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Vi auguro di non sperare di essere chiamati eroi anche domani

di Nicole Smith

11 APR - Gentile Direttore,
gli aspetti sui quali la situazione attuale sta facendo luce sono numerosi, uno su tutti sicuramente il progressivo e quasi maniacale depauperamento delle risorse della sanità, come se “in salute e in malattia” non ci riguardasse. Ma non è su questo che mi voglio soffermare - ci sono altre persone ben più esperte di me che ne parlano - ma sul mio ambito d’interesse e ricerca: la relazione tra i curanti e i malati.
 
Se ricorda tempo fa le inviai un articolo:  nel quale sottolineavo, a seguito di un’esperienza personale, l’importanza di ripristinare la relazione tra i camici e i pigiami. Il presupposto dal quale partivo, e parto tutt’ora, è il riconoscimento reciproco di essere - scusi il gioco di parole - esseri umani, senza cadere in un’esasperata, distruttiva e inutile asimmetria che porta ad un irrigidimento nei propri ruoli con conseguente allontanamento.
 
La situazione attuale ci sta, paradossalmente e tragicamente, aiutando per portare avanti questo presupposto. Ad oggi l’intera nazione vede quotidianamente gli occhi stremati, la stanchezza, la sofferenza, la paura, la fragilità di tutti i curanti. Sono stati creati video di ringraziamento, disegni, canzoni, poesie dedicate a tutti i camici, ma soprattutto a tutte quelle menti, mani e cuori dietro quei camici.
 
Ecco il clic. Cari curanti, ora noi tutti vi vediamo, perché voi vi state facendo vedere. Indubbiamente questo virus è tosto da gestire e rappresenta una condizione extra - ordinaria, ma nell’ordinario di tutti i giorni la stanchezza, la sofferenza, la fragilità (e la scarsità di risorse) non credo siano elementi che vengano a mancare. Certo ora siete coinvolti maggiormente in quanto avete paura per voi stessi e per la vostra famiglia.
 
Ma parallelamente al covid19 c’è tanto ben altro, e non ora, ma da sempre. Da quando avete deciso di fare - ed essere - dei curanti. Parallelamente al covid19 ci sarà stata anche qualche persona malata di cancro incurabile con la quale avete scambiato l’ultima parola, ci sarà stata la persona affetta da una malattia rara a cui non sapete dare risposte, avrete letto dei risultati di test diagnostici che vi hanno costretto a comunicare una cattiva diagnosi a qualcuno. Tutto ciò succede, da sempre. Ma noi non lo vediamo, perché voi non lo fate vedere (e non vi sto biasimando!). E perché purtroppo abbiamo sempre dedicato troppa attenzione al QI, invece che all’intelligenza emotiva.
 
Da quando ho iniziato il mio progetto ho iniziato a chiedere a tutti i curanti con i quali sono entrata in contatto se tra di loro si confrontano in spazi, progetti, momenti dedicati nel quale parlare delle proprie vulnerabilità, della morte di un paziente, dell’incertezza imperante, insomma se si possono permettere di guardarsi, come noi li stiamo guardando oggi.
 
La risposta è riassumibile nell’incipit del libro di A. Gawande, Essere mortale: “L'università prepara dei guerrieri col camice bianco. A tutti noi viene insegnato a sfoderare l'alabarda spaziale di Goldrake, l'invincibile robot protagonista di una serie animata anni '70, ma nessuno parla di morte, di limite, di incertezza. Sono parole che non si pronunciano quasi mai in medicina.”
 
Oggi siete chiamati eroi. Vi auguro di non sperare di essere chiamati eroi anche domani, ma vi auguro di trovare la forza e di scorgere i benefici (ci sono numerose esperienze che lo dimostrano ormai) nell’esplorare la vostra vulnerabilità e quindi nel mostrare i vostri volti. A voi stessi, e a noi. Anche quando tutto questo finirà. 

Nicole Smith
ex paziente, fondatrice di Cominciamo Da Zeus


11 aprile 2020
© Riproduzione riservata

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