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Ma quanti sono e quanti erano davvero gli ospedali in Italia? Proviamo a contarli bene

di Claudio Maria Maffei

29 APR -

Gentile direttore,
la fonte tradizionale di informazioni sul numero di ospedali in Italia, come sulla loro distribuzione e sul loro andamento sia nel tempo che territoriale (Regioni) è l’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della salute. Ogni volta che si vuole dimostrare la “crisi” del Ssn anche attraverso la chiusura degli ospedali si prendono di solito i dati delle edizioni dell’Annuario con i dati del 2022 e del 2012. Il dato che ricorre ovunque è che in 10 anni sarebbero stati chiusi 95 ospedali, il 9%: si sarebbe passati dai 1.091 del 2012 ai 996 del 2012, con una riduzione più consistente per quelli pubblici (67 in meno, da 578 a 511). Questo lo afferma ad esempio il Forum dei Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani, che riunisce 75 Società Scientifiche, affermazione poi ripresa da numerosi media anche di settore. Si tratta però di dati che possiamo considerare se non “sballati”, quantomeno da interpretare con cautela e ricalcolare.

Il dato degli Annuari è “sballato” in quanto conta le “strutture ospedaliere” che in molti casi includono più “stabilimenti ospedalieri” che condividono alcune funzioni sanitarie e hanno un unico apparato amministrativo. Ma ciascun stabilimento mantiene necessariamente una sua organizzazione autonoma, ad esempio in termini di continuità assistenziale medica, e quindi ha una sua specifica produzione e i suoi specifici costi. Quindi “contare” gli ospedali vuol dire o dovrebbe voler dire contare gli stabilimenti e non le strutture. Prendiamo come esempio i dati delle Marche che secondo l’Annuario Statistico del Ssn del 2022 avrebbero 8 strutture ospedaliere pubbliche quando in realtà ci sono 21 stabilimenti ospedalieri. In questo modo nelle Marche vengono attualmente inclusi in una unica struttura ospedaliera (quella del cosiddetto Presidio Ospedaliero Unico della Azienda Sanitaria Territoriale di Pesaro e Urbino) quattro stabilimenti distanti anche decine di chilometri tra loro, tre dei quali con un proprio DEA di primo livello (Pesaro, Fano e Urbino). Sempre nelle Marche con questo stesso meccanismo secondo l’Annuario Statistico del Ssn del 2012 le strutture ospedaliere pubbliche erano 16 quando in realtà c’erano 33 stabilimenti strutturalmente e organizzativamente distinti. Quanto descritto per le Marche vale per molte altre Regioni. Non è credibile infatti che in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto ci siano solo (dati dell’Annuario 2022) 23, 24 e 56 ospedali rispettivamente.

Una cosa è certa: i dati sugli ospedali forniti dal Ministero della Salute nel suo Annuario Statistico del SSN non sono immediatamente utilizzabili per misurare l’effetto sugli ospedali dei tagli alla sanità. Infatti, non solo non consentono di misurare l’andamento nel tempo del numero degli ospedali, ma nemmeno il loro andamento in rapporto alla tipologia di ospedale e alle loro dimensioni. Ma come si fa allora a sapere quanti sono gli stabilimenti ospedalieri da contare “davvero” e a quantificare per ognuno le discipline presenti e i posti letto disponibili? Bella domanda. Dovrebbero essere di aiuto i dati di Open data del Ministero della Salute che mettono a disposizione i posti letto per stabilimento distintamente per il periodo 2010-2019 (anni in cui i dati sui posti letto sono per Regione, stabilimento ospedaliero e disciplina), per 2020 (anno in cui i dati sui posti letto vengono messi a disposizione per Regione e disciplina senza un dettaglio per ospedale forse a causa del Covid) e 2021 (in cui i dati sui posti letto vengono messi a disposizione per Regione e stabilimento aggregati nelle tre categorie acuti, riabilitazione e lungodegenza). Purtroppo, guardando i dati delle Marche, realtà che conosco bene, mi sembrano abbastanza completi i dati sugli stabilimenti dei primi anni dal 2010 in poi e incompleti e/o difficili da interpretare e quindi da utilizzare quelli degli ultimi.

