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Il riformista che non c’è e la "nuova alleanza" tra operatori e cittadini

di Antonella Monastra

03 NOV - Gentile direttore,
l’ultimo libro di Ivan Cavicchi oltre che denso di stimoli alla riflessione è anche una vera e propria proposta operativa che pone alcuni interrogativi. Quattro le questioni  affrontate  dal libro: ripensare l’art 32 per costruire più salute, ripensare i modi di essere della medicina per curare meglio e fare più salute, ripensare il lavoro per essere più bravi a usare la medicina per fare più salute, ripensare le politiche sanitarie per non limitarsi a riorganizzare un sistema invecchiato ma per ripensare i modelli attualmente impiegati….. sempre  per fare  più salute.
 
Questa straordinaria ossessione di “fare più salute” è forse il tratto più affascinante di una utopia alla quale Cavicchi lavora da anni e che nel libro prima diventa strategia, poi progetto, quindi  proposta  e da ultimo condizione di lavoro. A questa straordinaria ossessione  si accompagna quella altrettanto straordinaria del ripensamento, della ricerca critica delle soluzioni, del mettersi in gioco, del ridefinire continuamente i valori sacri e irrinunciabili in nuovi contesti faccia a faccia con i mutamenti che si presentano. Quindi del coraggio e dell’onestà del riformatore. Il messaggio arriva forte e chiaro: salute oggi vuol dire  ripensamento.
 
Come sottolinea Daniela Francese “di chiacchiere che risuonano di convegno in seminario, di tavola rotonda in work shop, di forum in congresso ne abbiamo tutti sentite a profusione, mentre adesso è il momento di agire.”
Ma per l’appunto, fuori da seminari, congressi e workshop vi sono luoghi di conflitto, nell’accezione positiva del termine, da cui emergono spinte sociali in grado di rimettere con forza in discussione il sistema e la sua cultura? Senza negare sprechi e cattiva gestione occorre sempre avere ben presente la subalternità della politica degli ultimi decenni agli interessi economici di un mondo che ha risucchiato qualunque diritto a favore del proprio profitto, tirandosi dietro mafie e corruzione.
 
L’ormai cronica e purtroppo supinamente accettata contrapposizione - continuamente proposta - tra salute e lavoro, salute e ambiente, salute e risorse economiche mostrano la disastrosa inadeguatezza di modelli culturali che propongono e impongono una visione povera della realtà, in cui la complessità dei sistemi viene semplificata a scapito del benessere collettivo e dei diritti. E ciò non riguarda solo i governi, ma anche soggetti e “luoghi”  dove il conflitto riesce ad emergere, seppure con difficoltà, traducendosi in un essere “tutti contro tutti” e non, più proficuamente, essere tutti, ciascuno con la propria identità, con e dentro percorsi di cambiamento “compossibile”.
 
Da dove ripartire allora, con quali forze, con quali strumenti e soprattutto con quali tempi si può agire per avviare un cambiamento culturale che è a questo punto  indissolubilmente legato alla proposta di nuovi modelli operativi? Certamente bisogna ripartire dal lavoro e dal disagio dei professionisti della sanità da un canto e dall’altro dal bisogno di salute reale delle persone, purché si costruisca una “nuova alleanza”. Andrebbe anche introdotta la valutazione di impatto sulla salute di tutte le politiche che abbiano ricadute anche indirette su essa. Ricomporre la complessità della salute pubblica e individuale in un quadro ricco e composito in cui si riparta dall’immaginazione e dalla “predicibilità” di Cavicchi richiede però un lavoro molto impegnativo che riguarda le comunità locali in cui l’incontro tra soggetti e identità che le compongono produca la costruzione partecipata di “progetti di salute” che abbiano poi la forza di penetrare i luoghi decisionali.
 
Di certo le Istituzioni, con Sindaci e Presidenti di Regione, devono essere messe di fronte ad una grande responsabilità e al dovere di far sì che ciò sia possibile, superando barriere burocratiche e normative che celano esclusivamente la necessità di mantenere un’opacità che è funzionale all’autoconservazione ed alla concentrazione del potere. Sapranno tali rappresentati delle Comunità locali essere finalmente dalla parte della cittadinanza di fronte a Governi sempre più “predatori”?  Fin qui non mi pare si possa essere troppo ottimisti. Ma il riformista che chiamiamo in causa è oggi un’utopia? «Lei è all'orizzonte» dice Fernando Birri. «Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare», ("Las palabras andantes", di Eduardo Galeano, Finestra sull'Utopia).
 
Antonella Monastra
Ginecologa e Consigliera Comunale, Palermo

03 novembre 2013
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