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Il Ssn nell’epicentro del sisma che scuote il welfare state occidentale

di Giuseppe Belleri

24 GEN -

Gentile Direttore,
l’importante contributo di Roberto Polillo sul tramonto della dominanza medica, con suoi contraccolpi tra i professionisti sanitari, mi induce ad intervenire per aggiungere alcuni tasselli al mosaico. La “guerriglia” ingaggiata a suo tempo da Medicina democratica contro il baronato clinico ed universitario ha analogie con la ventata libertaria americana degli stessi anni, portata avanti degli alternativi à Jobs e Gates, poi sfociata nella rivoluzione informatica del decennio successivo.

Il loro obiettivo era la democratizzazione della conoscenza, gratuita e accessibile a tutti, ma l’esito è stato in parte inatteso: fake news, hater e gruppi antiscientifici, radicalizzazione politica, torbido marketing nel web profondo, sorveglianza sociale elettronica in stile grande fratello, monopoli multinazionali sfuggenti al controllo statale e fiscale etc...

Agli effetti collaterali della “rivoluzione” democratica in medicina, descritti da Polillo, vorrei aggiungere due risvolti del paradigma epidemiologico fatti propri dagli attori della scena, latori di altri obiettivi ed interessi: la dimensione “tecnica” e il concetto di rischio.


La dominanza medica è stata disarticolata dal modello della razionalità tecnica decontestualizzata ed impersonale, già descritta da Schon nei primi anni ottanta, rappresentata dal medico “tecnico della salute” nei luoghi di lavoro, caro a Medicina Democratica, tanto quanto destava sospetto il clinico della persona, accusato di approfittare in modo opportunistico dall’asimmetria di potere e della chiusura sociale elitaria per lucrare privilegi simbolici e materiali.

Più profonda è stata l’influenza culturale del rischio, tanto da pervadere via via l’intera società. Il rischio è scivolato dall’originaria dimensione preventiva dell’epidemiologia in quella clinica individuale, favorendo una interpretazione in senso deterministico personale piuttosto che stocastico collettivo, come vorrebbe la logica dell’EBM fatta propria dalle major farmaceutiche, le uniche in grado di finanziare trial metodologicamente solidi. L’apparato industriale ha cavalcato la naturale avversione ai rischi in nome di un "perfettismo" vincente sul piano socioculturale, ma alla lunga insostenibile per le casse pubbliche. Grazie alla disintermediazione del web la conseguente medicalizzazione della vita nell’illusione del rischio zero si è tradotta in insicurezza esistenziale, fonte di patofobia sociale e diffuso disturbo d’ansia da malattia.

Il terzo pagante, pressato della proliferazione dei rischi divenuti bisogni impellenti, ha dovuto ridurre la copertura di quelli non più compatibili, per via della legge ferrea dei rendimenti marginali decrescenti, indossando i panni del priore che passa ai confratelli quel che può il convento. A pagare il fio dei vincoli finanziari sono stati i professionisti, stretti tra lacciuoli burocratici prescrittivi e il disease/risk mongering, induttore della domanda tra “esigenti” ben informati, rivendicativi e ingovernabili, tanto diffidenti verso il “generico” quanto fiduciosi nell’autorevolezza del collega Google.

Il mercato si è fatto prontamente avanti per compensare, con il ricorso all’eufemistico out of pocket, le prestazioni lesinate dal convento ma fornite dai veri libero professionisti, a colpi di centinaia di euri. L’esito finale è stato, da un lato, l’accanimento burocratico regolatorio verso i (mitici) libero-professionisti convenzionati e, dall’altro, la proletarizzazione dei dipendenti nelle grandi organizzazioni sanitarie. Così i professionisti si sono trovati soli a fronteggiare le richieste degli “esigenti”, sedotti e abbandonati dal terzo pagante, peraltro indifferente al clima emotivo di malessere che spinge molti alle dimissioni o all’uscita pensionistica anticipata, per una sorta burn-out collettivo, premessa per la desertificazione dei servizi di confine come il PS e la medicina territoriale.

Ma c’è di più. Altri effetti collaterali sono emersi per via del successo della definizione positiva di salute dell'OMS, come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo assenza di malattia o infermità, più attinente all'ideale della "felicità" che non alla pratica e prosaica cura di uomini in carne ed ossa. La seconda parte della definizione meno nota ma non meno importante e gravida di risvolti sociali: “Il godimento del più alto livello possibile di salute è uno dei fondamentali diritti di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione, credenza politica, condizione economica o sociale”.

La definizione positiva di salute ha favorito una graduale sovrapposizione tra legittimi bisogni sanitari ed assistenziali e desiderio soggettivo di benessere, colorato di edonismo e narcisismo fino agli estremi del potenziamento delle normali funzioni organiche, nel segno del perfezionismo sanitario e della generalizzata avversione al rischio per la fiducia in un progresso medico-sanitario illimitato. L’associazione tra la promessa di salute totale e un diritto positivo introduce una componente normativa, nel senso della protezione democratica del welfare, con importanti risvolti di consenso e aspettative sociali, sfociate nell’endemica crisi dei bilanci pubblici e nella parziale ritirata dell’offerta.

Per comprendere più approfonditamente le radici dell’odierno malessere sociale, venuto al pettine nella sfera sanitaria con la pandemia, bisogna fare un altro passo indietro nella storia fino alla prima metà dell’ottocento. Per il professor Alessandro Orsina, autore de “La democrazia del narcisismo”, la crisi attuale può essere ricondotta alle contraddizioni delle democrazie liberali, tratteggiata ne la “Democrazia in America” da Alexis de Tocqueville.

Secondo la chiave di lettura di Orsina “quello democratico è un disegno intrinsecamente contraddittorio” in quanto accredita “la promessa che ciascun essere umano abbia pieno ed assoluto controllo della propria esistenza conducendola come e dove meglio crede” fino alla “pretesa da parte degli esseri umani che quella promessa sia mantenuta” (Orsina 2018, p. 21).

La promessa-pretesa di autorealizzazione ed emancipazione soggettiva si converte in diritto dovuto e sfocia nella deriva della democrazia del narcisismo, destinata però ad essere delusa in quanto “l’assoluta autodeterminazione individuale è incompatibile con la condizione umana, perciò è sempre stata e sempre resterà un’utopia” (ibidem p. 105). La democrazia liberale ha rilanciato quella promessa e assecondato la pretesa, ma così facendo “si è cacciata in una trappola che, da cinquant’anni a questa parte, lentamente ma inesorabilmente la sta stritolando” (ibidem p. 105).

In questo scenario il passaggio dalle attese di un benessere totale all’avversione per ogni rischio è breve e inarrestabile; salvo poi constatare i limiti dell’offerta pubblica di benessere per l’impossibilità di soddisfare una domanda virtualmente illimitata ed altrettanto insostenibile.

Questa cornice interpretativa storica pone il SSN nell’epicentro del sisma che scuote il welfare state occidentale, sullo sfondo della vana attesa “che la promessa democratica di autodeterminazione integrale sia integralmente mantenuta” (ibidem p. 48).

Dott. Giuseppe Belleri
Ex MMG - Brescia



24 gennaio 2023
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