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La somministrazione di farmaci rientra da sempre nelle competenze dell'infermiere

di Alessandro Vergallo

23 SET - Gentile Direttore,
ho letto con grande interesse l’articolo a firma di Luca Benci sulla recente sentenza del Tribunale di Taranto, trattandosi di distinte responsabilità professionali di infermiere e medico (in questo caso anestesista rianimatore) nelle eventualità di errore nella modalità di somministrazione di farmaci.
Mi pare che il ragionamento sulla sentenza, in generale, segua una logica in larghissima parte condivisibile, pur se la locuzione “portatrice di cateterino peridurale” (tralasciando il diminutivo di vari materiali e strumenti di uso sanitario, che sarebbe da evitare per varie ragioni) è fuorviante, in quanto la tecnica anestesiologica utilizzata nel caso specifico, correttamente riportata più avanti come in sentenza, era invece quella denominata “blocco del plesso lombare”.

Assolutamente pertinente, comunque, appare l’osservazione sull’opportunità di approfondire quali siano i “processi pubblici di accreditamento che permettono a determinate strutture il funzionamento pur in carenza di personale o di personale qualificato”, in riferimento al mancato utilizzo di uno strumento particolare, la cosiddetta “pompa elastomerica”, che avrebbe probabilmente potuto ridurre i rischi di incidente a condizione di poter disporre di adeguate risorse aziendali, umane e non solo.

Non altrettanto fondata, invece, appare una generalizzazione, in base alla quale “gli errori degli infermieri restano ben al di fuori dell’ambito dei fattori di rischio prevedibili e dominabili da parte dell’anestesista“, essendo tale conclusione alterata rispetto a quella originale riportata in sentenza, che invece recita: “Quanto alla specifica colpa della infermiera professionale … è evidente che essa resta ben al di fuori dell’ambito dei fattori di rischio prevedibili e dominabili da parte dell’anestesista”.

Del tutto corretta, invece, è l’affermazione che in base a tale sentenza “L’infermiere risponde, quindi, della propria attività”. Della propria, per l’appunto, e non di quella connessa ad attività che infermieristiche non sono, e che in base alla cosiddetta “implementazione delle competenze” si vorrebbero legittimare. Del resto, la somministrazione di farmaci rientra da sempre nelle competenze dell’Infermiere, come atto conseguente alla prescrizione medica, esattamente come è accaduto nel caso di specie. Perciò, è evidente che la sentenza in questione altro non è che un piccolo passo di coerenza per la giurisprudenza, ma non è affatto quel passo da gigante che a qualcuno potrebbe convenire far apparire.
 

Alessandro Vergallo (presidente nazionale Aaroi-Emac)

23 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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