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Colesterolo, aferesi e nuovi farmaci

di F.Benatti, A.Petta,S.Civardi

07 OTT - Gentile Direttore,
con riferimento all’interessante articolo dal titolo “Colesterolo: cresce l’attesa per l’arrivo degli inibitori del PCSK9”, vorremmo puntualizzare meglio alcuni aspetti in relazione alla terapia di “LDL-aferesi”. L’aferesi delle lipoproteine è eseguita da oltre 30 anni nei principali ospedali di tutto il mondo. Oltre al colesterolo-LDL l’aferesi riduce anche la Lipoproteina (a), ulteriore fattore di rischio cardiovascolare indipendente non abbassato significativamente dai farmaci, e altri fattori pro-infiammatori responsabili della progressione della malattia aterosclerotica, tra i quali molecole di adesione, CRP e pentraxina III, citochine, fibrinogeno e persino PCSK9.
 
Una singola procedura di aferesi è in grado di ridurre il colesterolo LDL e la Lipoproteina (a) tra il 70 e l’80%, con comprovata efficacia nel ridurre mortalità ed eventi cardiovascolari maggiori.
 
Per evitare false aspettative cliniche e informare correttamente un segmento di popolazione affetta da una patologia importante, crediamo che vadano rettificate alcune imprecisioni riportate nell’articolo; ad esempio definire l’aferesi come una dialisi è improprio, infatti quest’ultima terapia deve essere eseguita 3/4 volte alla settimana, mentre l’aferesi viene normalmente effettuata 1 volta alla settimana per le forme omozigoti di dislipidemia geneticamente determinata e 1 volta ogni 15 giorni per le forme eterozigoti. Inoltre contestualmente riteniamo sia opportuna una lettura più completa dei risultati del lavoro riportato, da parte di professionisti con avvalorata esperienza clinica nella gestione delle gravi ipercolesterolemie sia con i farmaci che con l’aferesi.
 
Per completezza di informazione occorrerebbe anche citare quanto i risultati di questo studio siano realmente generalizzabili alla totalità della popolazione affetta da questa patologia.
 
Relativamente al capitolo costi, sicuramente argomento di impatto per la sostenibilità di queste terapie, vengono citati costi per l’aferesi non corretti e non aderenti alla realtà italiana, essendo di gran lunga inferiori a quanto riportato, mentre non vengono citati i costi dei trattamenti farmacologici attualmente in valutazione da parte di AIFA. Sarebbe opportuno avere una valutazione di costi-benefici relativi delle varie strategie terapeutiche.
 
Suggeriamo quindi, una rilettura critica da parte di clinici di riferimento con esperienza internazionale nei trattamenti aferetici, autori di innumerevoli pubblicazioni scientifiche nonché membri di società scientifiche nazionali ed internazionali preposte alla produzione di linee guida per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare.

Alleghiamo anche una breve nota della Prof.ssa Claudia Stefanutti dell'Università La Sapienza di Roma.
 
Francesco Benatti
B.Braun Avitum Italy S.p.A.                                             
 
Andrea Petta
Kaneka Pharma Europe                                                 
 
Silvia Civardi
Fresenius Medical Care Italia S.p.A.
 
 
Gentile professoressa Stefanutti,
Gentili dott. Benatti, Petta e Civardi,

nel ringraziarvi dell’attenzione riservata a Quotidiano Sanità e al mio articolo in particolare, rispondo con piacere alla vostra nota, comprendente anche l’allegato della professoressa Stefanutti.
 
Inizierei proprio citando l’incipit di un lavoro della professoressa Stefanutti pubblicato sul Giornale Italiano di Nefrologia (G Ital Nefrol 2012; 29 (S54): S14-S18), nel quale si spiega cos’è la LDL aferesi: “La LDL-aferesi (LDLa) rappresenta uno strumento tera­peutico invasivo (extracorporeo) di controllo dei distur­bi qualitativi e quantitativi del metabolismo lipidico, es­senzialmente rivolto al conseguimento del “compenso metabolico” in associazione con i farmaci ipolipemiz­zanti”.
 
Stiamo parlando dunque in un trattamento ‘invasivo’ che si effettua in ospedale, anzi solo in alcuni centri specializzati (e non tutti qualificati come fa notare la professoressa Stefanutti), che di certo nel tempo ha contribuito a ridurre i valori di colesterolo LDL di tanti pazienti con ipercolesterolemia familiare, per i quali fino ad oggi non si disponeva di altra opzione terapeutica. Gli inibitori di PCSK9 sono invece un trattamento che si fa a casa, somministrando il farmaco per via sottocutanea con una ‘penna’ simile a quelle da insulina, una volta ogni due settimane. E questo credo che rappresenti un innegabile vantaggio per i pazienti candidabili a queste terapie.
 
