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La formazione dei Mmg. Uno sguardo dalla Gran Bretagna

di Marco Nardelli

29 SET - Gentile Direttore,
negli ultimi giorni abbiamo assistito all’ennesimo attacco alla formazione in medicina generale e ho ricevuto svariati contatti da parte di colleghi in Italia preoccupati per il futuro della nostra medicina di famiglia, colleghi che credono io sia piu’ libero di esprimere opinioni essendo un medico di famiglia che lavora oltralpe da qualche anno. Perché si parla di attacco? Per capirlo è necessario spiegare due antefatti.
 
Il primo antefatto è che storicamente il corso di formazione specifica in medicina generale nasce non come dovrebbe essere, ovvero una scuola di specializzazione, ma come un corso regionale “di formazione specifica” gestito, su delega da parte delle regioni, dagli ordini dei medici. Come molti sapranno, gli ordini sono spesso estremamente sindacalizzati, non esistendo una norma in Italia che vieta ad un sindacalista di ottenere cariche ordinistiche e quindi, di fatto, il corso è spesso gestito per lo più da sindacalisti che, nella maggior parte dei casi, non hanno esperienza in materia di formazione né di ricerca.
 
La conseguenza? La qualità della formazione è tutt’altro che omogenea e risponde, con lodevoli e significative eccezioni, a standard nella migliore delle ipotesi solo formalmente accettabili. Inoltre essendo inevitabilmente la gestione sindacale più ‘politicizzata’ in alcuni casi l’assegnazione delle docenze viene fatta per meriti ‘sindacali’ e non meriti accademici.
 
Il secondo antefatto è che per colpa di una assente programmazione dei fabbisogni, a cui è conseguito un investimento di risorse pubbliche ampiamente insufficiente, i pensionamenti dei Medici iniziano ad erodere le riserve di Medici di Famiglia. Già oggi in alcune province, specie in quelle più periferiche e difficilmente raggiungibili e quindi meno ambite, i Medici di Famiglia mancano. Sottolineo inizia perché ho notato che il problema in questione viene ingigantito a dovere dai media e alcuni sindacati senza ricordare la pletora di Medici che affollano le graduatorie di tante città, Medici che sono disoccupati senza alcuna intenzione di muoversi verso le aree in carenza.
 
Siamo sommersi, in effetti, da messaggi più o meno catastrofisti sulla carenza di medici di famiglia e di emergenza territoriale. Alcuni si sono finanche spinti in ragionamenti del tipo “mancheranno nei prossimi anni 15.000 medici, quindi considerando in media 1.000 pazienti per medico di famiglia, avremmo secondo questi calcoli 15.000.000 di pazienti privi di assistenza sanitaria”, il problema andrebbe ridimensionato e contestualizzato. Peccato o fortuna che le cose non stiano proprio così, la carenza c’è ed andrà peggiorando, ma e’ distribuita a spot e per lo più in aree meno ambite dove manca ed è mancata una strategia per invogliare e favorire il trasferimento dei Medici che intasano invece, disoccupati o precari, i grandi centri urbani.
 
Compreso il contesto, passiamo ai fatti recenti. Il segretario nazionale della FIMMG, Scotti, riprendendo una dichiarazione del presidente della FNOMCeO, Anelli, (FNOMCeO che a mio avviso come ente dovrebbe mantenere un ruolo neutrale di sorveglianza e non di opinione), ha proposto una rimodulazione del già qualitativamente traballante corso di formazione specifica in medicina generale. In sintesi la proposta iniziale era questa: scorporare un anno dal triennio di formazione facendolo diventare un master propedeutico di un anno che permetterà l’accesso al successivo biennio oltre ad abilitare al lavoro sulle ambulanze e nelle prigioni. Salvo poi fare marcia indietro, probabilmente a seguito del grande trambusto mediatico che si era creato, e ripiegare sull’inclusione del diploma di medico di emergenza territoriale nell’attuale triennio di formazione in medicina generale.
 
Ma ragioniamo in modo sistematico. In primo luogo, con provvedimenti simili non si risolverebbe nessuna carenza di Medici: le zone carenti continueranno a rimanere tali, perché non viene proposto alcun meccanismo di incentivo atto a favorire la mobilità dei tanti medici formati che affollano i grossi centri urbani; conseguentemente, nelle grandi città la disoccupazione aumenterà e nei piccoli centri periferici la carenza andrà peggiorando. Inoltre l’apparato burocratico che permette anche solo di individuare e applicare per le aree carenti e’ al momento estremamente laborioso, complesso. Queste aree carenti spesso sono finanche sconosciute ai più, non si può pensare di coprire carenze in tutta Italia con la semplice pubblicazione in gazzetta ufficiale! Serve un portale online del Ssn: ordinato, che permetta di applicare in modo semplice, con bandi aperti fino a copertura, graduatorie aggiornate in tempo reale, incentivi corposi per le aree più disagiate o remote.
 
