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“Nuove” norme in materia di responsabilità professionale: un vero e proprio bluff

di Antonino Franzesi

09 OTT - Gentile Direttore,
in Sanità il Legislatore ha negli ultimi tempi partorito numerose nuove disposizioni allo scopo di contenere la spesa pubblica, e molte altre ne ha in gestazione. Fra tutte, giunge finora ultimo il Decreto Balduzzi, con il suo travagliato art. 3, dedicato alla responsabilità professionale: un articolo più volte rivisto, fino all’ultima sua modifica che ci è dato conoscere anche attraverso gli articoli succedutisi sulla testata da Lei diretta, tra cui quello riguardante gli emendamenti approvati in commissione Affari Sociali).

Orbene, tutte le modifiche intervenute mi paiono non aver tenuto in debita considerazione un principio fondamentale su cui si basa l’accertamento giudiziale della responsabilità sanitaria nei Tribunali; sono un medico e non un giurista, ma nel tempo mi pare di aver inteso che tale accertamento tiene sempre in considerazione “il caso di specie”: se così è, può davvero una norma di legge, comunque essa sia scritta, modificarne la forma, la sostanza, ma soprattutto gli effetti? Me lo auguro: personalmente non ne sono affatto sicuro, speriamo che abbia maggiori certezze il Legislatore, e con Lui soprattutto la Magistratura!

Per queste ragioni, la lettura delle diverse versioni dell’art. 3 mi ha lasciato a dir poco perplesso, sia riguardo al lessico, sia riguardo al significato. Senza approfondire riflessioni sulle precedenti versioni del testo di legge, che sarebbero interessanti ma sono ormai inutili, mi soffermerò solo sui dubbi derivanti dal suo comma 1.

Primo dubbio: di linee guida ne esistono tante, le buone pratiche sono tali non in generale ma nella loro attuazione in ogni singolo caso, e per giunta non si parla di protocolli…  del resto è difficile “protocollare” ogni singolo paziente; quali saranno le linee guida e le buone pratiche “accreditate”, e che valore reale potranno mai avere per escludere la “colpa grave”?

Secondo dubbio: la “colpa grave” viene accertata (talvolta in modo del tutto indipendente) in ambito penale e/o in ambito amministrativo, non essendo prevista la definizione di “colpa grave” in ambito civile; potrà davvero verificarsi “grazie” alla legge quella convergenza di questi tre percorsi giudiziari nell’accertamento della colpa grave, che ad oggi mi pare non sempre sussistere?

Terzo dubbio: l’intera formulazione della norma mi pare ricalcare, per significato, quella delle norme sulla responsabilità amministrativa, di fatto per i pubblici dipendenti limitate all’ambito aquiliano (extracontrattuale); ma l’attuale configurazione della responsabilità sanitaria, medica in particolare, è da anni di tipo contrattuale, con tutte le differenze che questo comporta; come potranno contemperarsi norme tra loro evidentemente contrastanti sin dalle loro basi?

Sinceramente, con il buon senso è difficile capire che cosa passi nella mente di chi adotta una così scadente scienza di formulazione normativa. Ancora più difficile è capire come nella formulazione di una nuova legge possa essere tralasciato tutto il complesso substrato di norme già esistenti. Ma soprattutto, sarebbe forse utile che il Legislatore si chiarisse che cosa significa fare il medico nel nostro Paese. O almeno che si prendesse la briga di tentare onestamente di farlo.

Con il Decreto Balduzzi,  sul diritto in sanità tanti restano i dubbi, e ben poche sono le certezze. Ma, soprattutto, continuano a mancare le risposte. Quelle stesse risposte che il Legislatore si è peritato di tentare malamente con uno strumento nato e cresciuto come Decreto-Legge, per sua natura del tutto inadeguato allo scopo di ottenere un “più alto livello di tutela della salute”, come si legge nel titolo: scopo che richiederebbe invece ben altra impostazione di aggiornamento legislativo,  e aggiungo anche giuridico in senso lato.

