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La fuga dal lavoro sanitario. Una crisi dentro la crisi del Ssn

di Roberto Polillo

01 FEB -

Gentile direttore,
il processo di aziendalizzazione del SSN, con il ricorso alle procedure gestionali tipiche del privato datore di lavoro, aveva come obbiettivi il miglioramento della performance economica della unità sanitarie locali e la valorizzazione del personale attraverso la selezione dei migliori a cui affidare la conduzione delle diverse articolazioni aziendali per ottenere il miglioramento clinico- assistenziale.

La storia del nostro SSN, a un passo dal fallimento e ora schiacciato da un privato che celebra i suoi fasti da primo della classe, dimostra che nessuno di quegli obiettivi è stato minimamente raggiunto e che il personale dipendente vive il proprio lavoro nelle strutture ospedaliere con frustrazione e sofferenza; né più nemmeno di come avveniva un tempo con il vecchio e temuto servizio militare obbligatorio da cui tutti cercavano di sottrarsi e fuggire.

La survey dell'Anaao appena pubblicata su QS sui medici ospedalieri è drammatica testimonianza della crisi della "presenza" degli operatori del settore

Una crisi che è speculare a quella dei giovani, e non solo giovani, MMG, che cercano di fuggire dal lavoro convenzionato per approdare alla dirigenza e quindi al rapporto di dipendenza e che per tali motivi hanno costituito una chat con centinaia di iscritti dove è altrettanto evidente lo stato di sofferenza lavorativa da cui cercano ristoro.

Un paradosso, dunque, perché gli uni aspirano a quello da cui gli altri vogliono disperatamente fuggire con il rischio, da molti paventato, di peggiorare piuttosto che migliorare, in un eventuale cambio di ruolo.

La verità è che il deprezzamento del lavoro umano e di quello sanitario in particolare ha ormai raggiunto un punto talmente profondo da cui è possibile uscire, non con piccole e indecenti elargizioni di danaro, ma solo attraverso un processo di ridefinizione del contesto che ribalti l'attuale modello top-down di governamentalità delle strutture sanitarie.

Siamo dunque di fronte a una vera apocalisse culturale in cui tutti i punti di riferimento sono perduti e in cui la sopravvivenza della persona e della propria identità umana e professionale è affidata alla speranza di riuscire a fuggire in una nuova realtà in cui tuttavia, allo stato attuale, è improbabile trovare riscatto.

Serve dunque una rivoluzione culturale che restituisca la dignità perduta al lavoro sanitario e per questo servono azioni decise e non i pannicelli caldi dei soliti noti che hanno gestito il nostro SSN ora dai banchi del governo e ora da quelli delle opposizioni.

Che fare dunque per uscire dalla crisi?

Serve un radicale cambio nell'organizzazione del lavoro che si deve incentrare su tre profondi mutamenti.

Fare nascere una nuova azienda gestita democraticamente e basata sulla co-decisione da parte di un consiglio di amministrazione plurale in cui abbiano titolo i diversi soggetti portatori di interessi e che rifiuti per statuto autoritarismo e autoreferenzialità dei dirigenti.

Definire un ruolo specifico per il personale sanitario che con Saverio Proia abbiano suggerito da tempo.

Dare attuazione a un nuovo contratto di lavoro che rompa con l'attuale subordinazione dei professionisti alle strutture aziendali e ai desiderata spesso arbitrari dell' uomo solo al comando e ridia al professionista la centralità nel processo di cura, nell' organizzazione del proprio lavoro, secondo piani condivisi in seno all' equipe di appartenenza, e nella implementazione della qualità

Serve in altre parole una riforma che abbia come obiettivo la piena valorizzazione della risorsa umana e di conseguenza si rende indispensabile una cultura gestionale che sia in discontinuità con il modello peudo- aziendalistico finora adottato.

Un cambio di paradigma che necessita di una altrettanto chiara e determinata volontà politica di cui purtroppo non c'è traccia in un contesto istituzionale profondamente trasformista come il nostro.

Roberto Polillo



01 febbraio 2024
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