In secondo luogo, ragionando in modo accademico, si spinge sempre più la medicina generale in un angolo, la si vuole fatta di medici con una formazione sempre più insufficiente a rispondere con strumenti adeguati alle necessità assistenziali della società moderna e sempre più obbligati a delegare all’assistenza secondaria quadri clinici che invece nel resto del mondo sono gestiti dal medico di famiglia, facendo lievitare enormemente i costi. La carenza di medici di famiglia è sentita in tutta europa. Come viene affrontata questa carenza dagli altri paesi? La maggior parte di essi ha scuole di specializzazione in medicina generale, sviluppate in ottemperanza alle direttive comunitarie, con core curriculum chiari, uniformi e nati sulla base del confronto tra le società scientifiche nazionali ed internazionali di riferimento.
 
L’anno scorso nel regno unito, nonostante la peggiore carenza di medici di famiglia di tutta europa, il training steering group ha fortemente raccomandato di incrementare la durata della specializzazione in medicina generale a quattro anni. Quindi il regno unito al posto di tagliare anni di formazione e ‘sfornare’ a tutti i costi nuovi medici di famiglia con una formazione mutilata, si propone di incrementare invece gli anni di formazione rifiutando di sacrificare la qualità sulla base della mera necessità.

Piuttosto una delle strade già seguite in molti paesi è aumentare i professionisti e i servizi che assistono il medico di medicina generale che oggi in Italia risponde al telefono, scrive le ricette, fa le medicazioni, talvolta (e non sto scherzando) la sera pulisce lo studio medico; oltre ovviamente a garantire compensi adeguati a chi copre aree più remote e piccoli paesini.
 
Inoltre come pensiamo di poter trasmettere la passione per la medicina generale se non stabiliamo che l’insegnamento della medicina generale sia finalmente parte del core-curriculum nazionale universitario, che sia materia essenziale e parte integrante del corso di laurea in medicina e che la formazione in medicina generale sia una vera e propria specializzazione?
 
Ovviamente come è avvenuto in Francia bisogna porre delle regole chiare per questa evoluzione: bisogna che sia una disciplina autonoma ed autentica caratterizzata da competenze proprie e specifiche insegnate solo (e parlo di un 100%) da medici di medicina generale e non da ospedalieri riadattati, integrata ma non accomunata alle altre branche specialistiche. Si parla da tempo del superamento del concetto di “assistenza primaria” in favore di un concetto più moderno di “assistenza integrata” e quale occasione migliore per mettere in atto questo cambiamento se non istituendo dei dipartimenti di medicina generale che siano ‘hub’, che rappresentino cioè quello snodo mancante che connette un territorio sempre più frammentato a ospedali sempre più bisognosi delle capacità organizzative dei medici di medicina generale? Questo sarebbe l’inizio di una vera medicina centrata sul paziente.
 
Abbiamo anche bisogno che la medicina generale smetta di essere l’ammortizzatore sociale della disoccupazione in ambito medico e smetta di sopperire alla mancanza di investimenti nella formazione post-laurea. La formazione del medico deve continuare nel post-laurea con modalità adatte ad entrare gradualmente e con crescenti responsabilità nel mondo del lavoro e tutte le branche mediche devono essere accessibili ad un neo-laureato, non solo la medicina generale. Una soluzione semplice consolidata nel resto d’europa, sarebbe quella di introdurre la figura del ‘medico junior’, un medico neolaureato che possa essere assunto dai servizi di medicina generale così come dai reparti ospedalieri per lavorare imparando, in attesa di prendere una strada formativa definitiva nelle varie branche specialistiche (ivi compresa la medicina generale), sono di solito utilissimi sia nei reparti e negli studi medici e semplificano moltissimo il lavoro.
 
La proposta di inserire il diploma di emergenza territoriale nel corso dimostra come i sindacati siano talvolta del tutto impreparati ad affrontare una riforma basata sulle evidenze e non sugli umori del momento. Dobbiamo evolvere non retrocedere, per lasciare una medicina generale ai nostri figli degna di questo nome e non il risultato di un momento storico avvilente. Non si può confondere la medicina generale con altre branche, come la medicina d’urgenza, che sono semplicemente altro. Da ex-sindacalista per FIMMG formazione non riesco davvero a capire da quando i sindacati hanno deciso di volersi far carico delle inadempienze dello stato, delle carenze e dei mancati investimenti, a discapito della qualità formativa dei lavoratori che dovrebbero proteggere, personalmente io trovo tutto ciò illogico. Mi batterei piuttosto perché si investa di più e non accetterei mai soluzioni di ripiego che non trovo termine migliore per descrivere se non una ‘accozzaglia’.
 
Come ultimo pensiero non posso non ricordare le centinaia di medici di famiglia italiani che lavorano in europa a cui nessuno ha mai proposto un piano di rientro facilitato ne’ alcun tipo di supporto, abbiamo contattato come associazione lo stesso Scotti svariate volte senza risultati. Quindi riassumendo in quattro righe esistono tanti medici di medicina generale a disposizione per coprire le aree carenti e sono medici che al momento sono disoccupati-precari nei grossi centri urbani in italia o fuggiti in europa per lavorare in modo dignitoso. Le strategie vere e che funzionerebbero si basano sul favorire la loro mobilità e non su un aumento miope dei numeri a discapito della qualità’, proteggiamo la nostra medicina generale.
 
Marco Nardelli
Medico di Medicina Generale per NHS England
Primary Care Chair - Italian Medical Society of Great Britain 


29 settembre 2018
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