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Farmacie e parafarmacie. Quale confine?

di Marco Cetini

10 DIC - Gentile direttore,
leggo un intervento del dott. Francesco Palagiano, che scaturisce da recenti dichiarazioni del Segretario del Pd Bersani e desidero intervenire nel merito, in quanto l'argomento mi vede coinvolto in veste di membro farmacista del Consiglio Direttivo dell'Associazione Nazionale Parafarmacie Italiane e titolare di esercizio di vicinato.
 
La lettera citata pone un presupposto giuridico errato o quantomeno impreciso, là dove afferma che "le farmacie sono semplici concessionarie di una licenza la cui titolarità è dello Stato".
E' incontestabile che lo Stato dia in concessione ad altri soggetti la farmacia, però assegnando loro la titolarità piena, come definito tanto dalla L. 475 del 1968 quanto dalle sue modifiche apportate dalla legge 362 / 1991, artt. 7 e 10. Quindi allo Stato permangono compiti di indirizzo, di normativa e di controllo, ma non di titolarità diretta delle farmacie.
Dimostrazione per assurdo: se fosse vero ciò che afferma il collega, anche le farmacie non assegnate tramite concorso, in caso di decesso del/i titolari dovrebbero ritornare comunque nelle disponibilità dello Stato, cosa che non è. Il ragionamento prosegue con l'affermare che il legislatore avrebbe sempre riservato, in ogni settore "dei servizi di particolare rilevanza pubblica", la titolarità allo Stato medesimo. ciò è palesemente inesatto, non solo nel contesto farmaceutico, ma anche in quello delle strutture mediche, diagnostiche ed assistenziali, dove vi è una coesistenza di enti ed aziende pubbliche e private, convenzionate e non; così pure nell' ambito dell' istruzione primaria, che è comunque servizio di pubblica utilità, coesistono scuole materne statali e paritarie.
 
Il collega pensa inoltre che il sistema di sicurezza relativo all'espletamento del servizio dia molto maggiori garanzie al cittadino come previsto ed effettuato nelle farmacie, che non negli esercizi "commerciali" previsti dalla L. 243 del 2006. Ma tutto ciò era funzionale ad affermare che non è immaginabile "lasciare la dispensazione al pubblico dei farmaci più delicati, per profilo di rischio, potenziali effetti collaterali, possibilità di uso improprio o pericoloso" in mano di soggetti non coincidenti con un'idea e tradizione consolidata, quali sarebbero le farmacie.
E su quest'ultima conclusione la mia contestazione è massima, in quanto partendo da premesse errate ed utilizzando in modo strumentale il fatto che sulla carta, il sistema di controlli e sanzioni previsto ad oggi per le farmacie non è applicabile ad esercizi diversi, quali le parafarmacie ed i corners della GDO si ritornerebbe alla tesi della non affidabilità di aziende, che sarebbero dominate da logiche puramente commerciali.
Ma l' obiezione è facilmente ovviabile, prevedendo le stesse norme di controllo qualora finalmente il legislatore decidesse di "promuovere", in virtù delle garanzie di professionalità e qualità del servizio rappresentate dai farmacisti responsabili delle parafarmacie o corners, ad entità abilitate a gestire altre tipologie di farmaci, quali ad esempio quelli citati, di Fascia C.
 
Diversamente questa discriminazione operante, non avrebbe più alcuna giustificazione e l'unica alternativa, secondo quell'impostazione di pensiero, consiste nel non autorizzare più la vendita di articoli diversi da farmaci e dai dispositivi medici, in farmacia, la quale sì che si troverebbe in una condizione di presunta superiorità qualitativa, nei confronti delle altre tipologie di esercizi, a cui dunque resterebbe l'esclusiva di tutto ciò che è parafarmaco ed integratore dietetico, oltre alla disponibilità dei medicinali SOP, OTC ed omeopatici, non più in esclusività, ovviamente.
 
Dott. Marco Cetini
Presidente Anpi Piemonte
 

10 dicembre 2012
© Riproduzione riservata

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