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Medicina e quel “test della malora”

di Eleonora Franzini Tibaldeo

19 OTT - Gentile Direttore,
come capita ogni anno, a Settembre si svolge il famigerato test d’ingresso di medicina che coinvolge decine di migliaia di aspiranti candidati, con infinite polemiche a seguire (ma si sa il popolo italiano è più bravo a polemizzare che a proporre soluzioni), questo, nel tempo, è diventato l’appuntamento autunnale più atteso per i giovani, ma quest’anno pare che qualcosa sia andato diversamente dal solito: il test, che è diventato nazionale dopo il 2012 per evitare ingiustizie e ricorsi, ha visto un graduale aumento di coloro che non raggiungono la sufficienza per accedere alla graduatoria, passando da un 38% nel 2013, ad un 42% nel 2014 fino ad arrivare all’attuale 52% (più di 27 mila) in questa edizione.
 
Come mai? Saranno state le domande di biologia, difficili ai più? Sarà stata la mancata preparazione dei candidati ad affrontare quiz a domande multiple? O la loro incapacità ad affrontare lo stress del test? Sarà colpa della scuola che non prepara a sufficienza relegando ad un ruolo di secondo piano materie fondamentali per un buon medico, quali la chimica e la biologia? Oppure perché non si insegna più a ragionare? Potrebbero essere valide tutte quante queste ipotesi e magari se ci soffermassimo a ragionare di più, potremo trovarne di altre altrettanto valide. Secondo i dati elaborati da Alpha Test sui dati Miur si nota che i candidati che rientrano nei primi 9.402 posti, non hanno brillato né in cultura generale né in chimica e matematica, e hanno raggiunto un punteggio appena sufficiente (57%) in logica. Questo forse potrebbe farci capire che il problema è ben più complesso di quanto si pensi, ossia mancano sia i contenuti (nozioni) che i ragionamenti, insomma un po’ come sosteneva, tempo addietro, Tullio De Mauro (e altri) che affermava che stiamo vivendo un epoca in cui predomina il pensiero debole sia culturale che scientifico. La scuola (ma anche l’università) forse dovrebbe ritornare ad insegnare il ragionamento e la logica e non solo più limitarsi a riempire come sacchi vuoti, le menti dei giovani, ma ahimè si tende a tagliare invece che a rinnovare.
 
Di conseguenza potremo affermare che l’edizione 2015 è stato un punto di svolta ma sia perché la ministra Giannini, in seguito alle insistenze sopraggiunte da diverse parti, ha optato ad aumentare il numero di domande specifiche dell’indirizzo medico (chimica e biologia) a scapito di quelle di cultura generale e di logica, e sia perché si è visto un netto calo delle iscrizioni da parte degli aspiranti medici, meno 16.000 in tre anni (circa il 28%), un trend negativo che ha visto il suo inizio diversi anni fa e che di sicuro il test di autovalutazione ha contribuito.
 
Perché l’Università, di fronte a questo progressivo calo di domande e consapevole della grave situazione che coinvolge i laureati di medicina dopo il ciclo di sei anni, vedi disoccupazione e mancanza di un numero adeguato di borse di studio, non ha pensato a diminuire i posti disponibili? Facendo così, ossia mantenendo elevato il numero di posti in Facoltà (11mila) rispetto alla reale necessità di specialisti (6mila borse l’anno), ha contribuito e contribuisce ad aumentare il numero di giovani senza un futuro nel Ssn e non credo che la soluzione sia aumentare il numero delle borse.
Pertanto mi chiedo perché fare una selezione dopo la laurea, se la selezione è già avvenuta prima?
Perché non avere il coraggio di limitare i posti a medicina a 6mila, che sarebbe una cifra ragionevole perché darebbe la possibilità ai neo-laureati di poter completare il ciclo formativo e poter lavorare in maniera stabile nel Ssn, visto che la gobba pensionistica imminente non creerà tutte quelle mancanze prospettate nel 2007 (vedi Dati Fnomceo e Anaao)?
 
