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Impariamo dall’Europa a riformare la formazione dei medici

di P. Di Silverio, F. Ragazzo

04 NOV - Gentile Direttore,
secondo i dati Almalaurea del 2013, gli attuali studenti in Medicina e Chirurgia che desiderano diventare medici sono circa 166.000, un sogno sempre più difficile da realizzare, mentre il fabbisogno di medici specialisti individuato dal Ministero della Salute per il triennio 2011-2014 è di 24.798 unità, cifra disattesa. Attualmente esiste una enorme discrepanza tra numero di studenti che accedono ogni anno alle Scuole di Medicina e Chirurgia (negli a.a 2013-2014 e 2014-2015: circa 10.000/anno ovvero quasi 17.000/anno se si comprendono i ricorsi al TAR), e posti annuali disponibili per l’accesso alle scuole di specializzazione (circa 5504 per l’anno accademico 2013/14 inclusi gli altri enti e le borse regionali).
Questo il contesto, questi i dati che mettono a fuoco la crisi di un sistema formativo ed occupazionale che per troppi anni ha accantonato un processo di reale programmazione.
 
La scorretta programmazione che investe tutta una generazione è ben evidente dal gap tra le stime del Ministero della Salute sopra citate nel triennio 2011-14, e i posti ministeriali disponibili per l’accesso alle scuole di specializzazione, che risultano invece essere complessivamente di circa 15004 per lo stesso triennio; quindi 9794 medici in meno al netto dei contratti regionali. Da questa incapacità programmatica, ne risulta un danno alla qualità del SSN unitamente ad un deterioramento della formazione medica.
D’altro canto il confronto con le altre realtà europee è impietoso; rispetto alla formazione medica italiana, quella tedesca ha la stessa durata, quella francese dura mediamente un anno in più, quella inglese dura due anni in più. Tali realtà estere hanno come comune denominatore una parte della formazione sviluppata in un contratto di lavoro meritocratico e flessibile, con una alta qualità di competenze acquisite sul campo.
Diversamente In Italia il medico in formazione è poco più di uno studente, e poco meno di un lavoratore. L’assenza di controlli sulle attività formative (logbook), l’eccessivo peso della didattica frontale sulla pratica (scarso sviluppo di skills tecnici), contribuiscono a preparare un “prodotto medico” ancora troppo acerbo a confronto con le rivali realtà europee e probabilmente per la realtà sanitaria italiana stessa.
 
Di fronte a fenomeni come l’esodo pensionistico, le fughe all’estero e il blocco delle assunzioni, è verosimile aspettarsi un progressivo “sottoutilizzo” del profilo del giovane medico, ora sminuito, verso un sistema “riparativo” di task-shifting, ovvero lo spostamento di competenze più elevate ad altri soggetti (anche privati) di qualificazione formale meno elevata ma specificatamente certificati, sulla spinta di una apparente maggior efficienza di utilizzo delle risorse. Si concretizza così il rischio di demansionamento del medico, a vantaggio di soli processi organizzativi e conseguente ingessatura di carriera professionale e gestionale, con risvolti critici e non prevedibili sulla qualità delle cure.
 
Per evitare questa realtà prossima, emerge quindi la necessità di regolamentare in modo più razionale e metodico gli accessi alla Facoltà di Medicina, e di sviluppare professionalità crescenti attraverso un modello di accesso al mondo del lavoro, con progressivo ricambio generazionale favorito da una flessibilità in uscita sulla base dell’anzianità lavorativa e uniformando le scuole di specializzazione italiane alle “residenze” anglosassoni, o agli “internèe” francesi, queste ultime caratterizzate da un vero e proprio rapporto di lavoro, con acquisizione graduale di responsabilità commisurate alle abilità acquisite e verificate, nell’ambito dell’attività ospedaliera (teaching hospitals).

Innovare non vuol dire solo cambiare, e non può essere sinonimo di “riforma” al risparmio. Innovare vuol dire realizzare un percorso strutturato, solido, non a rischio di situazioni caotiche e disorganizzate quali la riduzione indiscriminata dei contratti di formazione specialistica, il frettoloso “allestimento” di un Concorso Nazionale per l’accesso alle Scuole di Specializzazione, ora crollato addosso agli stessi aspiranti specialisti, spinti da rabbia a nuovi ricorsi al TAR, ma che rispetto allo Stato che non li considera, sono sempre più consapevoli del capitale umano che rappresentano.
 
Pierino Di Silverio, Direttivo Nazionale Settore Anaao Giovani Regione Campania
Fabio Ragazzo, Direttivo Nazionale Settore Anaao Giovani Regione Veneto 

04 novembre 2014
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