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Per salvare il welfare pubblico serve unità e connessioni, coraggio e caparbietà, cultura e creatività

di Pietro Pellegrini

06 APR -

Gentile Direttore,
dalla pandemia siamo passati alla sindemia, termine che indica l’associarsi e il complicarsi di più crisi: sanitaria, sociale, economica, ambientale, climatica, della pace. In ambito sanitario la pandemia è stata affrontata con un vissuto di tipo “riparatorio” che solo in parte si è riflesso nell’opinione pubblica la quale, invece, ha mantenuto in modo più o meno esplicito un atteggiamento incentrato sulla proiezione e la rivendicazione, la ricerca di colpevoli e la richiesta di risarcimenti per un “danno ingiusto”.

Nonostante un’elevata adesione alla campagna vaccinale non è scattato un profondo vissuto di solidarietà sociale, di assunzione di responsabilità collettiva volta a rilanciare stabilmente il welfare pubblico universale, indebolito da anni di tagli.

Rispetto agli operatori sanitari prima idealizzati (gli eroi) si è passati rapidamente alla svalutazione, alla dimenticanza e trascuratezza e di nuovo agli attacchi e alle aggressioni. Gli eroi, quando non deceduti sul campo, sono diventati fastidiosi reduci, feriti e lamentosi, incapaci di accettare di tornare nelle consuete difficoltà delle truppe ordinarie della sanità pubblica. Eppure molti lavorano per senso di responsabilità, perché ogni giorno vedono persone che soffrono e si confrontano con il dolore e la morte.

Un patrimonio etico professionale così radicato, da costituire insieme alla motivazione il vero motore dell’intero sistema sanitario. Il personale pur stanco è a disagio rispetto alla contraddizione fra i livelli di cura necessari e quelli reali, un conflitto tra deontologia e professione agita che non è in grado di attivare un’azione politica. Anni di rassegnazione e indifferenza li hanno resi invisibili e le pur timide proteste sembrano rituali stanchi.

Quattro i punti chiave:

  1. la deregulation in sanità che ora si cerca almeno in parte di ridurre: contratti libero professionali, cooperative, lavoro “somministrato”, medici pensionati, specializzandi. Torna l’attenzione sull’intramoenia, sulle “aggiuntive” per aggirare la barbara norma che, in nome della favola della dirigenza, azzera a fine anno tutte le ore fatte dai medici oltre il normale orario.
  2. La vacanza contrattuale: il contratto in discussione copre il periodo 2019-2021. Che senso abbia normare il passato e, di fatto, programmare con criteri datati il futuro? I contratti creano le basi per attrarre i giovani e trattenere i professionisti.
  3. Come evidenzia lo studio di Anaao (Palermo ed al., QS 30 marzo 2023) non mancano i medici ma semmai alcune tipologie di specialisti per lo più nei settori a maggiore gestione pubblica (come medicina urgenza). Una situazione che dovrebbe far cambiare il sistema formativo prevedendo, sul modello europeo, altre modalità di accesso alle specialità. Purtroppo anche di fronte alla pandemia, per motivi “corporativi”, il sistema è rimasto sostanzialmente ingessato e non ha favorito l’immissione stabile in servizio di tutti i neolaureati in medicina e la formazione specialistica “sul campo”.
  4. Crisi economica e del patto sociale. Senza il riconoscimento delle spese per il Covid e il “caro bollette”, diverse regioni rischiano di entrare in piano di rientro e quindi di vedere bloccato il turnover, già reso difficile dalla carenza di medici specialisti e infermieri, con conseguenti tagli dei servizi. La flat tax da un lato spinge verso la libera professione e dall’altro lede profondamente il patto sociale facendo gravare solo sui dipendenti il costo dei servizi pubblici. Ciò rende sempre meno esigibile il diritto alla salute, di fatto privatizzato o intermediato da assicurazioni e fondi a loro volta beneficiari di agevolazioni fiscali.

La fine della sanità pubblica è un destino ampiamente evitabile: senza parlare delle spese militari, sono stati destinati quasi 115 miliardi al “caro bollette” e, nonostante i c.d. “extraprofitti” non si sono trovati 5 miliardi per le spese sanitarie legate al Covid e la spesa sanitaria rispetto al PIL è in riduzione al 6%. In espansione spesa privata e assicurazioni che da integrative stanno diventando in parte sostitutive del SSN.

C’è speranza perché nonostante tutto c’è ancora il servizio sanitario ma prima che sia troppo tardi serve una mobilitazione di resistenza, di rilancio dei diritti e del sistema pubblico che parta dal senso di unità dei sanitari, medici e infermieri e altri operatori sanitari sostenuti dai cittadini.

Occorre rivendicare con orgoglio che siamo usciti dalla pandemia grazie alla sanità ma occorre prendere atto che siamo in una sindemia e della sanità che funzioni vi è un estremo bisogno.

Le esperienze positive ci sono e così tante buone pratiche, sistemi partecipativi, servizi che funzionano e che vanno sostenuti con urgenti necessarie assunzioni dei professionisti che sono il core del sistema.

Va posto il tema del patto sociale, della sua sostenibilità, dell’equità e della giustizia, e quindi prevedere il recupero dell’evasione e se necessario tasse di scopo e patrimoniali. Si tratta di un grande investimento ideale, culturale politico economico essenziale per le persone, per il benessere delle comunità e la stessa produttività del nostro Paese.

Per salvare il sistema di welfare pubblico serve unità e connessioni, coraggio e caparbietà, cultura e creatività. Serve ascoltare le giovani generazioni che indicano l’urgenza di un nuovo, diverso rapporto con il pianeta per il futuro dell’antropocene. Salute come diritto universale e bene comune potrà essere il terreno d’incontro per tutti? C’è da sperarlo visto che la malattia colpisce senza distinzioni politiche.

Pietro Pellegrini

Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma



06 aprile 2023
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