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Lazio. C’era una volta il primario

di Stefano Canitano

20 OTT - Gentile Direttore,
Non si fa in tempo a rilevare una operazione inutile e dannosa che ci si imbatte in un’altra preoccupante performance di disinformazione normativa e tecnica, sbandierata sabato scorso su “Il Messaggero” con un titolo demagogicamente ammiccante sulla crocifissone di una categoria che, probabilmente per episodi sporadici, gode di una pessima fama diffusa a mezzo stampa. “Aboliremo 400 Primariati” (applausi).
 
Ma veniamo al tema centrale citato dal titolo del quotidiano romano.
La Riforma del 1992 ha soppresso la figura del primario e ha conferito ai medici il ruolo unico della dirigenza (ponendo di fatto tutti i dirigenti sullo stesso livello e quindi rivalutando l’autonomia clinica dei singoli medici), con l’individuazione del Direttore di Struttura Complessa con incarico conferito per una durata variabile da tre a cinque anni, verificabile e revocabile.
 
Non sembra che questa innovazione sia stata recepita dalla maggioranza degli attori del sistema, né per ciò che concerne il significato intrinseco (ovvero il ruolo di programmatore e coordinatore di altre figure professionali al fine di esaltarne e sinergizzarne le capacità cliniche assistenziali, mettendo in secondo piano la carismatica figura demiurgica appartenente al secolo scorso) sia per ciò che concerne il suo carattere  temporaneo, che dovrebbe esaltarne gli aspetti  dinamici organizzativi di un sistema in continua evoluzione.
Certo, inizialmente, molti “primariati” sono automaticamente transitati in Strutture Complesse senza alcuna valutazione funzionale, per le consuete ragioni italiote, forme di clientelismo, scambio di favori, mafiosità di Sistema, o anche solo perché l’etichetta di “Primario” sulla targa di uno Studio medico o di una clinica privata, o sul ricettario personale ha sempre prodotto i suoi frutti…..
 
Decaduta però la “Carriera” e l’articolazione giuridicamente gerarchica dei vecchi ruoli (Primario, Aiuto, Assistente), ci saremmo aspettati che si fossero colte le opportunità offerte da una nuova organizzazione non gerarchica ma per l’appunto “complessa”.
Ed ecco che il Decreto Balduzzi del 2012 taglia linearmente strutture semplici e complesse senza consentire  valutazioni analitiche  adeguate su eventuali Strutture inutili, ridondanti, o invece davvero necessarie a far funzionare il Servizio Sanitario.
L’unica vera conseguenza della semplice applicazione del suddetto decreto senza l’identificazione di idonei indicatori di valenza clinico-organizzativa  consiste nel rischio concreto di assegnare con liberalità o, peggio, casualmente, nuovi centri di potere elefantiaci ingestibili, abbassando l’impatto clinico del ruolo di direttore di Struttura Complessa.
 
E arriviamo al punto che ci sta più a cuore: i “servizi”, brutta parola per designare aree cliniche  a valenza trasversale di fondamentale importanza, quali la Radiodiagnostica, che notoriamente non hanno “posti – letto” e vengono perciò spesso considerati dalle amministrazioni quali centri di produzione “industriale” invece che snodo essenziale del percorso diagnostico terapeutico.
E che sono quindi fuori dai “parametri Balduzzi”, a meno di non “penalizzare” le strutture dotate di posti letto, ragionando ancora con una mentalità medioevale che identifica il potere con i posti-letto.
 
Così in tutta Italia le Radiodiagnostiche vengono fuse e accorpate selvaggiamente, come accade in alcune regioni nelle quali si identifica addirittura una struttura complessa di Radiodiagnostica per l’intera regione.
L’agghiacciante dichiarazione del Presidente Zingaretti in cui afferma che “eliminerà le strutture rette da un Direttore F.F. (facente funzione)” butta sul tavolo verde delle scelte regionali un altro azzardo.
Considerando la presenza nell’intero Lazio di non più di cinque o sei titolari di Struttura Complessa attualmente in servizio, dei quali alcuni molto prossimi alla quiescenza, è facile presagire un massivo e selvaggio accorpamento delle Radiodiagnostiche.
 
Il Direttore di Struttura Complessa (che ribadiamo non è più il vecchio “Primario”, il “miglior medico” del reparto, anche perché la quantità del sapere in medicina è tale da non permettere che questo sapere che sia nelle mani di un unico professionista) non  ha un ruolo esclusivamente gestionale volto  a sfruttare al massimo la “produttività” dei singoli componenti dell’equipe per incrementare gli introiti e contribuire al pareggio di bilancio dell’azienda o servire senza alcuna rivalutazione critica le richieste dei reparti di degenza.
Ma gestisce con le sue conoscenze le diverse competenze e, insieme agli altri dirigenti, coordina i percorsi diagnostico-terapeutici.
Insomma non vorremmo essere transitati dal Santone al Travet di alto livello, al Grand Commis di Stato.
 
Il nuovo Direttore deve essere invece un professionista completo, competente in tema di Sanità Pubblica, con voce in capitolo sulla Medicina, sui percorsi, con competenze sufficienti per rivestire il ruolo di team-leader e organizzare secondo la massima appropriatezza i servizi all’utenza.
Allontanandolo dai reparti, portandolo alla gestione telematica o “in remoto” di decine di professionisti e di sale diagnostiche, di strutture elefantiache e inevitabilmente incontrollabili se ne svilisce in modo irreversibile il fondamentale ruolo di raccordo fra la gestione e la clinica.
 
Il timore è che qualcuno possa pensare che (ben presto) non ci sarà più bisogno di un medico per contare i manufatti prodotti dalle diverse strutture, gestite senza la necessaria autonomia da valvassori con potere limitato e ad amministrazione “controllata”.
Ribadiamo con forza che a fronte di un risparmio ridicolo, la demolizione del ruolo clinico, in questo caso della Radiodiagnostica, rappresenterebbe un enorme  danno per i cittadini bisognosi di assistenza e della competenza dei medici radiologi.
Ma questa prospettiva diventerebbe il futuro anche per altre specialità. 
È forse inutile ma necessario ricordare  che in Regione non è stata ancora istituita una “vera” struttura centrale di controllo e gestione delle diagnostiche, né tantomeno una “Commissione della Diagnostica” o come altro la si potrebbe chiamare, dalla quale sperare quel ruolo di coordinamento e controllo essenziale per gestire la branca in questione, immaginando tristemente invece la creazione di macro-isole ingestibili.
 
Non rimpiangiamo in nessun modo (avendoli vissuti in prima persona) né Primariati né Primari. Rimpiangeremo (o rimpiangeremmo)  invece, insieme all’intero sistema e ai cittadini, la possibilità di una più vicina e consapevole gestione dei servizi di diagnostica.
Purtroppo, come al solito, dal punto di vista dei consensi, rimane più facile affermare che si “sforbiciano i Primariati” (che non esistono già più ma che alludono demagogicamente a  favoritismi e baronati) piuttosto che ammettere che si disarticolano i servizi…
 
Stefano Canitano
Segretario regionale Lazio Snr Fassid e medico Istituto Tumori Regina Elena

20 ottobre 2014
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