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Professioni sanitarie e dirigenza. Non spetta solo agli infermieri

di Gianni Melotti

23 NOV - Gentile direttore,
sono sempre più stupefatto dalla lettura dell’evoluzione normativa, che ha interessato tutte le professioni sanitarie, dai profili alle lauree di secondo livello, che si fa in alcune lettere e articoli. Un lettore distratto potrebbe pensare che tutti questi “effetti speciali” riguardino unicamente una sola professione, quella infermieristica che, sarà bene ricordarcelo, è approdata ad un sistema formativo che altri, come ad esempio le professioni sanitarie della riabilitazione, avevano già dal 1974 e cioè liceo e tre anni di corso.
 
Ancora più imbarazzante leggere che gli stessi, nel prospettare la direzione di strutture residenziali, la direzione di servizi, la direzione di strutture ambulatoriali, la direzione di servizi formativi, la direzione di strutture post-acuti, etc. etc., hanno immaginato che la cosa dovesse riguardare solo loro. Ne è un esempio quello che sta succedendo anche ultimamente nel Lazio con i reparti a conduzione infermieristica che hanno suscitato le rampogne di parte medica alle quali risponde un comitato di dirigenti infermieri che scopro ora, dalle pagine di QS, lamentare la mancata applicazione della legge 251/00.Ma da che pulpito!
 
Credo proprio che predichino bene, ma razzolino male. Sono gli stessi, infatti, che poi, accettando di dirigere i SITRA (o DITRA o DIT o DIPARTIMENTO PROFESSIONI SANITARIE che dir si voglia) impediscono proprio l'attuazione della legge stessa e quindi bloccano di fatto le dirigenze di area come invece la Legge prescrive.
La logica e la normativa prevedono che i processi professionali in sanità debbano essere governati da chi li conosce. E colloca queste responsabilità di governo, separate per aree professionali, all'interno della direzione strategica aziendale, in funzioni di servizio per la Direzione, senza prevedere alcun "cappello" o contenitore.
Tutte queste strutture di contenimento delle funzioni di governo invece non hanno alcuna copertura normativa, ma soprattutto non hanno logica se non quella di incontrare il comfort di alcuni Direttori Generali che pretendono di interpretare il ruolo per cui sono pagati "parlando con una persona sola".
Ora gli infermieri si trovano probabilmente alle strette e chiedono un tavolo con i medici “per trovare insieme una strategia in grado di coniugare la gestione organizzativa dei processi con quella clinica e assistenziale, nel rispetto reciproco delle competenze e delle responsabilità circa i risultati attesi”.Ma chi ha firmato loro una delega in bianco per permettersi di discutere anche a nome di altre professioni?
 
Stessa cosa, come categoria, l'hanno fatta sulle loro competenze avanzate, praticamente ferme da anni. Pur di mandare avanti la bozza alla Stato-Regioni hanno favorito l'adozione della cosiddetta "cabina di regia" dove saranno ancora i medici a decidere dei destini delle professioni sanitarie e, “'sta roba”, rischierà di complicare la vita a tutti gli altri, visto che questa nasce per essere uno:” strumento per il confronto permanente unitario e partecipato sugli ambiti di sviluppo professionale, organizzativo e formativo”. 
Ne è prova il fatto che, già il 16 gennaio scorso, la bozza di protocollo, sulla cosiddetta cabina di regia, che “non dice niente di nuovo di cui non si avesse già contezza”, come dice la Sen. Silvestro, presidente Federazione Nazionale Collegi IPASVI, registrava già un emendamento secondo il quale “il ruolo e le responsabilità diagnostico- terapeutiche e riabilitative sono in capo ai medici anche per favorirne l’evoluzione professionale a livello organizzativo e ordinamentale”. Questa modifica poteva essere una vera beffa nei confronti delle professioni di area riabilitativa se la stessa Silvestro non si fosse affrettata a smentirla. Infatti il 24 gennaio durante una video intervista, presente sul sito Ipasvi,  è la stessa Senatrice a precisare che l’aggiunta “e riabilitative” è un refuso e andrà tolto.
Non si pensi, però, che me la prenda con il dirigente infermieristico in senso stretto. Ma se è vero che serve una Laurea Magistrale per la direzione dei loro corsi di Laurea e dei loro Servizi di Area, cosa questa che accade anche per le altre professioni sanitarie, non vorrei che, tra chi è sempre pronto a farci la morale, ci fosse anche chi fa riferimento ad altre logiche, ricoprendo un ruolo “anomalo” e, per come la vedo io, in abbondanza di abuso di potere su aree non conferite loro per legge. Quella non attuata, per capirci.
 
Fatto sta che, curiosando sul sito di questo comitato, c’è anche chi dichiara candidamente di dirigere le professioni di area tecnico-sanitaria e di riabilitazione. Ma non si sentiranno fuori posto visto che il loro titolo è quello di Laureato Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche? Beh certo questo è il requisito principe per potersi iscrivere al gruppo, ma, visto che si sono dati anche un “proto codice di etica e deontologia”, non si rendono conto che il loro modo di fare sta bloccando l’evoluzione delle altre aree previste della legge 251/00?  Non si sentono in imbarazzo? Si sono mai chiesti cosa abbiano a che fare con le professioni dell’area tecnico sanitaria o con quelle della riabilitazione? O gli infermieri se lo chiedono solo quando a dirigerli capita una ostetrica o un qualche fisioterapista, evidentemente piovuto da Marte, come è capitato in un caso davvero più unico che raro? Insomma, non ha insegnato niente il detto  evangelico: “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”?
 
Comunque sia, forse uno spiraglio per dare a “Cesare quel che è di Cesare” lo si intravede nel comma 12 dell'Art. 39 della bozza della legge di stabilità 2015, nel quale pare si vogliono definire  “ i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni ed obiettivi, delle professioni sanitarie infermieristiche- ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, ….”.
Ma anche qui avremo tutto il tempo per capire se anche queste sono solo parole al vento.A noi hanno insegnato che l'integrazione deriva dalla (reciproca) identificazione (delle differenze); altrimenti si parla di "assimilazione". Non è di questo che il sistema sanitario ha bisogno.
 
Gianni Melotti
Fisioterapista

23 novembre 2014
© Riproduzione riservata

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