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L’Istat e le professioni sanitarie. Se l’Oss è equiparato alla badante

di Francesco Barbero

22 AGO - Gentile Direttore,
ho appreso dal vostro portale della nuova classificazione Istat delle professioni, che si offre come la più moderna chiave di lettura del mondo lavorativo nel nostro paese: tale nomenclatura vanta di aver aggregato le diverse professioni per livello di complessità e competenza, adattando così il nostro sistema - ora definito CP2011 - all'omologo internazionale promosso dall'International Labour Organization Isco2008. 

Con la nuova revisione, l'infermiere e le altre professioni sanitarie abbandonano l'obsoleta etichetta di "paramediche", finendo nella categoria delle professioni tecniche (sigh!), un raggruppamento che accomuna tanto i diplomati che i laureati di primo livello (in qualsiasi disciplina), entrambi definiti "coadiutori" delle professioni specialiste. 
 
E i tanti colleghi masterizzati, laureati di II livello o dottori di ricerca? Per loro niente, l'Istat li dimentica, privandoli di uno spazio tra "le professioni che richiedono un elevato livello di conoscenza teorica per analizzare e rappresentare, in ambiti disciplinari specifici, situazioni e problemi complessi, definire le possibili soluzioni e assumere le relative decisioni". Eppure è difficile dimenticare un esercito che in totale fa 600.000 professionisti; soprattutto dopo il coinvolgimento, un anno fa esatto, del direttore responsabile per gli archivi statistici, dott. Manlio Calzaroni, da parte della Federazione degli Infermieri!
 
Anche in questo caso, ben poco varrebbero le giustificazioni presentate nel precedente episodio (nello specifico, la Nace già prevedeva la presenza infermieristica). Ad una semplice lettura del sistema internazionale Isco2008, su cui si è basato l'adattamento dell'Istat, è possibile apprezzare alcune caratteristiche di rilievo, la cui omissione ha fortemente penalizzato i lavoratori della sanità:
- il riferimento al sistema di educazione Isced-97 promosso da Unesco (e condiviso dall'Italia), con la categorizzazione al livello 5 - corrispondente alle nostre lauree di I e II livello - tra i requisiti per l'accesso alle professioni intellettuali;
- l'appartenenza di tutti gli infermieri professionisti nella categoria "nursing professionals", collocata all'interno del macro-gruppo delle professioni sanitarie, al pari di medici, ostetriche, fisioterapisti, dentisti, veterinari, etc;
- l'esistenza dello specifico macro-gruppo denominato "health associate professionals", che raggruppa tutte le professioni tecniche paragonabili ai nostri OSS (aide-soignant, auxiliar de infermeria o practice nurse).

Un rilevante gap, offerto proprio dall'errata collocazione degli infermieri italiani nel sottoinsieme dei "tecnici della salute", è dato dal raccordo tra il sistema CP2011 col sistema Isco-08, che li collocherebbe tra i "nursing associate professionals", ovvero l'equivalente dei nostri OSS. Tale grossolano errore è stato persino riportato nella pagina web Istat dedicata alla nostra professione. Gli OSS vengono di conseguenza collocati al pari di badanti, ausiliari e baby-sitter.

Personalmente, ritengo la scelta di inserire le lauree triennali "tout court" tra i profili tecnici un’opzione assolutamente infelice ed in contrasto con i modelli presi a riferimento. Ancora una volta viene vanificato il valore del titolo triennale, relegandolo a mero passaggio tra il diploma di scuola superiore e la laurea magistrale. Anzi, dello stesso valore del diploma! 
In un paese già descritto dai giornali come "fanalino di coda d'Europa" per numero di laureati, diventa sempre più difficile stupirsi del calo di iscrizioni all'università. E il nuovo sistema promosso dall'Istat non può che contribuire negativamente.
 
Dott. Francesco Barbero
Infermiere specialista in area critica

22 agosto 2013
© Riproduzione riservata

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