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Medici, infermieri e il “gusto” pericoloso della battaglia

di Chiara D'Angelo

30 DIC - Gentile direttore,
ho letto le prese di posizione di diversi esponenti del mondo sanitario in merito alla questione “118” e “Case della Salute” dell’Emilia Romagna e, più in generale, del rapporto tra professione medica e professione infermieristica all’interno del sistema sanitario. Perché, in realtà, è proprio questo il motivo del contendere: quale sarà il ruolo delle diverse professionalità nell’innovanda organizzazione del sistema sanitario. Una questione che sta attraversando il dibattito da molto tempo, ormai, e che pare non essere ancora in vista di un porto sicuro.
 
L’idea che il sistema debba andare incontro a un rinnovamento e ad una riorganizzazione pare (grazie a Dio) patrimonio comune. Che i modelli da assumere debbano essere focalizzati sui bisogni del paziente, pure, almeno a parole. Sui percorsi, invece, e sui metodi le cose si complicano.
 
Ho l’impressione che si stia duellando su un’inutile e fallimentare idea di “sostituzione” o “surroga” delle professionalità in un sistema invariante piuttosto che di una riorganizzazione del sistema che valorizzi tutte le professionalità e ne renda fruibili al cittadino le risorse e potenzialità.
 
Assistiamo spesso a dichiarazioni di taluni esponenti delle rappresentanze professionali (e sindacali) in cui il  cittadino viene raramente nominato; l’opinione del cittadino, attraverso le sue espressioni civili, pare non costituire base di lavoro “attiva”. Si discute di sistema sanitario come se il cittadino fosse ininfluente rispetto ad esso, paradossalmente in contrasto con la dichiarata intenzione di porlo al centro del sistema medesimo.
 
Anche leggendo quanto reperibile sui social media, scritto da un’importante esponente della rappresentanza infermieristica (principalmente nell’ultimo ventennio, ma indirettamente anche ora) riaffiora un atteggiamento ostile nei confronti dei medici. Continuiamo a ragionare sul “ma anche gli infermieri lo sanno fare” e, fra le righe, si lascia passare il messaggio che, se guerra c’è, non è certo per volontà degli infermieri, ma è una sorta di “reazione indotta”.
 
Bene, ritengo che tutto questo serva a ben poco. Se di fatto servisse, gli ultimi vent’anni di relazioni interprofessionali guidate per gli infermieri dai più accaniti combattenti di oggi avrebbero prodotto esiti diversi dall’attuale stato di indeterminatezza della professione infermieristica, che sta ora cercando di recuperare le fila della propria identità e del proprio ruolo a mio avviso grazie a chi ha capito che è con un diverso approccio che possiamo immaginare un diverso futuro.
 
Possiamo immaginare un diverso futuro se crediamo e ci adoperiamo per un sistema in cui le professioni coevolvano (mutuando l’espressione coniata dal professor Ivan Cavicchi, che da tempo si spende in prima persona per elaborare e promuovere un vero riformismo in sanità), e non semplicemente si trasformino l’una “a discapito” dell’altra, con conquiste di “piccoli appezzamenti” destinati ad essere persi nuovamente al primo slancio dell’ “avversario”.
 
L’iniziativa del Collegio IPASVI di Pisa, per una diversa proposta di rinnovato Codice deontologico degli infermieri, offre uno spunto verso un modello diverso e riformatore in cui l’infermiere assuma autonomia professionale e si muova in un contesto coordinato con le altre professioni e lungo un percorso di crescita e sviluppo condiviso e reciprocamente riconosciuto. Non mi pare una banalità e ritengo doloso voler ricondurre questo aspetto a un puntiglio. Fortunatamente pare che, tra i vertici delle rappresentanze, qualcuno abbia colto questo slancio e la sua validità (e invero viene intestinamente attaccato in ragione di ciò); è su queste risorse che ripongo la mia fiducia.
 
Su questa impostazione mi conforta leggere quanto espresso dalla Presidente della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi Barbara Mangiacavalli che indica la strada della multiprofessionalità (peraltro sostenuta da un articolato studio della Cergas Bocconi) come efficace ed auspicabile alternativa allo sterile muro contro muro che di fatto nuoce ai professionisti quanto ai pazienti.
 
Abbiamo bisogno di una svolta decisa, abbiamo bisogno di affrancarci da questa cultura dello scontro e dai conservatorismi, tutti, che la alimentano.
 
Certo il fondamentalismo e il conservatorismo medico non sono condivisibili, e su questo mi sono espressa a più riprese. Ma anche gli infermieri devono saper cambiare passo, stile, metodo. Come pure è necessariamente auspicabile che l’infermieristica cominci a riformarsi partendo dagli infermieri e dai problemi reali con cui ogni giorno ci si deve confrontare: demansionamento (o deprofessionalizzazione che dir si voglia), blocco del turn over, carenza di personale, inadeguato riconoscimento economico, organizzazioni del lavoro che ingabbiano il professionista negli strascichi ancora forti dell’ausiliarietà, ecc. Problemi concreti che, nelle discussioni che leggo e in riferimento alle quali ora scrivo, non trovano esplicita analisi, quasi a significare che l’interesse degli infermieri è, soltanto, altro mentre invece la voce della base smentisce questa idea.
 
Ma mi rendo conto che la bandiera della battaglia fa splendere l’armatura del comandante (e dei suoi ufficiali); poco importa se stia portando la propria legione all’ “ecatombe” e quanti dei propri soldati siano rimasti a mordere la terra dietro di sé.
 
Mi rendo anche conto che c’è bisogno di visibilità in certi anfratti della professione, e, in questo, la guerra tra le professioni sembra offrire una garanzia.
 
Chiara D'Angelo
Infermiera

30 dicembre 2016
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