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Di ritorno dagli Usa, dove i medici non hanno paura degli infermieri

di Stefano Magnone

10 OTT - Gentile Direttore,
sono un chirurgo italiano di 40 anni e lavoro in un grande ospedale del profondo Nord. Scrivo dall'aeroporto di Baltimore (USA) di ritorno da una illuminante esperienza di 3 settimane nel più antico centro traumi degli USA, vecchio di 50 anni.
 
Seguendo da sempre le vicende della nostra piccola politica e della nostra professione, ho avuto tante conferme e nessuna smentita sulla nostra decadenza come cittadini e come professionisti. Le basti pensare a quanto siamo ritenuti giovani alla mia età nel nostro paese e come invece siano ritenuti esperti e capaci di insegnare ai più giovani i nostri colleghi coetanei americani. Questo viene dal fatto che il loro percorso formativo è strettamente monitorato in ogni sua fase da autorità indipendenti e interessate ad avere medici competenti e lontani dall'essere frustrati già da giovani.
 
Persi come siamo ancora a rivendicare un ruolo onnicomprensivo nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del paziente, non ci siamo accorti che in moltissimi altri paesi, per ragioni che è ben facile immaginare, la figura del medico è stata affiancata da parecchie altre figure che hanno un ruolo fondamentale nel percorso intra ed extra ospedaliero dei pazienti. Mi riferisco a tutte quelle figure cosiddette allied health care professionals (si badi bene: professionisti) che hanno consentito al medico di dedicarsi con più tempo e dedizione al suo proprio ruolo: curare, insegnare e fare ricerca.
Le battaglie di retroguardia che vedo fare dai sindacati, di cui peraltro faccio parte e in cui ho ricoperto ruoli dirigenziali, non mi fanno essere ottimista. Le litanie sullo spazio rubato al medico dall'incedere inesorabile delle competenze e degli spazi delle altre professionalità, le litanie stanche e noiose sulla mancanza di medici in futuro, non fanno presagire nulla di buono. Mi riferisco al fatto, noto a tutti, che in Italia negli ultimi 30 anni, per dare da mangiare a tutti, si sono inventati per i medici lavori che non sono da medici ma da burocrati. Si, diciamolo con franchezza, basta con compiti che poco o nulla hanno a che fare con la professione, in ospedale come fuori. Ci sono compiti che potrebbero essere svolti con più entusiasmo, dedizione e, perché no, competenza, da altre figure fondamentali: infermieri, tecnici, ostetriche e così via per arrivare al personale amministrativo. In questo modo, è ovvio, i medici sarebbe in numero più che sufficiente. Si badi bene, non si vuole scaricare la parte meno nobile o interessante del lavoro, chi si occupa di queste cose sa di cosa sto parlando.
 
Negli USA, anche per motivi economici, lo riconosco, ma sempre sotto il perfetto controllo medico, le figure professionali riferibili all'infermiere sono numerose, competenti e dedite a non sfigurare. E' vero, sono stato in un teaching hospital, quindi potrei avere un bias di selezione in senso positivo, ma ho ben presente i nostri (non)teaching hospital e non ci siamo proprio. In questi ospedali si insegna solo a rubare il mestiere e, peggio, a ingraziarsi i boss in ogni modo. Perché è risaputo che compiti che i miei colleghi italiani conoscono benissimo negli USA sono svolti da infermieri, tecnici di radiologia, studenti di medicina o specializzandi (questi ultimi in Italia sono medici, è vero, ma di solito negli ospedali universitari fanno le belle statuine quando non i camerieri) e, udite udite, lo ripeto di nuovo: personale amministrativo!!
 
Perché quindi perdere l'occasione della cosiddetta gobba per restituire ai medici il loro lavoro? Perché gridare alla mancanza di medici quando basterebbe farsi un giro di ricognizione tra i medici con meno di 40 anni per capire che molti sono a spasso e tutti sono precari tranne pochi fortunati? Perché non rendersi conto che moltissimi di loro non fanno il lavoro che avevano sognato e per cui hanno speso anni dopo la laurea?
Qualcuno obietterà che la mia è una posizione in conflitto di interesse perché appena (sic!) entrato sul mercato e in evidente contrasto con le aspirazioni di tanti giovani che, lo vediamo ogni anno, agognano al posto in facoltà e affollano i test di ingresso. Premesso che il test l'ho fatto anch'io vent'anni fa senza libri e senza corsi di preparazione, allora non disponibili, ma solo con la rendita di un buon impegno liceale e una mezza estate passata a studiare, non credo che la selezione durante il corso di laurea, cosa già sentita e (non) praticata durante gli anni '70 e '80, sia una buona soluzione. I ragazzi di oggi non sanno che 30 anni fa c'erano medici che per campare facevano 2-3 mezzi lavori e nessuno in particolare. Inoltre vent'anni fa non si leggevano sui giornali lettere di genitori indignati perché il pargolo non è riuscito ad entrare. Forse eravamo diversi? Forse oggi ci sono molte pretese a fronte di un non ben preciso impegno nello studio? Le cose sono diventate più difficili?
 
Basta insomma con la formazione specialistica in mano universitaria esclusiva, con controllore e controllato identificati nella stessa istituzione: l'università e il suo ministero! Nessun paese al mondo ha questo modello e si capisce il perché.
Basta con il negare spazio alle altre professioni quando è noto che comunque il medico è al centro del processo diagnostico e terapeutico ma può delegare alcuni compiti per dedicarsi con più profitto a compiti più consoni al suo ruolo e al suo dovere di fare anche ricerca clinica!
Basta con il piangere per la supposta carenza, presente o futura, quando veniamo da anni in cui si inventavano i lavori per i medici per non farli morire di fame (potrei cominciare ad elencarli ma qualcuno si offenderebbe). Ricordo l'aforisma di uno dei dirigenti del mio sindacato: "il vero miracolo italiano sono 330000 medici che mangano tutti"! Non dico nulla di nuovo quando ricordo che l'Italia è tuttora il paese con più medici pro capite in tutta l'OCSE.
 
E' il tempo delle vere riforme e qui vengo alla politica, che latita almeno dal 1999, anno della riforma Bindi. Perché non ammettere che c'è un motivo ben evidente se in Maryland, esteso come la Lombardia anche se con metà della popolazione, i pazienti politraumatizzati vengono ricoverati solo in 9 ospedali riconosciuti come trauma center, mentre in Lombardia vanno un po' dove capita? C'è quindi bisogno di riorganizzare il sistema sanitario, come sembra voglia fare questo governo, che infatti non è fatto da politici. Il problema è che sono sempre la ragioni economiche a dettare l'agenda e questo la dice lunga sulla mancanza di progettualità.
Di queste cose non parla nessuno perché nessuno vede le cose dal punto di vista di un giovane (sic!), che mediamente non si interessa di questi temi e sono convinto che nessuno continuerà a parlarne.
 
Stefano Magnone
 

10 ottobre 2012
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