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Disobbedienza civile e infermieri. Osare per migliorare il sistema

di Marcella Gostinelli

05 GIU - Gentile Direttore,
ho letto le interviste fatte da Chiara D’Angelo al Prof.Cavicchi su Infermieristicamente (Nursind) ; interviste che la collega D’Angelo definisce “perle” e che hanno avuto un forte impatto sugli infermieri ed anche su di me; le ho studiate per cercare di capire in assoluta libertà quello che il Prof.Cavicchi ci ha voluto comunicare. Mi scuseranno tutti gli infermieri che non amano quello che il Prof. Cavicchi scrive, non in assoluto, ma nel merito, e di cui non vogliono sentir parlare, ed anche coloro che lo amano, ma che preferiscono non parlarne perché sconveniente. Io al contrario temo il silenzio, non mi piace quando ogni varco di uscita è ostruito e non voglio che i pensieri altri, anche quelli scomodi, condannino il proprietario a ”cuocere nel suo brodo”; se in quel brodo si parla anche di noi, lo sforzo richiestomi per tenere intenzionalmente nascosto quanto intenzionalmente non viene nascosto da chi lo comunica è troppo grande e il gioco, per me, non vale la candela.

Cercare di capire io credo che sia un saggio sforzo per un professionista serio, un retto sforzo per una professione di servizio, intellettuale e liberale come la nostra. Il retto sforzo con il tempo diventa soddisfacente e più liberante del silenzio.

La cosa che più mi ha colpita in queste interviste è l’idea della Disobbedienza civile di Henry David Thoreau ,idea che ha influenzato moltissimo personaggi come Gandhi e Martin Luther King.

L’idea della disobbedienza civile viene proposta dal prof.Cavicchi agli infermieri dopo una lunga analisi sulla post ausiliarità, sul demansionamento e sulla necessità per le professioni di cooperare per coevolvere (Infermieristicamente, Nursind, I, II, III intervista). Mi ha colpita molto perché è un’idea potente, comunicata agli infermieri da chi infermiere non è e che per questo emoziona, nel senso che all’erta, è come se improvvisamente qualcuno ti svegliasse da un incanto per disincantarti, per dirti “svegliati”! Inquieta, perché la disobbedienza civile nasce da una fiducia quasi illimitata nelle capacità del singolo individuo, in questo caso infermiere, di saper scegliere tra giusto e sbagliato disconoscendo, se occorre, la maggioranza. Bisogna rifiutarsi di eseguire azioni o comportamenti che non condividiamo, dice l’idea e che non sono condivisibili perché non sono giusti. Richiama dunque l’infermiere alla coscienza, alla presenza, alla vigilanza.

Una convinzione di questo tipo determina, naturalmente, delle critiche perché la valutazione e la scelta conseguente di ciò che può essere giusto e sbagliato è sempre molto soggettiva e personale, se rimane una scelta individuale, ma se la corporazione professionale è fatta di uomini professionisti con una coscienza giusta, diventa una corporazione con una coscienza giusta, è dunque un’idea collettiva.

Non a caso Cavicchi si rivolge non solo all’infermiere, ma anche ai collegi ed al sindacato. La disobbedienza civile può, inoltre, essere il diritto di rifiutare l’obbedienza, semplicemente, o anche il diritto di rifiutare l’obbedienza ed opporre resistenza quando chi ti governa sia tiranno o inefficiente in modo intollerabile ed è un diritto che nasce prima come individuale e poi collettivo; non a caso Cavicchi si rivolge non solo all’infermiere, ma anche ai collegi ed al sindacato.

E’ un’idea facilmente strumentalizzabile però. Si rimprovera infatti a Cavicchi di istigare gli Infermieri alla guerra contro i Collegi ed altro ancora (commento di Paola Felice Infermieristicamente, Nursind) , ma questo non è vero, è anzi facilmente smentibile, perché Thoreau, a leggi o imposizioni ingiuste contrappone una sorta di resistenza passiva e lo stesso i suoi seguaci che fecero della non violenza la linea guida delle loro azioni ( L.Barberi, H.D.Thoreau, note critiche,2014).
Per me, che vorrei ripensare o pensare ad una strategia che ricompatti tutto quello che finora si è prodotto e che porti la professione infermieristica ad essere davvero una professione intellettuale è una idea davvero interessante, ma che richiede la consapevolezza di chi dovrebbe disobbedire. Io, penso che per essere dei professionisti intellettuali prima di ogni altra cosa si debba essere individui liberi, con una libertà che nasce dalla consapevolezza, ma sapendo anche che la liberazione è la base della consapevolezza (Corrado Pensa ,1994).

Un professionista infermiere libero è un professionista che si è liberato dei suoi retaggi culturali, ha sofferto, ha studiato, si è reso saggio, e quindi non ha paura di credere in ciò che pensa sia giusto, perciò capisce che l’attaccamento acritico a qualsiasi cosa è sofferenza, l’avversione acritica è sofferenza, l’ignoranza di quanto accade è sofferenza. Sempre, anche nella professione.

