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Un medico più autonomo. Sì, ma come?

di Ornella Mancin

26 MAG - Gentile Direttore,
l’autonomia del medico è attualmente messa a grande rischio da una serie di norme pensate per ridurre la spesa sanitaria  e rendere sostenibile il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Si sta facendo strada quindi una medicina amministrata che impone al medico scelte e indirizzi che sottraggono spazio alla sua indipendenza  a rischio del malato.
 
Il medico dipendente e il medico convenzionato in vario modo sono figure che rispondono a un unico datore di lavoro: lo Stato. Fino a che le risorse erano in espansione il medico  non ha subito limitazioni alla sua autonomia. Ora che la crisi è in atto e le risorse sempre più ridotte,  al medico  sono state imposte una serie di limitazioni che rendono il suo agire sotto controllo  (amministrato appunto) .
 
Questo è quello che si evince  dall’articolo che il professor Cavicchi ha scritto due giorni fa su questo quotidiano.
 
Cavicchi sostiene  che è possibile  sottrarsi a questa perdita di autonomia  solo se nasce una nuova figura giuridica del medico.  Quale? Un medico non più dipendente o convenzionato ma libero di decidere in autonomia senza i vincoli imposti dallo Sato suo datore di lavoro.
 
Sembrerebbe l’uovo di colombo: lo Stato ci costringe  dentro dei vincoli e noi ci sottraiamo riacquistando la nostra libertà d’azione.
 
La tesi è molto affascinante se non fosse che non è affatto chiaro come questo possa avvenire, in particolare non appare chiaro come questa nuova figura di medico possa stare  dentro il SSN.
 
Un ritorno a un  rapporto libero professionale (come quello degli odontoiatri)  sembrerebbe da escludersi. Questo permetterebbe  certo  un recupero di autonomia, ma espone al  rischio di lasciare senza assistenza una quota parte di popolazione, proprio quella più fragile e bisognosa che non è in grado di pagarsi una assicurazione o di pagarsi una prestazione.
 
Sembra di capire dalla tesi del prof Cavicchi che non è di questo che si parla: il datore di lavoro  continuerà ad essere lo Stato, ma va ripensato il  rapporto giuridico in modo da sottrarre il medico all’assoggettamento a cui attualmente rischia di essere sottoposto.
 
La cosa non sempre di facile soluzione. Già il rapporto convenzionato, che all’apparenza sembra dare più indipendenza al medico, ha portato a delle storture perché espone i sanitari al condizionamento dei pazienti stessi che avendo la libertà di ricusare  il medico, di fatto diventano i loro datori di lavoro minandone l’autonomia.
 
Quali altre strategie quindi mettere in campo per un rapporto di lavoro che, salvaguardando  il SSN e quindi la sua sostenibilità,  permetta ai medici di agire in scienza e coscienza  in piena autonomia per il bene del paziente?
 
Cavicchi rimanda la questione e noi restiamo in attesa di capire quali possibili soluzioni il professore metta nel campo del dibattito pubblico.
 
Di sicuro il quadro appare assai complesso con il rischio  di depotenziare o peggio ancora smantellare il nostro SSN, allo stato attuale ancora garante di un diritto alle cure accessibile a tutti.
 
La strada per preservare e/o riacquistare la propria autonomia, a mio avviso, passa attraverso la capacità  come categoria di far sentire la propria voce  ai decisori politici, in modo che le scelte non siano subite ma concordate.
Rimini sembra averci dato questa speranza.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (VE)

26 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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