Una buona fonte di dati su numero e “natura” attuali dei singoli stabilimenti ospedalieri in Italia (e quindi dei singoli “veri” ospedali) è rappresentata dalle elaborazioni reperibili nel Portale Statistico dell’Agenas. Qui nella pagina relativa alle reti tempo dipendenti si può entrare attraverso dei menù a tendina nell’elenco dei diversi stabilimenti di ciascuna Regione, contarli e vedere che ruolo hanno nelle tre reti tempo dipendenti dell’ictus, del trauma e delle emergenze cardiologiche e se sono sede di DEA di I o II livello, di Pronto Soccorso o di Punto di Primo Intervento. Spuntano finalmente fuori qui per le Marche (la Regione usata da me per una verifica della attendibilità dei dati) i 21 veri ospedali (stabilimenti) pubblici e i 16 privati (mentre nell’Annuario Statistico del Ssn 2022 ne risultano 8 pubblici e 8 privati). Purtroppo non esiste nel Portale Statistico dell’Agenas una serie storica in grado di fornire informazioni su come gli ospedali italiani sono evoluti nel tempo dal punto di vista del loro ruolo nel sistema dell’emergenza-urgenza.

A questo punto sorge spontanea la domanda: ma insomma negli ultimi 10-12 anni gli ospedali sono stati chiusi o no? E se sì quanti, quali e dove? Proviamo a rispondere e a fare qualche proposta. Gli ospedali chiusi tra 2012 e 2020 sono sicuramente parecchi (probabilmente anche più del 10%), ma si tratta quasi esclusivamente di ospedali di piccole dimensioni riconvertiti per lo più a Ospedali di Comunità o comunque a funzioni territoriali. Ad esempio nelle Marche 12 stabilimenti su 33 sono stati riconvertiti a Ospedali di Comunità. Questa verifica va fatta Regione per Regione, ma credo che quanto successo nelle Marche sia successo in tutte le altre Regioni.

La domanda fondamentale è se adesso occorra invertire la rotta riaprendo ospedali chiusi (pochi) o riconvertiti (tanti), come sembrano chiedere da più parti, o proseguirla con qualche correttivo. Ancora una volta occorre rispondere Regione per Regione usando ad esempio le indicazioni del DM 70 come parametro di riferimento. Prendo ancora una vota in considerazione come esempio le Marche. In questa Regione in base alla pagina sulle reti tempo dipendenti del Portale Statistico dell’Agenas dei 21 stabilimenti pubblici 12 avrebbero un DEA di primo livello, due un DEA di II livello (che costituiscono in pratica un unico DEA di II livello essendo collocati nei due stabilimenti dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche, di cui uno a vocazione materno-infantile), 2 un Pronto Soccorso, 3 un Punto di Primo Intervento e 2 nessun ruolo. Ci sono quindi rispetto al DM 70 3 ospedali con DEA di troppo destinati tra qualche anno a diventare quattro in base agli atti programmatori della attuale Giunta. Nelle Marche quindi è arrivato il momento delle integrazioni spinte prima e “fusioni” poi tra ospedali vicini visto che avere, come succede in diverse aree della Regione, due ospedali con DEA di primo livello a distanza di pochi chilometri con una popolazione complessiva attorno ai 150-200.000 abitanti è illogico e le conseguenze si vedono (poca attività programmata, liste di attesa in area chirurgica e fuga dei professionisti). Del resto ci sono altri segnali che gli ospedali di medie dimensioni in molte Regioni italiane hanno casistiche che non li giustificano, come l’elevato numero di ospedali che non ha né volumi adeguati di chirurgia oncologica (vedi i dati del Programma Nazionale Esiti) né adeguati volumi di attività al Pronto Soccorso (vedi i recenti dati Agenas sui Pronto Soccorso).

Le proposte:

Claudio Maria Maffei

Coordinatore Tavolo Salute Pd Marche



29 aprile 2024
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