“L’infermiere che nella carta ha superato il suo vecchio mansionario, ma nella pratica continua ad essere il vecchio mansionista che è sempre stato” , dice Cavicchi nelle interviste rilasciate, è un infermiere libero? Niente di male ad essere stato un mansionista, dico io, ma condivido che esserlo oggi non vada bene. “La post ausiliarietà nasce non perché il mondo è contro gli infermieri ,ma perché il mondo che avrebbe dovuto cambiare per affermare un nuovo infermiere non è cambiato”. E questo è un dato di fatto. Saggio sarebbe chiedersi.. perché? La strategia che avrebbe dovuto cambiarlo si è rivelata alla prova dei fatti debole,parziale ,incompleta? A mio avviso palesemente incompleta. Oggi quindi, secondo Cavicchi, si dovrebbe ripensare quella strategia e aprire un ciclo riformatore nuovo che superi la post ausiliarietà ,cioè che faccia ciò che ancora non è stato fatto. Se per tutti gli infermieri è vero che siamo nella postausiliarità come possiamo esserne soddisfatti e compiaciuti? Quale compiacimento può esserci se la loro opinione è che il loro essere professionista è danneggiato? Perché se non siamo soddisfatti ci accontentiamo di sapere che non lo siamo? Perché non consegue un’azione in base al principio che siamo danneggiati? Se invece questo non è vero mi chiedo e chiedo: “Perché quello che un infermiere dovrebbe fare è ancora definito con norma attraverso delle declaratorie con compiti- attività immaginate e descritte per situazioni predefinite? E se la situazione predefinita non si riproduce nella realtà? Il compito presuppone un’esecuzione conforme a quanto descritto e quindi nessuna discrezionalità o comunque basso grado di scelta, solo obbedienza al sistema e disobbedienza a se stesso all’essere infermiere e all’essere persona malata. Che ne è di quell’infermiere? È un infermiere che si adatta a fare tutto quello che la realtà gli richiede, anche pulire i pavimenti come , sembra che accada, senza nessun imbarazzo da parte di chi lo richiede, talvolta, in alcuni contesti di cura privati; oppure è un infermiere che continua a fare la tricotomia il giorno prima dell’intervento perché non ha il tempo per farla poco prima dell’intervento, un infermiere ancora disobbediente/obbediente; è un infermiere che nonostante la legge ed il malato glielo chiedano non riesce a pianificare la sua cura verso il malato, ancora disobbediente; è un infermiere che utilizza un linguaggio quotidiano adatto alla organizzazione in cui lavora e dice:”giro dei letti, “giro della terapia”; il linguaggio è l’estetica di un’ organizzazione che in questo esempio è evidentemente povera e inadeguata. E’ un infermiere che trovandosi in una condizione di scarso organico dovrà fare cose non previste dai suoi compiti predefiniti e quindi, reinterpretando il compito, disobbedire. E se disobbedisce reinterpretando il compito, che in quel caso non contemplava il fuori standard, disobbedisce perché rifiuta l’obbedienza o disobbedisce per non opporsi al suo governo?

Io credo che da una parte si consideri l’infermiere come un personaggio versatile “atto all’uso”, regolabile burocraticamente o anche al bisogno , capace di muoversi seguendo una razionalità prescritta da una qualche procedura, la razionalità dei mezzi perché quella dei fini appartiene a qualcun altro e comunque sia non gli è ancora richiesto di mediare tra la razionalità dei mezzi e quella dei fini; è colui che non ha mai scelte alternative possibili ,agisce attraverso condotte preordinate, perfino le diagnosi infermieristiche( tranne qualche eccezione) le preordina nella cartella infermieristica per non perdere tempo quando ricovera un malato, rinunciando per sempre alla sua conoscenza reale. Il modo di lavorare dell’infermiere non segue il suo modo di essere, non gli si chiede di ragionare praticamente ,utilizzando di volta in volta la razionalità intrinseca alle situazioni, al contingente, al malato,alle organizzazioni , non gli si chiede di stare sul fenomeno e quindi di essere ogni volta “nuovo” ; dall’altra, l’infermiere ,forse, non ha capito che deve “osare”per essere quello che è e non disobbedire solo a se stesso,o al malato; oppure non ha il coraggio di esperimentare l’effetto dei suoi ragionamenti e delle sue scelte sul fenomeno consapevolmente. Da un'altra parte ancora, penso che accade perché fatta la legge nessuno si è preso cura di questo traghettamento che sapevamo sarebbe stato difficile perché la nostra origine come professione è quella e non un’altra, sapevamo di non poter contare su uno storico, sapevamo di essere giovani intellettuali e proprio perché sapevamo doveva essere contemplata una premura di accompagnamento che non c’è stata. Si salvi chi può, sembra si sia pensato. Si pensi, oltre alle declaratorie, anche alle retribuzioni che sono ancora da inguaribili idealisti, e mi riferisco sia al salario, come da contratto nazionale, sia alla retribuzione di risultato, quella che avviene dopo verifica di un obiettivo raggiunto, la retribuzione dell’impegno ragionato e verificato; nessuno si è chiesto mai se l’infermiere oltre ad essere molto versatile ed osservante produce qualcosa di buono, di utile? Sembra di no. E l’infermiere si chiede mai perché è cosi condizionato dalle relazioni o non relazioni con altre professioni? E se si perché è cosi rassegnato? Nel suo operare a chi disobbedisce quotidianamente? A se stesso, al malato, al sistema, a tutti?

Io penso che la disobbedienza civile verso le grandi contraddizioni ci sia già, come metodo di sopravvivenza personale, ma proprio perché personale determina solo dei mutamenti nel professionista, irrilevanti fenomeni per il sistema, niente per il malato; la disobbedienza civile è conoscenza tacita per gli infermieri, rendiamola esplicita. Liberiamoci. Bottega ci aiuti, il sistema ci aiuti a cambiare.

Marcella Gostinelli
Infermiera, dirigente sanitario

 

05 giugno 2014
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