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I “cacciatori di teste” anche in sanità per selezionare realmente il merito

di Filippo Bressan

02 LUG - Gentile Direttore,
le recenti vicende giudiziarie che riguardano i metodi di selezione e di avanzamento di carriera in sanità si intersecano, come due facce della stessa medaglia, con i problemi legati allo scarso numero di specialisti e alle discutibili misure intraprese per affrontarlo. Recentemente sono stato io stesso costretto a promuovere una azione legale contro una selezione per struttura semplice nella quale, come ha chiaramente definito il giudice nelle motivazioni della sentenza, erano venuti a mancare i principi di imparzialità e buona condotta della pubblica amministrazione.
 
Infatti, nonostante la selezione prevedesse una valutazione comparata del curriculum ed un colloquio, nel verbale di commissione mancava completamente la motivazione con cui era stato scelto il candidato, che fra i partecipanti era quello meno titolato e con la minor anzianità di servizio.
 
Episodi come questo portano a riflettere sulla bontà (al netto della regolarità) del sistema di selezione dei professionisti: non saprei dire se qualcuno si è chiesto, al momento di decidere come effettuare tali selezioni, se il sistema scelto sia quello che offre le migliori garanzie di individuare i più adatti per il posto in palio.
 
Tale considerazione si estende dall’ingresso alla facoltà di medicina per proseguire alla specializzazione, all’assunzione a ruolo e alle progressioni di carriera fino a quelle più apicali, in modo non dissimile fra il percorso accademico e quello strettamente ospedaliero (ma ci metterei dentro anche l’accesso al corso di medicina generale).
 
Mi chiedo infatti se un insieme di test sia il metodo migliore per capire chi potrà diventare un bravo medico (a mio avviso l’unica cosa che dimostra questo esame è chi se la cava meglio a fare dei test e la medicina è in verità una cosa assai differente); se la selezione nazionale possa far davvero individuare chi ha maggiori inclinazioni per una branca piuttosto che per un’altra; se un “concorsino interno” allestito per dare una parvenza illusoria di imparzialità porti a individuare chi è il più adatto (si badi bene, il più adatto, non il migliore) a ricoprire un posto di direzione.
 
Potremmo continuare e fare le stesse considerazioni per le assunzioni, per i primariati, per le docenze universitarie e chi più ne ha più ne metta. Mi permetto di dubitare che questo complesso sistema sia davvero adeguato, anche perché non mi pare che nessuna impresa privata ricorra a tali metodi al momento di scegliere il proprio personale.
 
L’equivoco nasce dalla erronea convinzione che un concorso faccia emergere i migliori, tuttavia alla fine il meccanismo che si crea non solo è inadeguato ma anche deresponsabilizzante. La responsabilità della scelta non è di nessuno, perché chi è stato individuato è colui o colei che ha…vinto un concorso. Ha fatto (oggettivamente) le prove meglio degli altri.
 
Qui si aprono due ordini di problemi: il primo è che non è sempre vero, come rivelano in modo inequivocabile le crescenti vicende giudiziarie (quindi qualcuno che sceglie “pilotando” le prove c’è ma non ne è formalmente responsabile), il secondo è che anche quando le cose sono fatte in perfetta regola forse il sistema non è adatto per identificare la figura giusta.
 
L’impresa privata sceglie i propri quadri (e spesso anche i livelli inferiori) direttamente o nei casi  più complessi affidandosi ad agenzie di reclutamento specializzate in questo genere di attività. Ovviamente una soluzione del genere non potrebbe essere applicata all’ingresso a medicina, ma sarebbe a mio modo di vedere applicabilissima per l’ingresso in specializzazione e tutte le progressioni di carriera successive.
 
I “cercatori di teste” rispondono a precise esigenze poste dalle Aziende/università, che dovrebbero quindi solo comunicare che tipo di persona e competenze servono e poi disinteressarsi della cosa affidandola ad una agenzia: questa si occuperebbe del bando, del reclutamento e dei colloqui, fornendo alla Azienda una serie di nomi e profili fra coloro che mostrino le caratteristiche psico attitudinali e professionali più adatte per quel ruolo.
 
Fra questa rosa una commissione aziendale (o universitaria) potrebbe esercitare la propria scelta, assumendosene la responsabilità piena (vale a dire, se la persona scelta non funziona, prima me la rifaccio con la commissione e poi con la agenzia che ha scelto).
 
 Il quadro sarebbe completo se la formazione specialistica fosse, sia pur sotto l’egida di una Università per la garanzia della parte teorica, affidata ad ospedali di insegnamento che mettessero a disposizione, secondo le loro necessità, posti per medici in formazione analogamente a quanto avviene ad esempio in Spagna, in Svizzera, in Germania, in Belgio ed in molti altri Paesi. Un programma troppo ambizioso?
 
Probabilmente sì, ma non irrealizzabile. Soprattutto, un metodo che offrirebbe maggiori garanzie a chi vale ed è veramente interessato di avere l’occasione di compiere le proprie scelte di carriera e ai pazienti di affidarsi a professionisti selezionati in modo da essere i più adatti a prendersi cura della loro salute (e a gestire la complessità organizzativa che caratterizza il moderno sistema di cura).
 
Dott. Filippo Bressan
Anestesista Rianimatore
Past Council member for Italy - European Society of Anaesthesiology

02 luglio 2019
© Riproduzione riservata

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