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Medici e tecnologia, non confondere il mezzo e il fine

di Pietro Cavalli

07 MAR - Gentile Direttore,
probabilmente sono in pochi a ricordarlo, ma nella prima edizione del testo Harrrison’s Principle of Internal Medicine si sosteneva che per fare il medico sono necessarie competenze tecniche, conoscenza scientifica e comprensione umana, dal momento che il paziente, ogni paziente, non è una semplice raccolta di sintomi, segni clinici, funzionalità alterate, organi danneggiati, turbe emotive. Il paziente quindi, sempre secondo l’Harrison’s, non è “un caso” o “una malattia” ma una persona con la quale instaurare un rapporto, una relazione. Forse ce lo stiamo dimenticando, oggi che c’è sempre lo schermo di un computer tra noi ed il paziente e troppo spesso il medico preferisce il dialogo con il PC e non con la persona, oggi che manca persino il tempo per raccogliere un’anamnesi degna di questo nome.

Secondo un recente articolo pubblicato su JAMA (JAMA. 2024;331(9):729-730. doi:10.1001/jama.2024.0888) i nostri tirocinanti/specializzandi passano il 13,8% del loro tempo al letto del malato, trascorrono al computer più della metà del loro tempo e dedicano al paziente meno del 10% della loro attività. È vero che la tecnologia è oggi fondamentale per la nostra professione, ma non può diventare lo strumento che ci allontana dal paziente: la tecnologa è un mezzo prezioso, ma non può diventare il fine della nostra attività. Sarebbe interessante conoscere il livello di contenzioso nei confronti di chi pratica una medicina spesso priva di efficacia ma che sa instaurare un dialogo i pazienti che a lui si rivolgono e magari confrontarlo con quello di chi pratica una medicina rigorosa ma non ritiene utile né importante un rapporto empatico con chi siede oltre lo schermo del computer.

Certo, non è solo questo il motivo della nostra attuale e difficile situazione. La consapevolezza dei cittadini, il loro livello di informazione (non sempre corretta), le loro aspettative, il fatto di vivere un momento della Storia nel quale esistono solo i diritti e nessun dovere sono altri fattori dei quali è necessario tenere conto. Dall’altra parte un Servizio Pubblico in difficoltà e con personale sempre più scarso ormai non sembra più in grado di garantire un’adeguata offerta di prestazioni ad una domanda sempre più elevata. E poi c’è il grosso problema di una Medicina pubblica diventata ormai una questione amministrativa, la sua gestione da parte di burocrati troppo spesso incompetenti, l’assenza di qualsivoglia controllo sociale a cui fanno da contraltare le schiere di professionisti della Medicina ormai trasformati in yesmen, buoni solo ad obbedir tacendo anche quando sarebbe necessario battere i pugni sul tavolo. Certo, oggi siamo davanti ad una condizione complessa, complicata e che parte da molto lontano ma della quale però i medici non possono non sentirsi, almeno in parte, responsabili.

E’ pur vero che oggi la Medicina non è più quella di un tempo e che le considerazioni precedentemente espresse non possono venire considerate alla stregua di nostalgia del bei tempi andati. Però l’esperienza di lavorare fianco a fianco con giovani specialisti preparatissimi nel loro settore ma spesso privi di empatia, mi porta a ri-considerare la necessità di recuperare il rapporto medico-paziente. Credo fermamente che se non si riuscirà in qualche modo a ri-definire un modo differente di fare il medico, ci attende un incerto futuro di stampo impiegatizio. Certo, magari la Commissione D’Ippolito potrà servire ad evitarci qualche rinvio a giudizio e forse a ridurre il contenzioso con i nostri pazienti, ma certamente, se la situazione non cambia, difficilmente sarà in grado di garantirci un futuro diverso da quello di un normale impiegato statale, sempre alla ricerca di alibi normativi per evitare qualsiasi tipo di contestazione. E’ questo che vogliamo? Lo chiediamo anche agli Ordini dei Medici e alla loro Federazione, così solerti nel ricordarci di pagare i contributi obbligatori, così incapaci nel ripensare un differente ruolo del medico e della Medicina, così distratti da non comprendere la gravità della situazione attuale.

Altri prima di me hanno sollevato la necessità di ripensare la attuale condizione del medico a fronte di una aggressività crescente da parte dell’utenza e della conseguente necessità di utilizzare tutte le strade possibili per prevenire/evitare un contenzioso che sta assumendo livelli troppo elevati. Di fatto il normale rapporto medico-paziente si sta trasformando in un altrettanto normale conflitto medico-paziente. Certamente può essere utile una maggiore protezione normativa e tuttavia potrebbe essere importante anche il ripensare la nostra professione che, alla luce della nostra Storia, potrebbe contribuire a ristabilire quell’equilibrio che sia noi che i nostri pazienti non possiamo che auspicare.

Pietro Cavalli
Medico

07 marzo 2024
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