Gentile Direttore,
la perfetta esamina, prodotta da Cavicchi nel suo ultimo lavoro sulla sanità, non consente neanche agli “ex”, come l’autore definisce coloro che in passato hanno svolto ruoli e funzioni in quell’ambito di poter affermare che si potrebbe cambiare ancora adesso qualcosa per migliorare il sistema.
Molti interlocutori hanno fatto, nel Forum stimolato dal libro, proposte, indicato indirizzi, previste modifiche. Anche lo stesso Cavicchi pone l’attenzione sul possibile da farsi. Ma ritengo che tutto questo sforzo sia, ormai, inutile. Certo a giustificazione di questa affermazione potrebbe esserci la condizione che dopo quaranta e più anni i sistemi non possono più reggere immobili ai cambiamenti. Cambiamenti epocali se si considerano tutti gli aspetti che coinvolgono la sanità, basti pensare alle nuove tecnologie, e soprattutto agli utenti divenuti, anche grazie agli strumenti di comunicazione, più esigenti ed informati.
Avevamo pensato che con la diffusa sensazione di paura della pandemia e del riconosciuto impegno delle strutture sanitarie pubbliche, il consenso verso il servizio sanitario sarebbe stato massivo, come peraltro invero è accaduto nei mesi più drammatici della malattia. Ma superato lo sgomento e il ringraziamento, i cittadini si sono trovati a procedere a valutazioni negative se non spesso addirittura violente.
Il personale è diventato un “nemico”, le strutture fortilizi inespugnabili da assalire, le prestazioni un’esigenza da rincorrere con le forze dell’ordine. E sempre più forte la ricerca di alternative. E in questo è stato facile gioco l’offerta del “privato”.
Settore che lentamente ha assunto non un ruolo integrativo ma sostitutivo del sistema sanitario pubblico. Aveva iniziato da tempo fornendo servizi ottimali, tariffe contenute, strutture all’avanguardia. Creando, così, un’aspettativa favorevole da parte dei cittadini. E per chi non poteva e non può permettersi i prezzi sono intervenuti i sistemi di welfare aziendale o di categoria, le assicurazioni (calmierate sino a quando sarà presente il sistema pubblico) …. E, allora, perché non anche le “mutue”?
Sono consapevole che a molti un’affermazione così categorica possa far venire i brividi e a chi scrive lo sconcerto. Ma l’affermazione che sia sempre più evidente il sopravanzare del “privato” rispetto al servizio pubblico è sottolineata dai tanti interventi succedutisi negli ultimi anni con lo smantellamento del Ssn, degli ospedali, degli stessi sanitari e in primi dei medici che non si sono accorti che il mondo cambiava e loro rimanevano nella granitica certezza di ruolo e di funzione.
Si sono accorti che l’aumento delle patologie croniche richiede il potenziamento della rete di assistenza sul territorio e delle cure domiciliari ? Che se è vero, come ha affermato Monsignor Ravasi (Domenica de Il sole 24 ore 19 marzo) la “felicità inizia a casa” anche la sanità deve muovere dal riconoscimento, in particolare delle persone anziane , del loro diritto alla continuità di vita e di cure presso il proprio domicilio. E invece siamo assertori, anche grazie al Pnrr, delle strutture.
Mi scuso ma queste mie righe sono espressione di un grave disagio personale che, in un momento di grave condizione della sanità e della crisi della riforma sanitaria del ’78, come magistralmente rappresentata dal libro di Ivan Cavicchi, dovrebbero forse spingerci a riconsiderare in cosa consiste il diritto alla salute e quali sono le condizioni per poterlo realizzare.
Claudio Testuzza