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La mobilità volontaria e le “strane interpretazioni” legate ai piani di rientro

di Domenico Minniti

31 MAR - L’istituto della mobilità volontaria, com’è noto, rende possibile il trasferimento di un dipendente da un Ente ad un altro. La materia è regolata fondamentalmente dall’art. 30 del D. lgs. 165/2001, così come modificato dall’art. 48 del D. lgs. 159/2009 ed integrato dalla contrattazione collettiva nazionale (nel caso specifico della Dirigenza Medica e Veterinaria, dagli articoli 20 del CCNL 8.6.2000 e 41 del CCNL 10.2.2004). Le amministrazioni, prima di ricorrere all’espletamento di procedure concorsuali finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità (art. 30, comma 2bis del D. lgs. 165/2001 s.m.i.).

Il dispositivo è relativamente semplice: l’Azienda Sanitaria, attraverso una procedura di evidenza pubblica, generalmente rappresentata da un bando o da un “avviso di mobilità”, rende nota la disponibilità dei posti in organico “fissando preventivamente i criteri di scelta” (art. 30, comma 1 D. lgs. 165/2001 s.m.i.).

Il Dirigente Medico collocatosi in idonea posizione in graduatoria, richiede il nulla osta all’Azienda di partenza. Se questo non viene concesso entro dieci giorni, lo stesso viene sostituito da un preavviso di tre mesi (art. 20, comma 2 CCNL 8.6.2000 della Dirigenza Medica e Veterinaria). Qualora il Dirigente abbia la necessità di trasferire il rapporto di lavoro rapidamente, dunque non osservando i termini del preavviso, è tenuto a corrispondere all’Azienda di appartenenza un’indennità pari all’importo della retribuzione spettante per il periodo di mancato preavviso (art. 39, comma 4 CCNL 5.12.1996 della Dirigenza Medica e Veterinaria).

Fin qui, tutto lineare.

Da qualche tempo però, in alcune regioni ricomprese tra quelle soggette a piano di rientro dal disavanzo economico, la procedura è diventata arbitrariamente complicata, limitando gravemente un diritto contrattualmente sancito per i Dirigenti Medici.

Le Regioni Campania (decreto n. 3 del 23.01.2014) e Lazio (decreto U00014 del 16.02.2009 per come modificato dal decreto U00323 del 05.07.2013), con provvedimenti dei rispettivi commissari ad acta, subordinano il passaggio del Dirigente all’Azienda di destinazione, alla concessione del nulla osta da parte dell’Azienda di appartenenza disattendendo, di fatto, la normativa contrattuale.

Se è vero che alle Regioni sono state completamente demandate - in virtù della modifica del Titolo V della Costituzione - le competenze in materia di organizzazione sanitaria, è anche vero però che la disciplina della mobilità del personale dev’essere ricondotta "alla materia dell’ordinamento civile" (Sentenza C. Cost., n. 324/2010), che vada quindi riservata all’art. 117, comma 2, lettera “m” della Costituzione stessa, e che spetti dunque alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, non certo alle Regioni.

In questo senso, ed in virtù del così detto principio di cedevolezza “la potestà legislativa delle Regioni incontra il limite dei principi ed interessi generali cui s’informa la legislazione dello Stato”, così com’è riportato nella sentenza della Cassazione 12131 del 3 giugno 2011 che dirime la questione sulle norme di differente rango legislativo.
Appaiono a mio avviso dunque impugnabili tutti quei bandi o avvisi di mobilità che prevedano, quale condicio sine qua non, il rilascio del nulla osta da parte dell’Azienda di appartenenza.

Dr. Domenico Minniti
Vicepresidente Aaroi-Emac Calabria 

31 marzo 2014
© Riproduzione riservata

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