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Specializzazioni mediche, perché non torniamo al passato?

di Bartolomeo Delzotti

01 LUG - Gentile Direttore,
la storia che dobbiamo essere tutti specialisti per poter lavorare e che quindi chi è laureato in medicina non è un medico in grado di svolgere alcuna professione non regge ed è stata creata ad arte per bloccare l’accesso alla professione. La prima questione è che l’università non crea più forza lavoro ma è diventata un contenitore a caro prezzo dove incanalare e far stazionare le speranze di migliaia di giovani menti. La prima seria riforma dovrebbe dunque riguardare il percorso universitario e renderlo tale da essere un traguardo e non una rampa di lancio verso imbuti formativi dai quali diventa difficile venirne fuori.

Eliminare molte materie inutili, inserire negli ultimi anni materie utili all’esercizio professionale con associata pratica ospedaliera e soprattutto eliminare la conduzione familistica che crea potere fine a se stesso come le recenti cronache dimostrano. Insomma è davvero necessario arrivare a 30 anni e spesso molto oltre prima di poter svolgere questa benedetta professione?

La seconda questione è che forse l’innovazione non sempre apporta benefici. Ad esempio in passato al termine del corso di laurea si svolgeva un tirocinio abilitante di 1 anno in anestesia e rianimazione, di 6 mesi in altre branche compreso il PS. Diventavi così abilitato a svolgere la professione nelle branche cui avevi conseguito l’abilitazione. In questo modo potevi fare tutta la carriera ospedaliera sino a diventare primario tranne che in anestesia e rianimazione e se non ricordo male in radiologia dove potevi diventare primario solo se fornito di specializzazione. Con tutte queste specializzazioni siamo davvero più bravi di prima?

E se il nuovo non funziona perché non considerare di tornare al passato?
 
 
Bartolomeo Delzotti 
MMG Verdellino (BG)


01 luglio 2019
© Riproduzione riservata

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