotto ogni punto di vista) “scoppiano”, fuggono, rifiutano le borse di studio per la formazione post-laurea e perché, poi, in molti stanno male.

Dr. Luigi Di Candido

Dirigente Medico Ospedaliero M.E.U. ASL BT; Specialista in Medicina Interna con Indirizzo d'Urgenza (UNIMORE);  C.R.M. Alta Formazione in Gestione del Rischio Clinico e Miglioramento Continuo della Qualità delle Cure (scuola Superiore San'Anna - Pisa); Socio Italian Network for Safety in Healtcare; Comitato degli Iscritti FP-Dirigenza Medica CGIL ASL BT.



20 luglio 2022
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