A differenza di molte frange studentesche e demagogiche, credo che la selezione debba essere mantenuta ma deve essere programmata in rapporto alle reali necessità del territorio, in base ai pensionamenti (vedi prima) e tenendo conto anche delle varie manovre finanziarie, solo così si può garantire al cittadino e al medico, alti livelli formativi, evitare il precariato e la sottoccupazione, e soprattutto scongiurare la de-professionalizzazione (una piaga pericolosa che poco per volta si sta manifestando: molti medici specialisti, per un’occupazione, si vedono costretti a mettere da parte la specialità conseguita, perdendo di conseguenza un livello adeguato di abilità tecniche e cliniche).
 
Di seguito ho fatto un breve elenco delle motivazioni pro-numero programmato, secondo un ottica pragmatica:
-  I costi della formazione: formare un medico oggi costa 300 - 500 mila euro che non è controbilanciato dall’importo delle rette universitarie (Il Fatto Quotidiano, 7 Ottobre 2015), quindi aumentare gli ingressi sarebbe una spesa insostenibile a meno che non vengano aumentate le tasse universitarie in maniera proporzionale.
- Vi è la necessità di una programmazione tra il numero di posti disponibili in Facoltà, il numero di neolaureati, le borse di specialità e le opportunità lavorative con il Ssn.
- La pletora medica che si presenta ora e che determina sottoccupazione, disoccupazione e precariato, non è la stessa che si è evidenziata negli anni ’80, e il motivo è semplice: abbiamo una diminuzione dell’occupazione dei medici causata da una gobba pensionistica che è andata ad allungarsi per via della riforma Fornero e del blocco del turn over ed è subentrato il  task-shifting (in Europa molto praticato, qui da noi un pò meno) ossia molte funzioni mediche vengono delegate agli operatori sanitari (perché il nostro servizio sanitario è ancora oggi strutturato a quando si soffriva della pletora medica e quindi molte funzioni che ancora oggi vengono svolte dai medici pian pianino vengono delegate alle professioni sanitarie come avviene da tempo nel resto d’Europa. Pertanto la tanto decantata gobba pensionistica che ha preoccupato il ministero e ha acceso le speranza a molti giovani, è più un dato teorico che altro.
- In Italia abbiamo il più alto numero al mondo di medici ogni mille abitanti (3.5) (Luigi Conte, 2013), rispetto alla media europea di 3.1; e si parla anche di un esubero di infermieri, secondo i dati del Ceis dell’università Tor Vergata di Roma (Vedi Rapporto Sanità 2013);
- Inoltre, se volessimo adottare il modello francese, si dovrebbero affrontare delle gravi problematiche logistiche: dove verrebbero sistemati 60mila candidati tutti aventi diritto a seguire le lezioni?
 
La disinformazione regna sovrana tra i giovani delle Scuole Superiori e penso che incontrare gli studenti per informarli su cosa vuol dire oggi la formazione medica ed essere medico, sia un’ottima soluzione. Siamo ben lontani però dall’aver trovato la soluzione alla complessità del problema, ma crediamo che il confronto (come numerosi articoli ed organizzazioni scientifiche suggeriscono, vedi Slow Medicine e la Società di Pedagogia Medica), possa in qualche maniera contribuire ad offrire una possibilità di dialogo che né il test di autovalutazione né l’orientamento universitario, possono soddisfare. Penso inoltre che i giovani abbiano bisogno di ritornare ad allenare le capacità logiche e di ragionamento, troppe volte trascurate a favore del nozionismo, e che la scuola italiana, ma anche la formazione medica, debba rivalutare l’importanza dell’insegnamento della filosofia quale strumento adatto a sviluppare il pensiero probabilistico e complesso, tipico del nostro secolo.
 
Eleonora Franzini Tibaldeo
Coordinatrice della commissione studenti Omceo Cuneo


19 ottobre 2015
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