Sul fatto, come scrivete voi, che “una singola procedura di aferesi è in grado di ridurre il colesterolo LDL e la Lipoproteina (a) tra il 70 e l’80%, con comprovata efficacia nel ridurre mortalità ed eventi cardiovascolari maggiori” resto invece un po’ perplessa. Non ovviamente per quanto riguarda la riduzione delle LDL e della Lp(a) ma sull’hard endpoint da voi citato, cioè sulla riduzione della mortalità e degli eventi cardiovascolari maggiori.
 
Come avrete notato, nel mio pezzo, dove riporto i commenti di due presidenti di società scientifiche, il professor Francesco Romeo, presidente della Società Italiana di Cardiologia e il dottor Andrea Di Lenardapresidente ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri), insieme a quelli di un esperto lipidologo, il professor Marcello Arca, segretario nazionale SISA (Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi), assumo un atteggiamento molto prudente, ricordando che per capire se gli inibitori di PCSK9 possano avere un vantaggio importante in termini di riduzione di morbilità e mortalità cardiovascolare sarà necessario attendere i risultati di 4 grandi studi ancora in corso.
 
E’ evidente che il fine ultimo di questi trattamenti, sia della LDL-aferesi che degli inibitori di PCSK9, non è tanto l’effetto ‘cosmetico’ sul dato di laboratorio, quanto la riduzione della mortalità e della morbilità cardiovascolare, che voi scrivete essere stata provata per la LDL-aferesi. Non sono a conoscenza di trial controllati e prospettici sull’argomento e cercherò di fare ammenda della mia ignoranza se voleste comunicarne la citazione bibliografica. Sappiamo dagli studi effettuati sulle statine che la riduzione delle LDL comporta un grande vantaggio sugli endpoint cardiovascolari. Ma affermare che qualunque trattamento in grado di abbassare l’LDL possa ottenere questi stessi risultati sulla riduzione di mortalità e mortalità cardiovascolare è un’estrapolazione scientificamente ardita.
 
Per quanto riguarda invece i contenuti e gli scopi di Odyssey Escape, studiopubblicato su una rivista peer-reviewed, lo European Heart Journal, e presentato in contemporanea al più grande congresso di cardiologia del mondo (quello della European Society of Cardiology), non spetta certo a me difenderne i risultati. Per questo forse sarebbe opportuno rivolgersi agli autori (il corresponding author è Patrick Moriarty, Tel: +1 (913) 588-6057, Fax: +1 (913) 588-4074, Email: pmoriart@kumc.edu) o ai referee della rivista sul quale è stato pubblicato.
 
Lo studio aveva l’obiettivo di valutare l’impatto dell’alirocumab sulla frequenza dei trattamenti di LDL-aferesi ai quali venivano sottoposti 62 pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote ogni settimana o ogni due settimane. I risultati non lasciano adito a dubbi: il trattamento con alirocumab ha  permesso di ‘affrancare’ dalla LDL-aferesi il 63,4% dei pazienti inclusi in questo studio e di dimezzarne almeno la frequenza di utilizzo nel 92,7%.
 
Infine la notazione sul fatto che non faccio riferimento all’evolocumab, né al costo dei nuovi farmaci. Molto semplicemente, l’Odyssey Escape è stato effettuato con alirocumab, quanto ai costi, non ne parlo perché non sono noti, visto che ancora in discussione tra le aziende produttrici e l’AIFA. Certo gli inibitori di PCSK9 avranno un costo elevato (negli USA il trattamento costa 12 mila dollari l’anno, in Europa, Italia compresa costerà molto meno) e questo rappresenterà un ostacolo ad una loro ampia penetrazione. Ma l’innovazione, si sa, ha un costo da pagare, in tutti i campi della medicina. E quanto sia giusto spingersi a pagare per l’innovazione è argomento complesso che va ben al di là dello scopo di questa risposta.
 
Nel comprendere pienamente da una parte i vostri interessi commerciali e dall’altra l’affezione culturale ad una metodica che negli ultimi 30-40 anni ha rappresentato l’ultima spiaggia di trattamento per questa categoria di pazienti, allo stesso tempo accolgo con grande entusiasmo il fatto che stia per rendersi disponibile anche per i pazienti italiani una nuova categoria di farmaci, estremamente efficace nel ridurre le LDL e decisamente meno invasiva della LDL-aferesi. Con la speranza di avere presto conferma della loro validità anche sul fine ultimo di questi trattamenti: far vivere più a lungo i pazienti, con cuore e arterie liberi dall’arteriosclerosi.
 
Maria Rita Montebelli

07 ottobre 2016
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