In base l’art. 77 della Costituzione Italiana, il Governo può emanare decreti che per diventare legge devono essere convertiti dal Parlamento entro sessanta giorni dalla loro emanazione; questo potere può essere esercitato dal Governo solo "in casi straordinari di necessità e d'urgenza". Così com’è, il Decreto Balduzzi è nella miglior ipotesi inutile, perché non promuove affatto la tutela della salute, ma “soltanto” una grande confusione.

Per restare nell’ambito della responsabilità sanitaria, la necessità e l’urgenza che essa sia finalmente e compiutamente definita restano irrisolte in tutta la loro drammaticità, con particolare riguardo all’ormai esasperato snaturamento del rapporto fiduciario tra medico e paziente, inesorabilmente iniziato molti anni addietro con la trasformazione della responsabilità sanitaria da extracontrattuale a contrattuale.

Il tentativo di capire per quale ragione nel Decreto sia stato inserito l’art. 3 lascia sospettare un criterio che la storia e la cronaca hanno troppo spesso sperimentato come “straordinariamente” utilizzato: la gattopardesca urgenza di cambiare tutto affinchè nulla cambi, nell’illusione che basti una generica e fantasiosa limitazione della responsabilità sanitaria per far digerire tutte le altre umiliazioni normative inflitte ai medici e ai cittadini, ben più sostanziose e penalizzanti per l’intero sistema sanitario pubblico.

Infatti, andando oltre l’art. 3, e tralasciando la valutazione degli eventuali rilievi di incostituzionalità di una “vera e propria immunità ad personam” del medico, paventati nell’articolo del Magistrato Antonio Lepre, rilievi che riguardano solo “il bene salute”, e non altri, come rileva l’articolo del Presidente SOI, Società Oftalmologica Italiana Dott. Matteo Piovella, in tutto il Decreto Balduzzi è evidente una sequela di contenuti iniqui ed illogici, che mettono sempre più in difficoltà chi in sanità lavora sui pazienti e non può affidare la tutela di questi e di se stesso ad acrobazie giuridiche.

Con il Decreto Balduzzi nel suo complesso non cambiano, anzi forse peggiorano, l’ingerenza della politica e l’arbitrarietà nella gestione dell’assistenza sanitaria pubblica: vedansi i tagli lineari ai posti-letto, le strette della riduzione delle strutture complesse che pare si vogliano limitare solo all’ambito medico, i “nuovi” criteri di nomina dei Primari, la sparizione dei criteri di merito per l’attribuzione di incarichi professionali, lasciati a Primari loro malgrado sempre più lottizzati, l’inesorabile e progressiva burocratizzazione della professione medica, etc. etc.

In questa prospettiva, mi sorge l’ultimo dubbio: forse proprio per “controbilanciare” tali umiliazioni normative “tecniche”, il Governo (attraverso il Ministro … altrettanto “tecnico”) ha inteso offrire ai medici, come beffarda (e pericolosa) contropartita, una siffatta disposizione in materia di responsabilità professionale?

Se così fosse, si tratterebbe di un tentativo maldestro, per quanto giustificato dal fatto che negli ultimi tempi tentativi simili hanno avuto discreto successo, svuotando di significato la professione medica, e alienando da questa ogni criterio di qualità professionale e prestazionale.

Per tali ragioni è giunto il momento che i medici chiedano con voce ferma un maggior rispetto per la loro professione.

Anche queste, tra molte altre, sono le ragioni che porteranno i medici a manifestare la loro protesta il 27 di ottobre p.v. a Roma, non essendo evidentemente possibile in altro modo ottenere risposte adeguate alla domanda fondamentale su quale sanità si voglia davvero delineare nel nostro paese.

Dr. Antonino Franzesi

Medico Chirurgo
 


09 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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