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Parafarmacie. Il fallimento è evidente ed è insito nel modello

di Daniele Viti

07 AGO - Gentile Direttore,
ormai siamo al grottesco. Sembra che qualcuno non sia in grado di leggere i dati, recentemente pubblicati, riguardanti l’andamento delle parafarmacie in Italia. Il nostro paese può vantare una classe di medici oculisti fra le migliori al mondo e anche case di riposo molto accoglienti. Prima di voler tentare di negare questi dati, bisognerebbe aver aperto o, quantomeno, aver lavorato in una parafarmacia, per non incorrere in gaffes e arrivare a sostenere che le parafarmacie siano in crescita e rappresentino una risorsa.

Ad oggi questi “esercizi di vicinato” sono una risorsa solo per le sole GDO (basti pensare che una di queste vantava, per il 2018, l’incremento del 10% delle loro parafarmacie) mentre, dall’altra parte, assistiamo alle continue chiusure di quelle dei farmacisti titolari di sola parafarmacia, anche in regioni produttive come la Lombardia dove la spesa complessiva farmaceutica si è attestata nel 2018 ad un +6%. Si chieda a costoro se le parafarmacie rappresentino una risorsa.

Vorrei rammentare che, in tempi non sospetti, il presidente di una delle sigle che rappresentano le parafarmacie, all’indomani del decreto Monti (dove fu bloccata la liberalizzazione della fascia C), dichiarò quanto segue: “Le parafarmacie sono in crisi da tempo e se esiste una situazione più acuta in questo è legata allo stato di crisi ed al peggioramento della situazione globale”. Era il 2013. Fu indubbiamente un buon profeta: 7 anni dopo la situazione è indubbiamente peggiorata e dallo stato di crisi siamo passati al preoccupante numero di chiusure di parafarmacie alle quali abbiamo assistito.

Viene da chiedersi: questi soggetti, che sovvertono i dati, di quali interessi sono portatori?

Io sono il Presidente di una associazione che rappresenta solo farmacisti titolari di sola parafarmacia, cioè coloro i quali continuano a soffrire e a chiudere quotidianamente, complice anche l’apertura delle sedi istituite dal vergognoso concorso Monti (avallato dall’allora classe dirigente di Federfarma per opporsi alla fascia C), che doveva, nelle intenzioni, essere riservato solo ai titolari di parafarmacia. Così non fu. Tanto è vero che oggi troviamo casi di farmacie aperte da colleghi che sono figli/e e/o coniugi di titolari di farmacia.

Se, all’epoca, si fosse trovata la stessa apertura al dialogo mostrata dall’attuale dirigenza di Federfarma, sicuramente non staremmo ancora a parlare di parafarmacie.

Nonostante ci siano ancora posizioni differenti su alcuni temi, con il dialogo ed il confronto, siamo riusciti a condividere alcune linee di principio ed alcuni punti per il bene di tutti i colleghi, questo anche grazie al tavolo della Fofi (dove le altre sigle si sono rifiutate di sedere adducendo motivazioni risibili).

Mentre siamo ancora in attesa di novità più eque per l’accesso alla professione, chiediamo alla politica di prendere dei provvedimenti, come è stato promesso, poiché ormai la nostra è una emergenza sindacale, con famiglie monoreddito che non hanno di che vivere.

Lo stato di crisi delle parafarmacie dei soli farmacisti è dato dal fatto che è fallimentare proprio l’esperienza di questo particolare “esercizio di vicinato” e non dalle capacità o meno dei colleghi che lo hanno aperto.

Oggi i farmacisti titolari di parafarmacia sono ostaggi di iniquità come l’ereditarietà della farmacia (la quale, essendo una concessione governativa, dovrebbe risultare anticostituzionale). Se la si vuole mantenere, si aboliscano i concorsi e si dia a tutti i farmacisti la possibilità di aprire la propria farmacia. Questo vorrebbe dire liberalizzare la professione (invece che liberalizzare il mercato dei farmaci il cui uso e consiglio è strettamente legato al professionista e non al prezzo).

A questo si sommano le continue discriminazioni che subiamo da parte dei fornitori e delle aziende (in questo non escluderemo iniziative parlamentari in cui verranno fatti nomi e cognomi) che ci penalizzano con pagamenti anticipati e sconti da fame rispetto ai colleghi titolari di farmacia.

In questo ci aspetteremmo che l’AGCM soprassedesse sul libero mercato del farmaco (che, non dimentichiamolo, è un bene che riguarda la salute) e che magari ribadisca, come già ha fatto in passato, che la Pianta Organica deve essere espressione di un numero minimo e non massimo, mettendo così in competizione la professione e non la concorrenza sul farmaco. In questo modo si tuteleranno anche le future generazioni di colleghi.

Infine vorrei soffermami sulla nostra esclusione da una iniziativa benefica come quella promossa dal Banco farmaceutico su cui si è già espressa la nostra vicepresidente in un recente articolo.

Inutile sottolineare il disappunto ingenerato nei colleghi da tale esclusione. Più di quest’ultima sono state le motivazioni addotte (che anteponevano, per importanza, alla professione del farmacista il luogo in cui tale professione viene svolta), fortemente discriminatorie non soltanto nei confronti dei membri di Unaftisp, ma anche nei confronti della figura del farmacista in generale.

L’amarezza nasce soprattutto perché in questa fase, grazie al tavolo della FOFI, è in atto un percorso dove per la prima volta si è aperto un dialogo con Federfarma e dove finalmente ci sono stati dei punti condivisi. Questo percorso prosegue, in ogni caso, anche con le sue difficoltà (e sicuramente preferiremmo non incontrarne altre). Mi auguro che il Banco Farmaceutico abbia avuto solo una caduta di stile involontaria e per quanto ci riguarda diamo ancora la nostra disponibilità.

Per concludere negli anni lo scenario è cambiato ed oggi abbiamo più che mai necessità di una riforma di tutto il sistema che sappia affrontare e vincere le sfide del futuro della nostra professione. In questo, una occasione importante è rappresentata dall’appuntamento che si terrà in ottobre con Farmacista+ e che dovrà essere il luogo del confronto, del dialogo e delle proposte. E ciò deve avvenire senza polemiche, steccati e prese di posizione a priori.

In questa occasione l’obiettivo più importante sarà imparare a parlare tutti la stessa lingua perché, alla fine, siamo tutti quanti colleghi.

Dott. Daniele Viti
Presidente Unaftisp


07 agosto 2019
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