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Arresto cardiaco sui campi da calcio, in Italia deve crescere la cultura del soccorso laico 

di Andrea Scapigliati

18 APR - Gentile Direttore,
la morte improvvisa sul campo di calcio di Mattia Giani, avvenuta domenica 14 aprile 2024, fatalmente 12 anni dopo quella di Piermario Morosini, impone una riflessione sul tema del soccorso alle vittime di arresto cardiaco. L’esatta dinamica dei fatti è ancora in corso di ricostruzione, ma la sua tragica scomparsa riporta con forza drammatica l’attenzione su cosa si debba fare in caso si soccorra una persona che abbia perso coscienza e smesso di respirare (i due segni di riconoscimento dell’arresto cardiaco): riconoscere l’arresto, chiamare il 112, iniziare le compressioni toraciche e applicare il DAE.

Eventi tragici come quello dei due calciatori raggiungono più incisivamente l’opinione pubblica ma ci ricordano che in Italia sono circa 60.000 ogni anno le vittime di arresto cardiaco improvviso (1 ogni 1000 abitanti).

Nel nostro Paese si è fatto molto sia sul piano normativo che di sensibilizzazione per contrastare questa strage di vite salvabili da poche e semplici manovre.
Già nel 2013, a pochi mesi dalla morte emblematica di Morosini, una legge dello Stato imponeva a tutte le società e le associazioni sportive la dotazione di un defibrillatore esterno e di personale formato, ancora unico caso in Italia di obbligo di dotazione in un contesto specifico di attività.

Sempre nel 2013, su invito del parlamento europeo, Italian Resuscitation Council lanciava “Viva! La settimana per la rianimazione cardiopolmonare” che da allora si ripete ogni anno intorno al 16 ottobre, diventato nel frattempo la giornata mondiale della rianimazione (il World Restart a Heart Day).

Difficoltà di coinvolgimento e governance avevano rallentato e depotenziato l’applicazione della legge del 2013 (nota come Decreto Balduzzi) con un decreto del 2017 che limitava l’obbligo della presenza del DAE alle gare e ai soli impianti sportivi. Tuttavia, il successivo percorso virtuoso di collaborazione tra istituzioni parlamentari, esperti e associazioni ha portato all’approvazione della legge 116/2021 che riprende tutti gli interventi più efficaci per facilitare il pronto intervento degli astanti in collaborazione coi sistemi di emergenza territoriale.

Nella legge 116 viene ripristinato l’obbligo di dotarsi e condividere il DAE sia nelle gare che negli allenamenti ma insieme a molti altri elementi che compongono attorno alla vittima un “sistema” in grado di offrirle la massima possibilità di sopravvivenza: la diffusione capillare dei DAE nei luoghi affollati e di viaggio, la salvaguardia giuridica del soccorritore (importantissima per disinnescare i timori di conseguenze legali), la possibilità di utilizzare il DAE anche per chi non sia stato formato al suo uso (possibilmente con la guida a distanza dell’operatore del 118), la localizzazione dei DAE e dei potenziali soccorritori attraverso un’applicazione telefonica, l’obbligo per l’operatore del 118 di guidare telefonicamente il soccorritore ad eseguire le manovre e utilizzare il DAE, le iniziative di formazione e sensibilizzazione nelle scuole.

Nonostante questa ottima legge, la morte di Mattia impone una continua riflessione e un instancabile impegno. Come riuscire a prevenire le morti evitabili (se effettivamente lo sono)? Innanzitutto, impegnandosi ad applicare quanto già previsto e disponibile.

La prevenzione primaria (cioè la visita medica obbligatoria per chi pratichi attività sportiva agonistica ma fortemente consigliata anche ai dilettanti) rimane un caposaldo per identificare chi abbia un rischio aumentato di arresto cardiaco. Se però l’arresto cardiaco si verifica nonostante lo screening, è necessario essere pronti a riconoscerlo e gestirlo immediatamente secondo le indicazioni che le evidenze mediche ci forniscono in maniera chiara e appropriata ormai da anni.

Questo però non vuol dire solo avere il DAE disponibile: sia nel caso di Morosini sia nel caso di Giani (come sembrerebbe al momento), il DAE c’era ma non è stato utilizzato. La diffusione e disponibilità dei DAE deve unirsi a una crescente “cultura del soccorso” che si può creare solo sensibilizzando, informando e formando: rassicurare sulle responsabilità del soccorritore, creare motivazione con l’informazione corretta, facilitare la comunicazione col 112, fornire le indicazioni essenziali e favorire l’acquisizione di competenze pratiche e durature. Tutto questo è tanto più efficace quanto più precocemente si apprende. Per questo la formazione a scuola rimane uno snodo fondamentale per la creazione di questa cultura; per questo il coinvolgimento delle istituzioni sportive (altro ambiente di formazione sociale) deve essere convinto e supportato; per questo i luoghi di lavoro, di convivenza e di abitazione devono prevedere anche questi percorsi.

L’arresto cardiaco è un evento drammatico e tragico per la vittima ma anche per chi vi assiste e per il contesto familiare e sociale. Non lasciamo soli coloro che possono essere coinvolti: applichiamo le norme, diffondiamo cultura, salviamo vite se possibile.

Andrea Scapigliati
Presidente Italian Resuscitation Council (IRC)

18 aprile 2024
© Riproduzione riservata

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