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Pizza, Panti e il 118

di Micol Didonfrancesco

07 FEB - Gentile direttore,
come cittadina trovo interessante seguire il dibattito sul tema cruciale per la sicurezza “se nell’ambulanza del 118 debba essere costantemente assicurata la presenza del medico”. Le due linee di pensiero che si sono costituite sono estremamente polarizzate. Chi ritiene che il medico debba esserci sempre, chi invece reputa sia possibile, in certe situazioni, che l’attività di soccorso possa essere svolta dall’infermiere. Chi interviene nella discussione sono rappresentanti di istituzioni autorevoli, e personalità di grande esperienza e cultura. Gli interventi pertanto non possono che risultare intelligenti e dotti, oltre che connotati, anche, da autentica onestà intellettuale.

Tuttavia, viene da chiedersi se questo dibattito stia giovando concretamente al superamento del problema.

Gli atteggiamenti poco concilianti allontanano dalla soluzione e pongono anche in evidenza quanto si è distanti da quella disposizione mentale essenziale per modernizzare ed emancipare la nostra sanità, cosa che richiede riflessione ma anche attitudine al problem solving.

Come cittadina che ha a cuore una sanità universale e che vorrebbe anche lasciarla in eredità alle generazioni future, chiederei atteggiamenti meno intransigenti e lontani da arroccamenti volti alla fedeltà della tradizione a tutti i costi.

E’ opinione di molti ritenere che la Sanità Pubblica sia in pericolo e che per salvarla sia necessario un suo radicale ripensamento. Questa sfida di importanza capitale per la nostra società civile, richiede sforzi congiunti e collaborazione. E’ necessaria anche l’abilità di ragionare fuori degli schemi abituali così da raffigurare, attraverso una buona dose di immaginazione, una nuova realtà possibile che presuppone un cambio di prospettiva da cui guardare i problemi.

Il futuro della sanità è incerto e deve fare i conti con molti problemi, tra cui: la sostenibilità, un ammalato esigente, una società caratterizzata da mutevolezza e provvisorietà, e la disgrazia di questi ultimi tempi quale il regionalismo differenziato. Per salvare il nostro SSN è necessario che aleggi lo spirito di gruppo, nonché un atteggiamento di accoglienza e gentilezza durante il confronto, inteso non come una forma di cerimonioso galateo, ma come espressione di autentica apertura verso le ragioni dell’altro. La forza nascosta della gentilezza è che se diventa un costume interiore migliora le relazioni. Diventa un dovere morale allorquando la posta in gioco è alta e chi è coinvolto è chiamato ad assolvere in maniera congiunta un compito saliente e ad alto tasso morale, come in questo caso.

Di seguito, si esprime un’idea personale da considerarsi come un contributo partecipativo alla costruzione di una nuova idea di sanità che consiste nel proporre un criterio per l’impiego appropriato dei medici e degli infermieri, con la contestuale salvaguardia della valorizzazione del loro ruolo.

Si introduce esplicitando le due categorie di pazienti presi in cura sul territorio e più rappresentative dal punto di vista epidemiologico:
1ª categoria di pazienti: anziani con quadri clinici polipatologici ad andamento cronico e compensati;
2ª categoria di pazienti: anziani con quadri clinici polipatologici ad andamento cronico nel momento del l’acuzie.

Sul territorio, gli infermieri dovrebbero essere impiegati in misura decisamente maggiore per la cura di questi pazienti, riconoscendo loro quell’autonomia che deve essere funzionale a produrre autentica ed efficace  prevenzione che rappresenta sempre più la leva cruciale. La prevenzione deve esitare in guadagno di salute sul singolo paziente cronico, ovvero deve scongiurare le esacerbazioni dei quadri clinici.  Per questo, gli infermieri, dovrebbero operare a stretto contatto dei pazienti e in alleanza serrata con i MMG; questi ultimi saranno chiamati a gestire solo quei pazienti che “nonostante l’azione degli infermieri” necessitano dell’intervento medico, perché il quadro clinico si è esacerbato. In questo modo la sanità del territorio sarebbe meno trascurata e si  tradurrebbe, anche, in un minor ricorso al Pronto Soccorso e in una riduzione di ricoveri ospedalieri.

I medici dovrebbero essere impiegati esclusivamente nei setting dove sono presi in cura gli acuti e/o dove è necessario un inquadramento diagnostico e/o la prescrizione di terapie. Lo stesso criterio dovrebbe valere anche per l’impiego dei medici specialisti in Anestesia e Rianimazione in ospedale come sul  territorio. Attualmente invece non è sempre così: “Se una persona  presenta una manifestazione cutanea al polso e si rivolge, impropriamente, al Punto Bianco del Pronto Soccorso, l’organizzazione prevede che venga visitata, in ogni modo, da un medico. Viceversa, se una persona chiede soccorso al 118 e non è capace di spiegarsi nella maniera dovuta, la presenza del medico rianimatore sull’ambulanza non è assicurata, anche se la situazione richiederebbe un rapido inquadramento diagnostico e/o la prescrizione di terapie”.

Questa impostazione è frutto di ragionamenti fallaci e crea un’aberrazione, un paradosso sconcertante, e pericoloso.
   
Micol Didonfrancesco
Cittadina e mamma

07 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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